Le “schiave del patriarcato” sono donne che vivono in contesti sociali, culturali o religiosi dove spesso non hanno la possibilità di prendere decisioni autonome, subendo restrizioni sui loro diritti fondamentali, come l'accesso all'istruzione, al lavoro, alla salute e alla libertà di espressione. In alcune regioni del mondo, come ben noto, tradizioni patriarcali anacronistiche limitano le donne perfino nel diritto di muoversi liberamente, scegliendo in modo restrittivo ogni aspetto della loro vita, dai rapporti personali al modo di vestirsi e comportarsi.

L'anacronismo del patriarcato si riferisce al fatto che, in una società moderna caratterizzata da un progresso sociale, scientifico e tecnologico sempre più rapido, il patriarcato appare come un sistema obsoleto e fuori luogo. In un mondo che valorizza l'uguaglianza dei diritti, la parità di genere e l'emancipazione individuale, il patriarcato perpetua un modello di organizzazione sociale che sembra appartenere a epoche passate, in cui la subordinazione delle donne agli uomini era considerata naturale e giustificata.

In alcuni Paesi, dove le strutture di potere sono fortemente influenzate da un sistema patriarcale che impone ruoli e limitazioni basati sul genere, il raggiungimento di una vita libera e autonoma risulta difficile. In alcune di queste realtà, alle donne è persino proibito mostrare il volto in pubblico. Le donne sono costrette a rispettare modelli di subordinazione che le relegano in posizioni di sottomissione, e in alcuni casi si giustifica persino la violenza o la discriminazione.

La schiavitù del patriarcato

Si tratta di un tema complesso e cruciale, che racchiude in sé secoli di dominazione, controllo e marginalizzazione esercitati attraverso strutture sociali che relegano le donne, e più in generale le minoranze, a ruoli subordinati. Il patriarcato si fonda su una concezione gerarchica delle relazioni di potere, che privilegia gli uomini e limita l'autonomia e le libertà di coloro che vivono ai margini di questa struttura. La "schiavitù" diventa dunque una metafora della condizione imposta alle donne e a chiunque non rientri in un rigido schema di mascolinità dominante.

Il patriarcato non agisce solo a livello sociale o istituzionale, ma penetra profondamente nelle norme culturali e nelle abitudini quotidiane, creando un sistema di valori che ostacola l'emancipazione e rafforza la disparità. Le sue radici affondano in epoche antiche, e tuttora ne vediamo le tracce in diverse culture e tradizioni che spesso limitano il potenziale umano in nome di costrizioni legate all'identità di genere. Questa struttura, che ancora oggi mantiene la sua influenza in molti contesti, non è solo un problema di genere, ma una questione di giustizia e diritti umani.

Paesi dove il patriarcato è presente in maniera esasperata

Occorre premettere che il patriarcato non è esclusivo di specifiche aree geografiche o religioni, sebbene le sue manifestazioni siano più estreme in alcune zone.

Alcuni Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa presentano leggi e tradizioni che subordinano le donne, limitando i loro diritti in vari ambiti della vita pubblica e privata. In Arabia Saudita, per esempio, le donne hanno ottenuto il diritto di guidare solo recentemente e sono soggette a leggi sulla tutela maschile che richiedono il permesso di un uomo per viaggiare, lavorare o sposarsi. In Iran, le donne devono rispettare un codice di abbigliamento obbligatorio e affrontano severe restrizioni nelle loro libertà personali e professionali. In Afghanistan, le donne subiscono pesanti restrizioni imposte dai talebani, che limitano l'accesso all'istruzione e alle attività sociali.

Anche in alcune zone del Sud-est asiatico, dell’Africa subsahariana e dell’Asia meridionale, come in India, Pakistan e Bangladesh, esistono tradizioni patriarcali che limitano fortemente la libertà delle donne, costringendole in ruoli subordinati e soggette a violenze e pressioni sociali per conformarsi. Qui le donne possono subire discriminazioni legate alla dote, matrimoni precoci e violenze domestiche con scarse tutele legali.

Nelle società occidentali, dove le donne godono di maggiori diritti e libertà, il patriarcato persiste anche se sotto forme più sottili, come il divario salariale, la disparità di rappresentanza e fenomeni di sessismo e violenza di genere. Questi Paesi non presentano le restrizioni estreme di altre regioni, ma le norme patriarcali continuano a influenzare profondamente la vita delle donne. È importante evidenziare, inoltre, se alcune religioni abbiano un'influenza sulle obsolete strutture sociali.

Le religioni e le obsolete strutture del patriarcato

Le religioni, nel corso della storia, hanno spesso contribuito alla formazione e al consolidamento di norme sociali e culturali che hanno influenzato le strutture di potere e i ruoli di genere. In molti contesti, l’autorità delle religioni e dei loro testi sacri è stata utilizzata per giustificare sistemi patriarcali, con ruoli di genere rigidi che subordinano le donne agli uomini. Questi modelli sono stati tramandati e spesso radicati come tradizioni sacre e immutabili, nonostante siano basati su interpretazioni di contesti storici specifici.

