Anche senza credere ai fantasmi, si può pensare che Antonio de Torres Jurado avesse accettato l’invito del Maestro Ganesh Del Vescovo e fosse a Firenze il 15 ottobre. Morto ad Almería nel 1892, il liutaio spagnolo che i chitarristi venerano come i violinisti si inginocchiano davanti a Stradivari e Guarneri del Gesù, Torres non ha partecipato al Florence Guitar Festival 2019 ondeggiando in un lenzuolo bianco. Eppure la sua presenza si avvertiva nelle parole, che di seguito riportiamo, di una quindicina fra i più valenti liutai in circolazione. Secondo le leggi della Natura, Torres continua a essere morto, ma per i suoi eredi è un amico. Accade, infatti, che nella sfera della liuteria i confini fra il visibile e l’invisibile siano impercettibili, anche per chi non conta sulla trascendenza. L’americano Alan Stewart Wilcox ci conta: “Io uso il pendolo per accordare la chitarra. I rabdomanti sono conosciuti sì o no? Questi doni sono riconosciuti sì o no? Per costruire una chitarra devi essere vuoto e invitare il mondo degli spiriti”. Disse di Wilcox l’indimenticabile Andrés Segovia: “Costruisce la chitarra ideale al mondo e ha promesso di farmene una”.
Nella bottega di un liutaio sono visibili il legno, la colla, la qualità della luce, le vernici, ma sono invisibili gli stati d’animo del costruttore che pure permeano indelebilmente uno strumento.
“Tutto nasce dall’amore per la musica e per il legno. Riuscire a dare una voce a quello che si fa è stupendo. Il suono nasce mentre si costruisce: è il risultato del pensiero e dell’emozione - spiega Paolo Falorni di Prato - Ogni strumento segue la personalità del liutaio e ogni strumento è diverso perché il liutaio cambia umore”. Il fiorentino Andrea Tacchi cita Voltaire, anche quando sembra che non c’entri. Voltaire c’entra, a prescindere. “Nelle infinite possibilità della vita, ho scelto di far suonare il legno – racconta - Mi piace la potenzialità. Su uno Steinway si possono appoggiare bicchieri e foto, ma c’è differenza fra un mobile e un pianoforte. Su una chitarra non ci si possono nemmeno posare le cornici e se trova la persona adatta si diverte, è come un cavallo: già lo sa se può correre, anche senza il cavaliere”.
Scollinati gli ottantacinque anni, osannato da colleghi e musicisti, il premiato siciliano Antonino Scandurra, è timido nel parlare e si affida a Facebook e a un volantino dove si legge:
La liuteria è un’arte che non ho imparato da nessuno. Mi ero posto l’obiettivo di costruire chitarre che, insieme a un bel suono, avessero una buona portanza. Con questo programma non mi sono mai stancato di sperimentare, migliorare, perfezionare. Non ho mai trascurato la bellezza dello strumento, credo dunque che in fatto di costruzione ho ben poco da migliorare. Mantenevo la mia famiglia con un negozio di materiale elettrico.
Raffaele Guidugli, lucchese, è invece il giovinetto fra i liutai invitati da Ganesh Del Vescovo a Firenze: “Ho scelto questa strada perché per me è emozionante sentire il suono delle chitarre, che è sempre nuovo”. Guidugli è uno dei liutai della Liuteria Toscana di Firenze che Emanuele Abolaffio descrive: “Violini, viole, violoncelli, chitarre. Ciascuno di noi fa il suo strumento però per venderlo ci mettiamo insieme. Abbiamo un’impostazione diversa: invece di costruire su modelli cremonesi siamo nel solco di Gragnani di Livorno e altri esponenti del Settecento toscano. Questi eventi organizzati da Ganesh ci permettono di aver un riscontro. Non suoniamo, semmai strimpelliamo, e per noi è decisivo e toccante ascoltare l’artista che porta lo strumento all’ennesima potenza”.
Gioachino Giussani è contento perché dopo 42 anni ancora sbaglia, il che testimonia il fascino della liuteria. Milanese, abita in una casa colonica nella campagna di Arezzo: “Al principio suonavo la chitarra, poi facendo il liutaio le mani diventano forti ma dure. La ricerca del legno è come per Michelangelo la scelta del marmo: il suono è già lì. Anche se è sempre abete ci sono tanti particolari da guardare perché è importante la zona, un certo tipo di taglio. Deve essere rigido ma leggero”. Suo figlio Jacopo ha dato retta alla madre, liutaia anche lei, che gli suggerì di non fare l’impiegato: “Costruisco, da solo, un modello tra chitarra da studio industriale e quella da concerto, ma tutta artigianale, di prezzo abbordabile e alta qualità”.
Il piemontese Mario Grimaldi ha ereditato i cimeli di Pietro Gallinotti, uno dei liutai più rappresentativi del Novecento, e curerà il museo al lui dedicato nel Castello di Solero, Alessandria. “Per l’intarsio delle rosette traggo spunto dai mosaici dei pavimenti delle chiese oppure dal paesaggio che vedo dalla mia finestra: la torre del paese, le montagnine”. A Firenze ha portato una chitarra speciale, con la rosetta ispirata dal Giotto di Assisi, piena di stelline e di colore azzurrino.
