Il Liber Pandectarum medicinae o Opus pandectarum medicinae, conosciuto ai più col semplice titolo di Pandette è uno dei più noti antidotari del Medioevo, definito da De Renzi “una compilazione di materia medica, ossia una specie di dizionario dei “semplici”, con la indicazione dei loro usi, e con diligenti ed esatte ricerche intorno alla virtù delle erbe...”1.
Nelle Pandette sono esaminati 721 “semplici” di cui 487 di origine vegetale, 157 minerale, 77 animale e 3 non identificati, preceduti da indici in ordine alfabetico, i cui lemmi fanno riferimento ad un uso farmacopeico e alimentare, ad organi del corpo umano, a malattie, a preparazioni farmaceutiche. “Per tutti i ‘semplici’ si snoda la stessa sequenza che comincia con la descrizione e continua con la definizione della complexio, cioè l’appartenenza alle quattro qualità primarie che permeano e formano il mondo sensibile, ovvero caldo e freddo da un lato, e secco ed umido dall’altro, più volte ripetuta dai vari autori. Essa colloca il “semplice” in una precisa dimensione fisica la quale assicura gli specifici compiti antagonisti delle cause e degli effetti della malattia. Alcuni sono efficaci in molti morbi e disfunzioni: per ciascun caso viene pazientemente e diligentemente riportata la terapia. Quando lo ritiene necessario, Matteo discute identificazioni e denominazioni tradizionali, proponendo le proprie, a partire dalla formula secundum translationem nostram dei testi greci; egli dunque confuta errori di traduzione o di attribuzione di nomi, basandosi su dimostrazioni logiche e sull’autorità dei Maestri, nonché sulla personale, diretta esperienza più volte citata”2.
Matteo elenca tutti i collaboratori, da lui definiti “coevi”: Pietro d'Abano, Dino de Garbo, Sestile di Bonaventura, Francesco Mayroni e Nicola de Lyra, a questi si aggiunge Simone di Genova “dovunque per l'alfabeto” dice il Silvatico, cioè curatore degli indici, in arabo, greco e latino.
La ragione della scelta del lemma per l’inizio del capitolo è, per ora, purtroppo, priva di spiegazione: tra le ipotesi, potrebbero essere considerate attendibili o la priorità dettata dalla preminenza dell'uso corrente o, come egli stesso ci dice (botris c. 105), la irreperibilità del “semplice” in area campana, donde la necessità di usare altre lingue3. Dare ordine alla nomenclatura non è solo un esercizio scolastico, è il desiderio di unificare la “babele” generata dalla mancata corrispondenza terminologica fra le scuole, spesso distanti per presupposti teorici e pratiche d’intervento. Matteo si trova a citare tutto il sapere di una tradizione complessa, costituita da numerosi autori, tra i quali è difficile costruire una gerarchia: Ippocrate, Galeno, Teofrasto, Plinio, Dioscoride, Teodoro Prisciano, Guarimpoto, Aben Mesuay, Isaac Benaram, Avicenna (limon c. 507) e soprattutto Serapione il Giovane, per limitarci ad alcuni nomi più frequenti nel suo testo, evidentemente reperibili nella sua biblioteca di Salerno. Egli parla anche di libri tradotti dall'arabo (condros c. 179), lingua che non padroneggia e per la quale necessita di traduzioni.
