Il Bilancio di uno Stato è un documento finanziario che mostra le entrate e le uscite di un governo durante un periodo di tempo specifico, di solito un anno fiscale. Quali sono i componenti principali di un bilancio statale?

Prima di tutto le entrate. Questa sezione include tutte le fonti di denaro che lo Stato riceve durante l'anno fiscale. Le entrate possono provenire dalle tasse (come l'imposta sul reddito, l'imposta sul valore aggiunto, l'imposta sulle vendite), dagli investimenti, tasse di licenza, prestiti, sovvenzioni da altri governi, entrate da società partecipate dallo Stato, ecc.

Dalla parte opposta abbiamo le uscite. Includono tutte le spese sostenute dallo Stato durante l'anno fiscale. Le spese possono essere suddivise in varie categorie. Abbiamo spese operative come stipendi dei dipendenti pubblici, manutenzione di infrastrutture pubbliche, forniture per uffici governativi, ecc. Spese per i servizi pubblici come sanità, istruzione, sicurezza sociale, trasporti pubblici, assistenza sociale, ecc. Pagamenti degli interessi sul debito pubblico. Investimenti in infrastrutture come la costruzione di strade, ponti, scuole, ospedali, ecc. Pagamenti di sovvenzioni o trasferimenti a organizzazioni o individui.

Se le entrate superano le uscite, si parla di surplus di bilancio. Se le uscite superano le entrate, si verifica un deficit di bilancio. Il surplus o il deficit sono gli altri elementi del Bilancio dello Stato e possono essere utilizzati per determinare la capacità di prestito dello Stato o la necessità di prendere in prestito denaro da altre fonti.

Quindi abbiano la riserva di bilancio. Alcuni Stati allocano una parte delle loro entrate a una riserva per affrontare emergenze finanziarie future o per eventuali incertezze economiche. E il risultato finanziario, che può essere un utile (se le entrate superano le uscite) o una perdita (se le entrate sono inferiori alle uscite). Questi elementi riflettono la situazione finanziaria complessiva dello Stato durante l'anno fiscale.

Il bilancio statale è un documento fondamentale per la pianificazione finanziaria e la trasparenza del governo, in quanto fornisce informazioni dettagliate sulle entrate e sulle spese pubbliche.

Il Bilancio dello Stato italiano è composto da diverse voci che riflettono le entrate e le spese del governo. Nella categoria entrate fiscali troviamo le entrate provenienti dalle imposte dirette (come l'imposta sul reddito delle persone fisiche e giuridiche), le imposte indirette (come l'IVA e le accise), le imposte locali, i contributi previdenziali e le altre tasse e tributi. Nella categoria entrate non fiscali troviamo quelle non derivate dalle imposte, come i proventi da vendita o affitto di beni statali, dividendi da partecipazioni statali in società, entrate da concessioni e licenze, multe e sanzioni, entrate da servizi pubblici, ecc. Le entrate da finanziamenti e trasferimenti includono le entrate provenienti da prestiti contratti dallo Stato, sovvenzioni e trasferimenti da altri enti o istituzioni (come Unione Europea o altre organizzazioni internazionali).

Le spese correnti comprendono tutte le spese operative del governo, come i salari dei dipendenti pubblici, le spese per beni e servizi, le spese per il funzionamento delle istituzioni, le spese per i servizi pubblici, ecc. Le spese per investimenti e infrastrutture sono quelle destinate alla costruzione, al miglioramento e alla manutenzione delle infrastrutture pubbliche, come strade, ponti, scuole, ospedali, reti di trasporto, energia, comunicazione, ecc. Le spese per il servizio del debito pubblico includono gli interessi e gli altri costi associati al finanziamento del debito pubblico, come i pagamenti di interessi sui prestiti e sui titoli di stato emessi. Le spese per trasferimenti e sovvenzioni riguardano i trasferimenti di denaro o di risorse da parte dello Stato a individui, famiglie, imprese o altre entità, come pensioni, sussidi di disoccupazione, assistenza sociale, sovvenzioni agricole, ecc.

Le spese straordinarie sono le spese non ricorrenti come quelle per la gestione di emergenze, calamità naturali, risanamento di situazioni di crisi, ecc. Queste sono le principali voci che compongono il bilancio statale italiano. Ogni voce riflette una parte delle entrate e delle spese del governo, fornendo un quadro completo delle finanze pubbliche.

Per comprendere il funzionamento del bilancio statale è necessario studiare i concetti di cassa e competenza.

