Omero è stato riconosciuto dai critici letterari come “il primo naturalista” della storia della letteratura non solo mediterranea, ma anche baltica. In vari passi il poeta accompagna la descrizione dei personaggi con quella della natura circostante.
Nelle descrizioni paesaggistiche, molto frequenti sia nel mondo greco sia in quello latino, è presente l'archetipo del locus amoenus, il “paesaggio ideale” dove la natura viene presentata in modo trasfigurato e idealizzato, caratterizzato da una eterna bellezza, fertilità e da una staticità quasi divina.
In Omero come emblema del locus amoenus in genere sono rappresentati un gruppo di alberi, un boschetto o una grotta con fonti o fiumi o sorgenti, prati fioriti e terre straordinariamente fertili, abitate da divinità, per lo più ninfe.
Nell'Odissea tra gli scenari in cui si muove Ulisse durante le sue peregrinazioni c'è lo splendido parco che circonda la grotta di Calipso, nell'isola di Ogigia dove la natura è bella, serena, priva di tragicità, un'oasi di fecondità che emerge dal mare. Qui appaiono “un bosco rigoglioso in cui svettano ontani, pioppi e odorosi cipressi ... prati fioriti di viole, l'acqua che sgorga da quattro fonti (numero magico della perfezione e dell'ordine) che si diramano in direzioni opposte; sul bosco volteggiano uccelli e cornacchie marine ... all'imbocco della grotta profonda in cui Calipso canta e tesse, si allunga una vigorosa vite dal ricco fogliame e dagli abbondanti grappoli”.
La descrizione del giardino di Alcinoo, anche, colpisce per “la ricchezza e l'abbondanza delle verdure e degli alberi da frutto che producono a ciclo continuo ... i peri, i meli, i fichi, la vite, mostrano contemporaneamente verdi germogli, fiori, frutti acerbi e frutti maturi ... vi sono anche due fonti, una che si spande per tutto il giardino, l'altra che corre fino al palazzo e fornisce acqua agli abitanti. Vi è anche una vigna piena di grappoli; alcuni seccati al sole, altri in attesa di essere vendemmiati o pigiati. Verso la fine del giardino crescono ogni sorta d'ortaggi di colore verde lucente.
Ogigia è simbolicamente l'isola della fecondità e del mistero della vita, il giardino di Alcinoo, delimitato e organizzato razionalmente, è l'emblema di un mondo civile che conserva però i vantaggi della mitica Età dell'oro.
Vicino alla terra rigogliosa dei Ciclopi, dove tutto nasce inseminato, Omero posiziona “l’Isola delle capre”, terra di una bellezza incontaminata “vi sono prati umidi e morbidi ... il mare schiumoso lungo le rive ... scorre acqua limpida ... una sorgente sotto le grotte ... pioppi crescono intorno”.
La discesa di Ulisse nell'Ade è per Omero l’occasione di riproporre un ulteriore paesaggio. Sospinto dal vento di Borea, egli arriva oltre il mare Oceano, ad "una bassa spiaggia e boschi sacri a Persefone, alti pioppi e salici dai frutti che non maturano", dove si spalancano le porte dell'Ade. Qui Odisseo troverà un mondo dai tratti terreni, con alberi, fiumi e un monte, affollato di ombre di viventi che s'aggirano tristi, dolenti o tormentate. Tra esse spicca l'ombra del leggendario Tantalo, il cui castigo consiste nel non poter afferrare con le mani "peri e granati e meli dai frutti lucenti, e fichi dolci e floridi ulivi", che gli si offrono tentatori e poi gli sfuggono. Un paesaggio non differente da quello descritto sulla terra che serve da sfondo alle gesta avventurose, alle sofferte vicende, ai sentimenti più reconditi dell'eroe. Dove tutto nasce inseminato. Nel cuore dell'eroe, però, restano le selvose cime, i boschi, i campi dell'agognata Itaca, l'olivo frondoso che cresce sul capo dell'isola presso il porto di Forchis.
Non mancano esemplari di piante neppure nell'Iliade, dove il paesaggio è solo abbozzato e predomina il rosso del fuoco bellico: maestosa e impavida, una quercia s'innalza davanti alle porte di Troia. In scenari boscosi diversi da quelli in cui operano le figure eroiche dell'immaginario dell'epica, ma non meno stilizzati e idealizzati, si muovono altre figure straordinarie. Vuole una tradizione tarda che i Pitagorici usassero andare di buon mattino appena alzati a passeggiare in luoghi dove si potevano trovare templi e boschi e giardini e quant'altro serviva a dare tranquillità e pace; essi ritenevano, infatti, di doversi ben predisporre nell'animo prima di venire a contatto con gli altri. Per uomini intenti alla ricerca di una dimensione tutta interiore di serenità e di distacco, il paesaggio esterno costituiva una palestra per l'anima anziché per il corpo.
La natura però non è sempre amica ed esiste nel mondo letterario di Omero e di tutta l'antichità anche il locus horridus caratterizzato da foreste oscure, rupi ricoperte di selve, orrida solitudine, mare in tempesta, venti impetuosi, onde tumultuose e violente. Il mare in tempesta ricorre spesso nell'Odissea, “... in mezzo alle notturne ombre, su questo Pelago a caso erriam”, è un locus horridus nel quale la forza d'animo e il coraggio dell'eroe vengono messi a dura prova dalla furia della natura ed è evidente lo smarrimento dei naviganti.
A questo tema si conformerà la descrizione della “selva oscura” dantesca, il grande cantore che userà la natura come scenografia del sublime “racconto”.