Lorenzo Frignani, giunto da Modena, spiega volentieri che cos’è la liuteria a chi non lo sa: “Il rapporto con il materico richiede grande educazione tecnica, artistica e, troppe volte si dimentica, culturale perché dato che si lavora a testa bassa, con un orizzonte circoscritto, il rischio è quello di esaltare l’autostima e perdere di vista il percorso molto lungo e articolato per arrivare a creare uno strumento che abbia tutti i contenuti di cui potrà usufruire un buon musicista. È paradossale trovare ancora gente dimentica del fatto che su quello strumento ci vanno le corde mentre bisognerebbe fare il contrario: costruire un amplificatore naturale intorno all’apparato delle corde. Altrimenti c’è lo strumentino nel negozietto, senza volerne al negozietto, per le esigenze da scampagnata o da ballo del qua-qua sulla spiaggia”. Cultura, quindi, e tradizione. “A volte si pensa alla tradizione come qualcosa di vecchio. La tradizione può avere delle evoluzioni, è qualcosa di estremamente contemporaneo e ci vuole rispetto per chi ha impiegato anni per acquisire un sapere che si è consolidato. È un bel gioco di equilibri la liuteria fra gli aspetti tecnici costruttivi, le vernici, la fisica acustica, lo studio dei vari fenomeni per prevenirli, indirizzarli, emanciparli e l’aspetto non palpabile, emozionale che spesso impone delle direzioni motivazionali che non sono assolutamente razionali _ conclude Frignani - È il savoir-faire empatico di ogni costruttore”. Luigi Bubba da Bolzano, un passato da chitarrista classico, fin da ragazzino desiderava trarre da un albero qualcosa che suonasse: “Volevo appagare la mia curiosità e via via ne nascono altre. È bello andare nel bosco a vedere gli abeti rossi, i più cantabili, e figurarsi come suonano dalla venatura, dalla corteccia. Sono cose immaginarie perché non si sa mai: dallo stesso ceppo di legno escono chitarre diverse e il maestro bravo capisce se lo strumento è stato costruito in maniera tesa o libera”.
Per il bolognese Giancarlo Nannoni “si deve avere molto amore per la musica e per il lavoro manuale. Io faccio sempre due strumenti un po’ sfalsati e scelgo che cosa fare in base all’umore e alla luce. In una chitarra classica c’è molto di chi costruisce. Mi è capitato di fare anche quattro chitarre per lo stesso musicista e ci può essere un po’ di timore per rispettare le aspettative di un maestro che già conosci. Bisogna prendere il tempo che serve. La soddisfazione del musicista è un piacere incredibile. Nessuno ti dirà mai: fa schifo, ma si capisce se la soddisfazione è autentica”.
Il sabino Alfonso Savastani ha cominciato a fare il liutaio tardi, verso i 50 anni, prima… lavorava. “Costruisco chitarre storiche, mi rifaccio a Torres, quelle moderne sono ‘bioniche’, danno una botta iniziale, potente, come fossero un tamburo, poi diventano monotone, invece le mie hanno una gamma timbrica molto, molto ampia. Mi sono accorto che i musicisti veri le adorano. La chitarra non suona forte, però ha quello che nessun altro strumento possiede”. Il viareggino ed ex professore di lingue Fabio Ragghianti apprezza la liuteria perché è l’attività per eccellenza che unisce le capacità artigianali e l’intelletto: “La sezione aurea, la storia della musica, la chimica, la botanica, la meccanica dei corpi elastici, ci sono tante discipline che bisogna conoscere se si vuol lavorar bene. Ero chitarrista semi professionista e ho messo insieme il suonare con il fatto di aver lavorato il legno nelle barche a vela, con mio padre. Ho avuto un maestro e poi mi sono messo a girare il mondo per visitare liutai famosi, da uno a Lisbona sono stato a bottega, rompevo le scatole a tutti per vedere come lavoravano e come avevano organizzato il laboratorio: sono importanti la disposizione dei ferri, la luce. Ho avuto la fortuna che non ci fossero liutai nella zona di Viareggio e quando si è cominciata a spargere a voce che c’ero io ho avuto tonnellate di riparazioni che sono state parte dell’apprendistato, penso di aver imparato anche ai danni di qualcuno. E non è tutto sotto controllo neanche dopo trent’anni: decidi i colori, il legno, ma il suono non si sa. La soddisfazione immensa è quando il chitarrista che ti ha ordinato la chitarra dopo un po’ torna e dice che gli hai dato il suono che voleva”.
Donatella Salvato di Padova, una delle poche donne liutaie (meno del 5%), non c’era. Si ritorna all’invisibile. La presenta il marito, l’editore di musica Michael Macmeeken: “Nata in una famiglia di intarsiatori, è anche musicista: suona bene il violoncello, il piano… ha studiato con me. Ha molto talento, è molto sensibile, insomma, è very Italian”.
Nel pomeriggio il padrone di casa Ganesh Del Vescovo ha provato le chitarre di tutti i suoi ospiti, felice del “livello altissimo” generale. Very Italian! Con il tocco straordinario dello statunitense Wilcox e dei suoi impagabili spiriti.