Il tondello metallico, immesso sul mercato da una Zecca dello Stato - termine di derivazione arabo-medievale, da sikka, strumento per coniare -, circolante previa attribuzione di tutte le caratteristiche che consentono di adottarlo come misura di valore e mezzo ufficiale di scambio, è quello che viene definito genericamente “moneta”, parola che ha assunto nel corso della Storia molteplici configurazioni e denominazioni, delle quali proviamo a tratteggiare una breve rassegna per evidenziare alcuni aspetti interessanti di questo intermediario delle transazioni quotidiane ed alcune curiosità, anche in relazione alla terminologia antica e moderna in materia di denaro.

Gli studi di numismatica - la scienza delle monete, dal greco nòmisma e dal latino nummus, indicanti la moneta d’uso o corrente – ricollegano l’origine della parola “moneta” alla Zecca dell’antica Roma, l’officina monetaria denominata in latino Officina Monetae o, semplicemente, Moneta, termine con il quale si indicavano i locali della coniazione ubicati presso il Tempio di Iuno Moneta sul Campidoglio, la dea Giunone che aveva l’appellativo di “Moneta” in relazione al verbo monére, avvertire, collegato ad un episodio (per la verità poco monetario) della storia della Res publica: nel 390 a. C., come ci racconta lo storico Tito Livio (cfr. Ab Urbe còndita libri, Storia di Roma dalla fondazione, 5, 47), i Galli avevano invaso Roma e stavano per conquistare la Rocca del Campidoglio ma, grazie alle oche sacre a Giunone, avvertite nella notte dalla dea ammonitrice e consigliera, i Romani furono avvisati dell’imminente pericolo e riuscirono a respingere l’attacco dei nemici ed a salvare l’Urbe.

In memoria di tali avvenimenti, furono poi eretti il Tempio di Giunone Moneta e la Zecca urbana, che fu posta sotto la protezione della dea; in progresso di tempo, il termine moneta si diffuse nel linguaggio comune per indicare sia l’edificio della Zecca, sia l’oggetto della relativa produzione, la moneta coniata (la locuzione latina percutere monetam significava, infatti, battere moneta, senza dubbio nel senso di coniare il metallo e non nel senso di percuotere una malcapitata Giunone…); dalla radice latina, si sono poi affermate anche le versioni in lingua francese (monnaie) ed in lingua anglosassone (money).

Prima ancora dell’introduzione della moneta coniata (o metallo monetato), risalente al VII secolo a. C. e rintracciabile nell’area geografica dell’antica Grecia e dell’Asia Minore (in particolare, nella Lidia, odierna Turchia occidentale), venivano ampiamente utilizzati con funzione monetaria sia le derrate alimentari sia i metalli (negoziati a peso, in lingotti, pani, barre, etc.) e, pertanto, si utilizzavano inizialmente le cosiddette moneta naturale e moneta-merce: tra i beni più diffusi negli scambi del mondo antico, primeggiava il grano ed, in particolare, l’orzo della Mesopotamia, cereale ampiamente raffigurato e documentato nelle tavolette cuneiformi dei Sumeri (a partire dal IV - III millennio a. C.), parametro di riferimento di carattere monetario sopravvissuto nei secoli fino ad epoca medievale e moderna, tanto è vero che nel Regno di Napoli (XIV – XIX secolo d. C.) esisteva una moneta denominata appunto grano (“grana” al plurale), termine poi invalso anche nel linguaggio popolare nella versione “la grana” come sinonimo generico di denaro.

Un’antica origine pre monetaria è riscontrabile anche nella parola pecunia, il denaro dei Romani, derivante da pecus, voce latina con significato di pecora, gregge, mandria, costituenti anch’essi una proto-moneta, tenuto conto che i capi di bestiame, soprattutto ovini e bovini, costituivano la principale fonte di ricchezza, insieme ai beni immobili, in un sistema economico fondamentalmente agricolo e pastorale: nel corso del tempo, i maggiori vantaggi del metallo (ad esempio, l’indeperibilità, la frazionabilità, i minori costi di gestione) hanno portato al sopravvento della “pecunia” metallica, il denaro scambiato inizialmente nella forma dell’asse (in latino as, moneta di aes, rame/bronzo) e, successivamente, anche nel forma del denario d’argento, il denarius, così denominato in quanto originariamente corrispondente al valore di 10 assi (dalla voce latina deni, dieci).

