La società dell’inutile trionfa alla fine di un processo folle che ha spinto l’industria a produrre beni superflui, come se lo scopo dell’uomo non fosse di essere e vivere in una società giusta, bensì quello di apparire; ed è proprio su questa esigenza che si fonda il grande dogma della contemporaneità: si ha successo se si appare.
(Vittorino Andreoli, L’educazione (im)possibile, 2014)
La società contemporanea ha superato il celebre dilemma essere/avere concentrandosi essenzialmente sull’apparire, una categoria che ha cannibalizzato tutto, anche il nostro essere. Oramai, complici i social network, siamo quello che appariamo. Si tratta di una evoluzione o degenerazione, dipende dai punti di vista, dell’egemonia della vista come senso dominante e strumento di conoscenza. Il problema è reso ancora più complicato dalla cultura alla quale noi apparteniamo, gli occhiali con i quali vediamo il mondo e lo interpretiamo, e dalle interferenze dei vari media che spesso in modo deliberato provano ad orientare il nostro modo di pensare e di agire. Dunque, non tutto quello che vediamo lo vediamo per quello che è ma lo interpretiamo sempre. E soprattutto non vediamo tutto ma solo una piccolissima parte. Con questo non mi riferisco al fatto che se sono a Roma ovviamente non vedo quello che succede a New York. Mi riferisco per esempio ai sentimenti. C’è qualcuno che ne ha mai visto uno? Eppure, orientano gran parte delle nostre azioni. Qualcuno ha mai visto un pensiero? Eppure, anche questi orientano le nostre azioni. E di esempi di questo tipo ne potremmo fare a centinaia. Fermarsi all’apparenza è molto più semplice e questo è quello che normalmente ci interessa; la nostra vita è basata sulla semplificazione.
È un po’ la stessa sensazione che proviamo quando guardiamo il mare, ci limitiamo alla superficie mentre tutto quello che sta sotto ci sfugge, non lo “vediamo”. Ed è una parte molto importante, ricca, complessa. Nel mondo antico alcuni filosofi avevano rintracciato nell’acqua la sostanza dalla quale traggono origine tutte le cose. L’acqua, pertanto, essendo vitale è sinonimo di vita. La vita, dunque, distoglie la nostra attenzione da tutto ciò che sta sotto e si tratta di una ricchezza immensa. Interessante quindi la scelta di Mario Vespasiani di dedicare una mostra1 al mondo sommerso, sia questo marino o interiore. Una scelta che unisce Oriente e Occidente: il pesce è un elemento simbolico presente in tutte le culture in tutte le epoche e che nel Medioevo diventa simbolo dell’essenza spirituale, di ciò che si nasconde sotto il velo delle cose visibili. Per molto tempo, quantomeno fino alla nascita della fotografia la pittura ha avuto il monopolio del “vedere” e del documentare quello che si vedeva.
Si ricollega a questa tradizione anche Vespasiani che nella serie presentata in questa occasione rende la pittura a olio leggera, impalpabile, raffinata. Nelle due stanze (una bianca e una nera) che ospitano la mostra c’è un riferimento anche all’antica filosofia cinese dell’Yin (nero) e Yang (bianco) probabilmente originato dall’osservazione del giorno che si tramuta in notte e dalla notte che si tramuta in giorno in un processo che non ha mai fine. Nei fondali che Vespasiani crea con grande maestria, ricchi di pesci, meduse, reperti archeologici, ecc. ritroviamo la storia del mondo e dell’uomo, i nostri moti interiori, il nostro essere e il nostro essere nel mondo. Un invito a prestare più attenzione a tutto ciò che è profondo e che ci può far crescere ed elevare ogni giorno di più.
1 Mario Vespasiani "Underworld", Galleria Marcantoni, Pedaso. 21 luglio-15 settembre 2019.