Dopo l’elenco dei termini nelle tre lingue, ciascun capitolo delle Pandette si apre con una sua introduzione alla quale fa seguito una fedele sintesi delle notizie ricavate dai testi delle autorità. La descrizione, però, manca per le erbe note a tutti. Accanto alla raccolta dei dati sono rilevabili i frutti della curiosità di Matteo per i fenomeni naturali. Egli ordina tutti i “semplici” vegetali, animali e minerali, l'ordine prescelto è alfabetico in sintonia con quello del mondo. È un dizionario intervallato dai capitoli, indispensabile per la lettura agevole dei contenuti da parte di un lettore moderno e di chi non sia un perfetto conoscitore della materia, “perché comprende termini tecnici assai eterogenei nelle tre lingue, per i quali viene proposta una spiegazione di varia ampiezza: indicazioni etimologiche, a volte spropositate, sui termini arabi e greci, sinonimi dei “semplici” trattati nei capitoli; brevi descrizioni di quelli non inseriti nei capitoli e loro uso, nomi di malattie e loro caratteristiche, preparazioni farmaceutiche e processo per ottenerle” 4. Egli non entra all'interno delle cose, non tenta di svelare il loro aspetto nascosto, ma le dispone per meglio studiarle; riporta tutta la materia da lui conosciuta, la più antica e la più recente, la cultura greca, quella latina e quella araba. Nel mondo non esistono segreti, pare suggerirci Silvatico, ma animali, piante e minerali che attendono di essere classificati, quasi sempre la loro descrizione si esemplifica con la similitudine di uno che è più facile da reperire. Valga per tutti l'esempio della avellana indica o faufel: è molto simile alla noce moscata nella forma, egli dice, ma non nell'odore e nel sapore (c. 259). Il percorso delle Pandette si sviluppa, in sintesi, attraverso una costruzione sempre uguale: partendo da notizie obiettive, Matteo antologizza le fonti, le confronta, le rielabora, le verifica e, se è il caso, le smentisce.
Silvatico tratta in maniera differente la materia vegetale rispetto a quella dei lapides. La sua guida per questi ultimi è per lo più Alberto Magno, raramente Serapione, Plinio e Dioscoride, ma alla scientificità, priva di ogni possibile metafora “verde”, si sostituisce, nei lapides una visione magica: il lapis aquile, pietra indiana, favorisce il parto e Matteo l'ha sperimentato sospeso al braccio sinistro (c. 398), il lapis gagates resiste ai demoni e ai malefici e difende la verginità (c. 431), il lapis onix portato al dito arreca tristezza e timori (c. 459), il lapis topacion, di cui un medico parigino ha sperimentato “ai nostri tempi che la mano, che lo contenga, messa in acqua bollente non si ustiona” e, inoltre, chi lo porta al braccio sinistro, non teme la follia (c. 486). Queste riflessioni testimoniano la convivenza ancora alla fine del 1200 di sperimentazioni mediche e di retaggi magici, ulteriormente confermati da alcuni capitoli del De vita philosophorum di Arnaldo di Villanova.
1 S. De Renzi, Collectio Salernitana ossia documenti inediti, e trattati di medicina appartenenti alla Scuola medica Salernitana, raccolti e illustrati da G. e T. Henschel, C. Darenberg e S. De Renzi, premessa la Storia della Scuola e pubblicati a cura di Salvatore De Renzi, voll. I-V, Forni Editore, Bologna 1967 (Biblioteca di Storia della Medicina, II.1) [Riprod. facs. dell’ed. Dalla tipografia del Filiatre-Sebezio, Napoli 1852-1859] e Id., Storia documentata della Scuola medica di Salerno, Ferro, Milano 1967 (Ars medica antiqua, 2) [Riprod. facs. dell’ed. Nobile, Napoli 1857 nella quale a pag. 529 vi è la citazione qui riportata].
2 A. Masturzo, “Le Autorità delle Pandette e la Pratica di Matteo” in Mater Herbarum, Fonti e tradizione del giardino dei semplici della Scuola Medica Salernitana, a cura di M. Venturi Ferriolo, Guerini e Associati, Milano 1995.pp. 245-247.
3 K. Miethaner Vent, “Das Alphabet in der mittelalterlichen Lexicographie. Verwendungsweisen, Formen und Entwicklung des alphabetischen Anordnungsprinzip, in La lexicographie au Moyen Age, (a cura di C. Buridant) Lexique 4, Presses Universitaire, Lille 1986, pp. 83-112.
4 A. Masturzo, “Le Autorità delle Pandette e la Pratica di Matteo” in Mater Herbarum, cit., pp. 245-247.