Il denario, valuta fondamentale del sistema monetario romano, ha avuto lunga vita nel corso del tempo (a partire dal III secolo a. C.) ed è transitato al successivo sistema monetario carolingio, basato infatti sul denaro d’argento, così come previsto dalla riforma di Carlo Magno perfezionata nel 794 d. C.; il nuovo sistema, che ha interessato sia l’Italia sia buona parte dell’Europa medievale, era strutturato su questo denaro, in argento di elevata qualità (titolo 95%), collegato ad altre unità secondo i seguenti rapporti di valore: 12 denari = 1 soldo; 20 soldi = 1 lira (pari, pertanto, a 240 denari), con la lira d’argento (pari a circa 410 grammi) che in questo momento storico era soltanto un’unità di conto o ideale e non ancora moneta effettiva e sonante.

In epoca medievale, il denaro continua ad essere emesso da diverse Zecche italiane con specifiche denominazioni, ad esempio a Bologna viene chiamato bolognino; inoltre, si afferma e si diffonde una moneta di rame con il valore di 4 denari, il “quattrino”, divenuto nel Quattrocento la moneta forse più comune nelle località del centro-nord; nello stesso secolo viene materializzata la moneta d’argento da 240 denari o 20 soldi, cioè la lira, denominata anche “testone”, in quanto riportava al dritto la testa del Principe.

Ad esempio l’immagine di Galeazzo Maria Sforza, Duca di Milano, che nel 1474 fu tra le prime autorità emittenti (insieme al Doge di Venezia, Nicolò Tron, al quale spetta il primato della coniazione, realizzata nel 1471); la variante lessicale del denaro, danaio, sopravvive ancora oggi nel nostro “salvadanaio”, scrigno dei risparmi personali e familiari; nel mondo romano, la borsa per denari era chiamata anche follis, termine che sotto l’Imperatore Diocleziano (284 – 305 d. C.) fu adottato per indicare una nuova moneta di bronzo (oppure di rame argentato), molto diffusa anche nella successiva età bizantina (395 – 1453 d. C.) con il nome follaro.

Ma quello che oggi noi chiamiamo “soldi”, con la parola forse in assoluto più usata per indicare genericamente il denaro, ha un’origine anteriore al sistema monetario medievale ed è rintracciabile nell’evoluzione del sistema monetario romano che, all’epoca dell’Imperatore Costantino (306 - 337 d. C.), era imperniato su una nuova moneta d’oro, non più denominata aureus, bensì nummus solidus o semplicemente solidus, solido, soldo aureo che fu ampiamente coniato e circolante anche in età bizantina; dalla voce latina derivano inoltre le altre parole di uso comune, quali soldato ed assoldare, che fanno riferimento al mercenario tipicamente retribuito in moneta pregiata ed, in generale, alle modalità di reclutamento e pagamento in grado di assicurare la fedeltà delle forze militari.

All’antica monetazione ellenica risale un’altra moneta, l’òbolo, che oggi spesso si usa come riferimento alla moneta spicciola o di poco valore da destinare ad un’offerta: il termine greco originario, obelόs, indicava una verga di metallo, uno spiedo con funzione pre-monetaria ‒ una cosiddetta moneta-utensile utilizzata, ad esempio, nei banchetti comunitari per la distribuzione delle porzioni di cibo ‒, e successivamente si è affermata la variante lessicale obolόs per indicare la sesta parte della principale moneta del sistema ellenico, la dracma, derivante dalla voce greca drax, che significava appunto manciata, rinviando così etimologicamente alla quantità massima di spiedi (sei òboli e, quindi, per estensione, sei monetine) che una persona poteva tenere in mano (dal verbo greco dràssomai, afferrare, impugnare); anche in epoca medievale, l’òbolo indicava le monete di pezzatura minore in termini di peso e potere d’acquisto, di solito corrispondenti al valore di un mezzo “denaro”.

Il sistema ponderale, relativo alle unità di peso, ha sempre preceduto il sistema monetario, costituendone presupposto e base fondamentale: nell’antica Mesopotamia, il siclo d’argento era un peso di circa 8,33 grammi, 60 sicli formavano una mina di circa 500 grammi, 60 mine formavano un talento di circa 30 chilogrammi; mine e talenti, nel Vicino Oriente così come nell’antica Grecia, rimasero sempre soltanto unità di conto, in quanto troppo pesanti e scomode per le transazioni quotidiane.

Mentre furono utilizzate come moneta effettiva le unità divisionarie meno pesanti e più funzionali, quali erano ad esempio il siclo persiano (1/60 di mina) e la dracma ateniese (1/100 di mina); in area italica, la libra indicava sia la bilancia sia la libbra romana di circa 327 grammi, che era l’unità di peso principale, dalla quale derivarono le prime unità monetali in rame/bronzo espresse in once (dall’asse pari ad una libbra, progressivamente ridotto nel corso del tempo, fino all’”oncia” pari ad 1/12 di asse/libbra).