La differenza principale tra i concetti di cassa e competenza riguarda il momento in cui vengono registrate le entrate e le spese nei bilanci finanziari di un'organizzazione, come per esempio quello dello Stato. Il principio di competenza contabile registra le entrate e le spese quando sono guadagnate o incorse, indipendentemente dal momento in cui i flussi di cassa effettivi avvengono. In altre parole, le entrate sono contabilizzate quando sono guadagnate, per esempio quando si rende il servizio o si vende un prodotto, mentre le spese sono contabilizzate quando si incorrono, per esempio quando si acquistano beni o servizi.

Il principio di cassa, invece, registra le entrate e le spese quando avviene l'effettivo movimento di denaro, cioè quando i fondi entrano o escono effettivamente dalla cassa o dal conto bancario. In pratica, le entrate sono contabilizzate quando il denaro viene ricevuto, mentre le spese sono contabilizzate quando il denaro viene effettivamente ceduto.

La competenza si concentra sulla determinazione del reddito netto (differenza tra entrate e spese guadagnate o incorse), mentre la cassa si concentra sul flusso di cassa effettivo. Gli approcci di cassa e competenza possono produrre risultati finanziari diversi e possono essere utilizzati per scopi diversi, per esempio per la pianificazione finanziaria a breve termine (cassa) o per la valutazione della redditività a lungo termine (competenza). Nel contesto della contabilità pubblica, come nel caso delle previsioni della Legge di Bilancio, la distinzione tra cassa e competenza è importante per comprendere meglio il timing dei flussi finanziari e per valutare la capacità del governo di gestire le sue finanze.

Nel contesto delle previsioni della Legge di Bilancio, risparmio pubblico, saldo netto da finanziare e ricorso al mercato, indicano la situazione finanziaria dello Stato. Con il termine risparmio pubblico ci si riferisce alla differenza tra le entrate e le spese pubbliche. Quando il valore è negativo indica che le spese pubbliche superano le entrate. È una misura del bilancio pubblico che mostra se lo Stato è in grado di risparmiare o meno dopo aver coperto tutte le sue spese. Quando è negativo, indica che lo Stato sta spendendo più di quanto guadagna. Il saldo netto da finanziare rappresenta la differenza tra le spese finali e le entrate finali, quindi indica l'ammontare netto che deve essere finanziato attraverso prestiti o altre fonti di finanziamento. Quando è negativo, significa che le spese finali superano le entrate finali e lo Stato deve quindi trovare risorse aggiuntive per coprire questo disavanzo.

Il ricorso al mercato indica l'ammontare di finanziamento che lo Stato dovrà ottenere dal mercato attraverso prestiti. Quando è negativo, significa che lo Stato deve fare affidamento sul mercato dei prestiti per coprire il disavanzo tra le sue entrate e le sue spese, indicando una dipendenza crescente dal debito pubblico. In sintesi, se tutti questi valori sono fortemente negativi, lo Stato ha un'elevata spesa pubblica rispetto alle sue entrate e deve quindi cercare finanziamenti esterni per coprire il deficit. Il che potrebbe indicare una situazione finanziaria precaria o un bilancio pubblico non sostenibile nel lungo periodo.

Ecco la tabella che riassume i risultati differenziali delle previsioni della Legge di Bilancio per gli anni 2024-2026:

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In questa tabella, sono riportati i risultati differenziali sia secondo il principio di competenza che secondo il principio di cassa per ciascun anno.

Ecco la tabella che riassume i risultati differenziali delle previsioni della Legge di Bilancio per gli anni 2024-2026 solo secondo il principio di cassa:

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La situazione finanziaria descritta nelle previsioni della Legge di Bilancio per gli anni 2024-2026 indica una sfida significativa per l’Italia. Tutti e tre gli anni mostrano un risparmio pubblico negativo sia secondo il principio di competenza che di cassa. Ciò significa che le spese pubbliche sono superiori alle entrate previste, indicando una situazione di deficit di bilancio. Anche il saldo netto da finanziare è negativo in tutti gli anni sia secondo il principio di competenza che di cassa. Questo indica che lo Stato deve trovare finanziamenti aggiuntivi per coprire il deficit tra entrate e spese. I valori negativi del ricorso al mercato suggeriscono che lo Stato dovrà fare affidamento sul mercato dei prestiti per ottenere fondi per coprire il disavanzo di bilancio. Ciò implica un aumento del debito pubblico o dei prestiti, il che potrebbe portare a una maggiore pressione finanziaria nel lungo termine.

