La prostituzione minorile è uno di quei temi che tornano saltuariamente sulle pagine di cronaca e con rapidità scompaiono. Eppure, negli ultimi anni è aumentata. I dati più recenti risalgono a circa quattro anni fa. Oggi la prostituzione di strada è meno intercettabile, poiché sempre più spesso gli accordi avvengono via web e “il consumo” in luoghi privati. Quindi, per quello che sappiamo, potrebbe essere meno visibile, ma acutizzata, perché favorita da “ingaggi” in rete. E questo anche in Italia.
Sono soprattutto ragazzi tra i 14 e i 25 anni a prostituirsi e non solo, come comunemente si pensa, per problemi di tossicodipendenza. È inoltre incrementata la prostituzione dei maschi minorenni stranieri provenienti soprattutto dall’Europa dell’Est. Su questo tema ha aperto una finestra interessante e per nulla retorica, un bel romanzo candidato al Premio Strega, che ho avuto occasione di leggere e di presentare recentemente: L’età straniera della scrittrice triestina Marina Mander. Con lei ho provato a comprendere meglio questa realtà.
Come ha deciso di affrontare il tema?
Dal 2008 al 2010 ho lavorato come counselor a un progetto sulla prostituzione minorile maschile di strada a Milano. L’obiettivo era dare ai ragazzi le informazioni di base su come proteggere la propria salute e a quali strutture sanitarie gratuite rivolgersi; sensibilizzare gli stranieri sull’importanza di apprendere l’italiano e i centri dove farlo senza spese; accompagnarli in un percorso d’integrazione sociale, portarli, per esempio, agli sportelli del lavoro facendo emergere i loro reali interessi e desideri.
Come ogni progetto anche questo aveva limiti temporali e di budget, così l’esperienza si è conclusa, senza però che fosse concluso davvero un percorso di cambiamento; con alcuni ragazzi si è creato un rapporto di fiducia che si è interrotto giocoforza. Molte persone mi chiedevano se non avessi paura ad andare in giro di notte a parlare con i prostituti. No, non ho mai avuto paura, il difficile non è stato esserci ma non esserci più. Quando a fine progetto abbiamo dovuto salutarli avremmo voluto adottarli. A quel punto è nata l’idea del romanzo, per non fare cadere nel vuoto ciò che ho imparato da loro.
Per esempio?
Prima di tutto che questi ragazzi sono soprattutto ragazzi, con sogni e desideri, anche se certe volte confusi, come ogni adolescente. Giovani uomini molto fragili. Quando si parla di questi argomenti si pensa a un film hard e, invece, è un film di guerra. Una guerra di povertà. Vengono da storie di marginalità che precedono la scelta di prostituirsi. “Prima caricavo e scaricavo cassette all’ortomercato, ora carico e scarico culi”, mi disse una sera un diciassettenne italiano. Una battuta che non ha fatto ridere né me né lui. Molti altri ragazzi erano migranti che non avevano per nulla calcolato di finire sul marciapiede, ma non trovando alternative e avendo la necessità di mandare i soldi a casa senza correre il rischio di venir incarcerati per furto, spaccio o ricettazione, hanno ripiegato sulla prostituzione che non è un reato, mentre lo è il favoreggiamento.
Qual è il profilo di questi ragazzi?
Ognuno ha la propria storia, ma a grandi linee i maschi minori che si prostituiscono possono essere di quattro tipologie: i liberationist, come li definiscono gli americani, ossia gay dichiarati, consapevoli e spesso istruiti sui rischi, per esempio, per la salute, che vogliono “arrotondare” anche se spesso l’incontro sessuale sconfina con il battuage [rapporti omosessuali occasionali e non pagati, ndr]; i gay for pay, ossia etero attivi che lo fanno per denaro e ci tengono a non essere scambiati per gay; gli insiders, cioè spinti alla prostituzione dal nucleo famigliare; e, infine, i survival sex, prostituti per disperazione.
È soprattutto con queste ultime tre tipologie che sono venuta a contatto durante il progetto di aiuto in strada. Ricordo che i ragazzi etero gay for pay ci dicevano: “Noi non siamo ragazzi, siamo puttani” e lo dicevano con amarezza e disprezzando i clienti, convinti di essere loro a usarli e non di essere usati. E questa è la grande illusione, che in verità vale anche per le donne prostitute. È il mito di Pretty Woman, una favola cinematografica che ha falsato l’immaginario alimentando l’illusione di poter scegliere o di incontrare il principe azzurro. Lo spiega in modo illuminante Julie Bindel nel primo saggio mondiale sul tema e che ha proprio il titolo del famoso film con Julia Roberts e Richard Gere, ma con un sottotitolo che non lascia dubbi: Come la lobby globale dell’industria del sesso ci vende la prostituzione.