In epoca moderna, il peso è ancora moneta legale in America centrale e meridionale (ad esempio, il pesos messicano ed argentino) e nelle Filippine, oltre ad essere stato valuta spagnola fino all’introduzione dell’Euro; anche il pound britannico, cioè la sterlina inglese, ha avuto come origine l’unità di peso e di massa, cioè una libbra di 373 grammi circa, assunta come parametro di valore (infatti, letteralmente pound = libbra); lo stesso rublo, coniato a partire dal XVI secolo d. C, deriva da una radice russa con significato di tagliare, dividere, e pertanto era ricollegato in origine ad un “pezzo” di un lingotto d’argento ovverosia ad una porzione dell’unità di peso.

Alcune monete dell’antica Grecia erano famose ed ampiamente apprezzate grazie alla particolare iconografia che caratterizzava il tipo monetale, di solito collegata a miti di fondazione od a particolari aspetti di correlazione con il centro emittente: ad esempio, lo statère (o di-dracma, equivalente a 2 dracme) d’argento dell’isola di Egina era chiamato “tartaruga” in virtù della costante rappresentazione della testuggine marina o terrestre al dritto della moneta; la tetra-dracma (di peso/valore pari a 4 dracme) di Atene era a tutti nota come “civetta” per la ricorrente immagine dell’uccello sacro alla dea Atena, raffigurato al rovescio della moneta; le monete di Corinto, riportanti tipicamente la figura di Pegaso, il mitico cavallo alato, erano comunemente denominate “puledri”.

Il darico d’oro, celebre moneta dell’impero persiano, introdotta dal Gran Re Dario, era anche nota come “arciere” per la presenza della tipica effige del soldato armato d’arco (che caratterizzava anche il siclo d’argento); monete di rilievo internazionale erano anche i filippi e gli alessandri, note come valute emesse dai sovrani di Macedonia; analogamente, in epoca medievale (XIII secolo d. C.), il ducato era la moneta d’oro che riportava impressa la figura del Doge di Venezia, il Duca che per primo coniò questa moneta, emessa in seguito anche da altri regnanti con titolo ducale; nello stesso periodo, il fiorino era la moneta d’oro (coniata anche in argento) contraddistinta dal fiore (il giglio) di Firenze, alla quale subentrò nel corso del Cinquecento lo scudo d’oro, caratterizzato dallo stemma nobiliare dell’autorità emittente coniato a forma di scudo, spesso incorniciato da una grande “corona” del regnante che, a sua volta, ha dato il nome ad un’ulteriore moneta di ampia diffusione.

A particolari contesti storico-geografici si possono ricollegare altre monete: ad esempio, il famoso dollaro proviene dal tallero, moneta d’argento che fu prodotta a partire dal Cinquecento sfruttando il metallo della Boemia (Repubblica Ceca) estraibile nella tal, valle in lingua tedesca, e precisamente nella Joachimsthal, la valle di Gioacchino, zona ricca di miniere argentifere.

La ghinea era una moneta inglese così denominata in quanto coniata nel 1600 con l’oro proveniente dalle coste africane delle Guinea; la sterlina, che viene ricollegata di solito al pound of sterling silver, cioè alla libbra di argento sterling (lega di argento e rame), secondo alcuni studi potrebbe fare riferimento al termine East-sterling, da intendere nel senso di moneta coniata dagli uomini ad Est della Gran Bretagna, cioè ad opera dei mercanti tedeschi del XII secolo d. C., in particolare quelli della Lega anseatica (soprattutto gli operatori di Lubecca), molto esperti nell’arte del conio; la sterlina d’oro era anche chiamata sovrana (gold sovereign), in quanto emessa per la prima volta nel 1489 da Enrico VII.

Per concludere questa breve panoramica, ricordiamo ancora il tarì, moneta d’oro (e poi anche d’argento) di origine orientale, dalla radice araba tariy, fresco (di conio), introdotta dagli Arabi di Sicilia nel corso del X secolo d. C., e poi ampiamente diffusa in tutta l’Italia meridionale fino almeno al 1800; lo yen giapponese, che si ricollega alla forma tipica della moneta, derivando infatti dal cinese yuan, cosa rotonda; infine, l’innovativa cripto-valuta dei nostri tempi, che si configura come una moneta digitale e virtuale, pertanto non reale né concreta, come rivela bene la sua etimologia (dal greco antico* κρυπτός, kryptόs*, nascosto, coperto, occulto, segreto).