In sintesi, la situazione finanziaria descritta indica una mancanza di equilibrio tra entrate e spese dello Stato, con un'elevata dipendenza dai prestiti per finanziare le spese correnti e gli investimenti. Questo può essere problematico a lungo termine poiché può portare a un aumento del debito pubblico e a una maggiore vulnerabilità finanziaria dello Stato. Potrebbero essere necessarie misure correttive o strategie di gestione finanziaria per migliorare la situazione e garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche.

Quando si parla di Bilancio dello Stato in Italia, bisognerebbe fare attenzione alle voci che riguardano il contributo portato dai lavorati immigrati. Questo è un argomento molto delicato nel nostro Paese. Si tende a fare confusione tra immigrati clandestini e regolari. Ma nel momento in cui ci rendiamo conto del peso positivo che i lavoratori immigrati hanno sul nostro Bilancio, grazie alle tasse pagate, non dobbiamo ignorare che ogni clandestino può in futuro diventare regolare e quindi contribuente. In uno Stato che tende a invecchiare, che ha un problema demografico che rischia di far fermare l’economia nel giro di 25 anni, questo passaggio potrebbe risultare vitale.

Gli studi fatti negli ultimi anni mettono in evidenza un divario tra la percezione reale della presenza degli immigrati, basata sui dati ufficiali, e la percezione distorta che molti italiani sembrano avere sul fenomeno dell'immigrazione. Molti italiani sovrastimano l'incidenza degli immigrati sulla popolazione complessiva. Il Rapporto Eurispes 2018, e altre ricerche più recenti, mostrano che solo una minoranza degli italiani ha un'idea accurata della percentuale di immigrati nel paese, con molti che sovrastimano la presenza degli stranieri. Gli italiani hanno uno dei più alti errori percettivi riguardo alla presenza di immigrati rispetto agli altri paesi dell'Unione Europea.

Un'indagine condotta dall'ISTAT nel 2012 rivela che oltre il 70% degli intervistati (soprattutto di seconda generazione) concorda in parte o totalmente con l'affermazione "Ci sono troppi immigrati in Italia". Ci sono differenze nelle opinioni tra gli immigrati di prima generazione e quelli di seconda generazione, tra uomini e donne, tra persone con diversi livelli di istruzione e appartenenti a diverse religioni. La percezione varia anche a seconda della nazionalità degli immigrati, con alcune comunità che concordano maggiormente sull'eccessiva presenza degli immigrati in Italia rispetto ad altre. In sintesi, mentre gli italiani tendono a sovrastimare la presenza degli immigrati nel paese, gli stessi immigrati, soprattutto di seconda generazione, esprimono spesso l'opinione che gli immigrati siano troppi. Ci sono anche differenze significative nelle opinioni degli immigrati in base a fattori socio-demografici e culturali.

Analizziamo i dati riguardanti i redditi dichiarati dai nati all'estero in Italia nel 2008 e il loro impatto fiscale. Nel 2008, c'erano 3.242.304 contribuenti stranieri in Italia. I redditi totali dichiarati dai nati all'estero ammontavano a 40.432.106.000 euro, il che rappresentava il 5,2% del totale dei redditi dichiarati in Italia. Sebbene i nati all'estero rappresentassero solo il 7,8% dei contribuenti totali in Italia, i loro redditi costituivano il 5,2% del totale dei redditi dichiarati. Ciò potrebbe indicare che, in media, i nati all'estero hanno redditi più bassi rispetto ai nati in Italia. Il reddito medio dichiarato dai nati all'estero era di 12.639 euro, inferiore di 6.755 euro rispetto al reddito medio dei nati in Italia. Il reddito medio dichiarato dagli uomini nati all'estero era più alto (14.336 euro) rispetto a quello dichiarato dalle donne nate all'estero (10.189 euro).

Inoltre, ci sono significative differenze tra i redditi dichiarati dagli uomini e dalle donne nati all'estero e quelli nati in Italia. Più della metà (50,5%) dei nati all'estero aveva un reddito inferiore a 10.000 euro, rispetto al 33,1% dei nati in Italia. Ciò suggerisce che una parte significativa dei nati all'estero potrebbe trovarsi in fasce di reddito più basse.

Per quanto riguarda il peso delle tasse degli immigrati in Italia, è importante considerare che le tasse pagate dipendono non solo dai redditi, ma anche dalle detrazioni fiscali, dalle aliquote fiscali applicate e da altri fattori. Il fatto che i redditi dichiarati dai nati all'estero rappresentino una percentuale relativamente bassa del totale dei redditi dichiarati in Italia, suggerisce che il loro contributo fiscale potrebbe essere inferiore rispetto a quello dei nati in Italia. Questa è solo una valutazione generale e potrebbero esserci differenze individuali significative a seconda delle circostanze specifiche di ciascun contribuente.