Rispetto ai ragazzi spinti sulla strada dalle famiglie non si può intervenire?
Certo. Nel progetto che ho seguito, un ragazzino è arrivato sulla strada per volere del padre. Avrebbe potuto denunciarlo ma non ha voluto farlo per paura di ritorsioni. Se lo avesse fatto sarebbe stata applicata la legge del 6 marzo 1998, numero 40, che disciplina l'immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero che, come si legge, ha “come obiettivo offrire alle vittime di violenza e sfruttamento una possibilità di sottrarsi a queste condizioni disumane” e sono previsti percorsi di inclusione sociale, accoglienza in strutture pubbliche e la presa in carico del Comune. Serve però dimostrare di essere stati indotti alla prostituzione. E l’onere della prova per questi ragazzi non è mai cosa semplice.
Di fronte a un’offerta di aiuto come si comportano?
Molti si vergognano, usano eufemismi per definire quel che fanno, abbassano gli occhi. Dialogano tra la spavalderia, la fragilità e la coscienza che nel mondo c’è uno stigma. Poi ti dicono: “Per fare quello che faccio uso solo il corpo e nient’altro”, come se il corpo fosse uno strumento estraneo. Si dissociano come se la loro integrità di uomini non venisse toccata. Vivono una lacerazione ed è impensabile che quel corpo, dove abita l’Io, non porti ferite profonde. Per questo, da ciò che ho visto e ascoltato, mi sono convinta che l’idea del prostituto o della prostituta felice è insostenibile.
E il racket?
Nella nostra esperienza e anche leggendo quella fatta da altri, non è mai emersa in modo evidente la presenza di un racket a controllo della prostituzione maschile. Nessuno ha mai detto di avere un protettore. Come fosse una specie di libera imprenditoria che rispetta regole di gruppo, di clan e di etnia. La prostituzione nella criminalità organizzata è la terza fonte di profitto dopo droga e armi, ma a differenza di droga e armi è quella che dà maggiori guadagni rispetto all’investimento. Varrebbe la pena di approfondire il tema anche sul fronte dei prostituti.
Sono cambiati i luoghi degli incontri?
Negli ultimi dieci anni, con l’uso degli smartphone e dei social, è cambiato moltissimo. A Milano ci sono luoghi storici, cinema porno, sexy shop, i bagni di alcune catene di negozi, le saune. Ora però con il telefono ci si dà appuntamento e ci si incontra in luoghi privati. E quando si esce dalla strada per andare in luoghi chiusi, diventa più pericoloso. Perché sulla strada avendo alcuni accorgimenti si può sempre scappare da clienti poco tranquilli. E sulla strada si possono, appunto, incontrare operatori sociali e accedere a informazioni spesso salvifiche.
Lo scorso 29 marzo è stata presentata in Parlamento una proposta per la riapertura delle case chiuse, con conseguente abolizione della legge Merlin che risale al 1958: che cosa ne pensa?
Nel libro Lettere dalle case chiuse, una raccolta di testimonianze curata da Carla Barberis e dalla stessa Lina Merlin, si legge: “[...] Servano queste lettere a far riflettere coloro che, di fronte al problema, si sono dimostrati scettici sulla bontà della mia iniziativa. E a confortare quanti auspicano che il nostro Paese rimuova i pregiudizi che lo legano alle peggiori tradizioni del passato”. Una raccolta che racconta quanta violenza c’è in una casa chiusa, dove le lavoratrici devono fare tutto quello che viene richiesto, altrimenti perdono il lavoro. L’idea che riaprendo le case chiuse sia tutto regolamentato e che si paghino le tasse è un’altra favola, perché dietro quella porta non si sa che cosa accada davvero. Oppure si sa, ma si fa finta di niente dietro la maschera della falsa coscienza. E si mistifica: oggi chi si prostituisce si chiama sex worker. E allora i tenutari dei bordelli sono imprenditori? E mi chiedo: è davvero possibile monetizzare l’umiliazione? Di più: legalizzare uno stupro di Stato?