L'analisi svolta fornisce una panoramica dettagliata delle entrate e delle uscite relative agli immigrati in Italia. Questa panoramica è confermata anche per gli anni a seguire il 2019, quindi anche nel periodo post pandemico. Il contributo economico degli stranieri al sistema pubblico italiano supera le spese sostenute per loro, generando un saldo positivo per il bilancio pubblico.

Gli immigrati versano contributi previdenziali obbligatori per un totale di circa 15,4 miliardi di euro, rappresentando il 6,5% del totale dei contributi sociali incassati dall'Inps nel 2019. Questi contributi sono assimilati alle imposte, poiché contribuiscono al finanziamento dei servizi pubblici. Pagano anche l'Irpef, con un gettito di circa 5 miliardi di euro nel 2019.

Gli stranieri contribuiscono anche attraverso imposte indirette come l'Iva, le accise e le tasse locali, per un totale di circa 7,94 miliardi di euro. Vi sono entrate specifiche generate dagli stranieri, come le tasse e le pratiche per il rilascio dei permessi di soggiorno e l'acquisizione della cittadinanza italiana, che portano a un'entrata di circa 275 milioni di euro.

Le spese pubbliche relative agli immigrati includono invece settori come previdenza, assistenza, sanità, istruzione, servizi sociali, edilizia residenziale pubblica, giustizia, ordine pubblico e sicurezza. Queste spese sono stimabili in circa 23,2 miliardi di euro. Dopo aver considerato tutte le entrate e le spese, si verifica un saldo positivo per il bilancio pubblico, stimato in circa 4 miliardi di euro. Questo indica che il contributo economico degli immigrati supera le spese pubbliche sostenute per loro. In sintesi, l'analisi suggerisce che gli immigrati contribuiscono in modo significativo all'economia italiana attraverso il pagamento di imposte e contributi previdenziali, generando un saldo positivo per il bilancio pubblico.

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La tabella riporta un confronto tra le entrate e le uscite dello Stato italiano relative all'immigrazione nel 2019. Per quanto riguarda le entrate vediamo che i contributi previdenziali rappresentano i contributi versati dagli immigrati per la previdenza sociale, stimati a 15.4 miliardi di euro. L’Irpef indica l'imposta sul reddito delle persone fisiche pagata dagli immigrati, stimata a 5 miliardi di euro. L’Iva rappresenta l'imposta sul valore aggiunto pagata sugli acquisti, stimata a 4.5 miliardi di euro. Le altre imposte includono accise sulla benzina e sul tabacco, Tasi, Tari e altre imposte, per un totale di 4.149 miliardi di euro.

Le spese per i servizi pubblici includono spese per sanità, istruzione e altri servizi pubblici, per un totale di 13.19 miliardi di euro. I fondi europei sono quelli assegnati all'Italia per affrontare questioni legate all'immigrazione, stimati a 0.145 miliardi di euro. Le uscite riguardano gli ammortizzatori sociali che sono stimati in 2.5 miliardi di euro. Le altre spese, che includono giustizia, edilizia residenziale pubblica, sicurezza, elettricità, Canone Rai, accoglienza, rilascio/rinnovo dei permessi di soggiorno e acquisizione della cittadinanza formano un totale di 26.75 miliardi di euro.

Il saldo tra entrate e uscite è calcolato sottraendo l'importo totale delle uscite dall'importo totale delle entrate. In questo caso, il saldo è positivo (0.7 miliardi di euro), il che significa che le entrate derivanti dall'immigrazione superano leggermente le spese sostenute per i servizi e gli interventi relativi all'immigrazione nel 2019. Non è sul flusso di stranieri che dovremmo quindi ragionare tramite le scelte della politica. Ma sul quel “superano leggermente”.

Per bilanciare i danni dati dal problema demografico, diventato endemico, sarebbe necessario che quel “superano leggermente” diventasse “superano di molto”. È necessario affiancare alla lotta all’evasione fiscale prodotta dagli italiani, un aumento delle entrate dovute alle tasse pagate dagli immigrati che lavorano in Italia. In questo modo le casse statali potrebbero respirare. Ricordiamoci, infatti, che ogni anno siamo costretti a pagare interessi esorbitanti a causa di un debito pubblico diventato del tutto ingovernabile.