Alcuni aspetti del patriarcato, che si trovano in molte società, hanno infatti una radice religiosa, non sempre per via dei principi originali delle religioni, ma piuttosto a causa di interpretazioni che ne hanno enfatizzato i tratti maschili e gerarchici.

Le donne maggiormente private dei propri diritti appartengono a diverse religioni. In molti casi, pratiche patriarcali sono giustificate attraverso interpretazioni religiose, ma non sono necessariamente un riflesso dei principi fondamentali di quelle fedi. Tuttavia, ci sono contesti in cui l'applicazione rigida di alcune leggi religiose e di consuetudini patriarcali ha portato a limitazioni severe dei diritti delle donne.

In alcuni Paesi musulmani, le donne subiscono interpretazioni conservatrici della Sharia1, con restrizioni significative sui loro diritti, specialmente nei settori del matrimonio, del divorzio, della custodia dei figli, dell'istruzione e del lavoro. In particolare, in Paesi come Arabia Saudita, Afghanistan sotto i Talebani, e Iran, le donne affrontano restrizioni riguardanti la libertà di movimento, l'abbigliamento (come l'obbligo del velo), l'accesso all'istruzione e l'occupazione. Queste limitazioni sono spesso legittimate attraverso interpretazioni patriarcali dell'Islam, nonostante esistano interpretazioni alternative più egualitarie.

Un esempio ben noto è come in Afghanistan, durante il regime talebano (e anche dopo il ritorno dei Talebani nel 20212), le donne sono state gravemente limitate nella loro capacità di ricevere istruzione, lavorare fuori casa o persino uscire senza un parente maschio. Come riporta vaticannews del 15 agosto 2024: «Oggi una donna non può camminare da sola per strada, non può lavorare tranne in casi circoscritti e non può più essere educata dopo gli 11 anni. Una segregazione che non permette alle afghane di partecipare alla vita pubblica al pari degli uomini».

In alcuni Paesi con contesti Hindu Tradizionalisti, soprattutto in India e Nepal, le donne affrontano discriminazioni legate a pratiche come la dote, i matrimoni infantili e la vedovanza. Sebbene queste pratiche non siano necessariamente prescritte dall'induismo, la tradizione culturale ha portato alla subordinazione delle donne in molti casi. Anche la mancanza di accesso all'istruzione e la violenza domestica rimangono problemi critici.

Ad esempio, in alcune aree rurali dell'India, la pratica della sati (dove la vedova si immolava sulla pira funebre del marito) era una tradizione che rifletteva l'estrema subordinazione delle donne, anche se ora è illegale e raramente praticata.

In alcune comunità cristiane fondamentaliste, soprattutto nei movimenti evangelici estremisti o in alcune comunità mormoni o amish, le donne possono affrontare restrizioni significative. Queste restrizioni includono l'aspettativa che le donne rimangano a casa per occuparsi esclusivamente della famiglia e siano soggette all'autorità del marito. Sebbene tali pratiche siano meno comuni rispetto ad altre regioni, le donne in questi contesti possono subire forti pressioni sociali per conformarsi a ruoli di genere tradizionali. Ad esempio, in alcune comunità mormoni fondamentaliste negli Stati Uniti, la poligamia e il matrimonio forzato o giovanile sono pratiche che possono privare le donne dei loro diritti e della loro autonomia.

In alcune comunità indigene o tribali, spesso isolate dal resto del mondo e soggette a norme patriarcali radicate nelle loro tradizioni, le donne possono essere private di diritti fondamentali. In esse la violenza di genere, i matrimoni forzati e il controllo maschile sulla vita delle donne sono preoccupazioni comuni. Ad esempio, in alcune comunità tribali dell'Africa o del Sud America, le donne sono vittime di pratiche come la mutilazione genitale femminile (MGF) e matrimoni precoci.

Esistono anche Paesi in cui i diritti civili e la libertà religiosa sono severamente limitati e le donne, indipendentemente dalla loro fede, possono essere private quasi totalmente dei loro diritti. Ad esempio, nella Corea del Nord o in Eritrea, dove la religione è fortemente controllata dallo Stato, donne di ogni fede affrontano repressioni pesanti. In questi casi, non è tanto la religione in sé a privare le donne dei loro diritti, quanto la dittatura o il totalitarismo.

Le tre religioni abramitiche

Le tre religioni monoteiste – ebraismo, cristianesimo e islam – hanno in comune storie e figure patriarcali che sono state interpretate per giustificare la predominanza maschile. Tuttavia, occorre riconoscere che le interpretazioni delle scritture possono variare notevolmente e che, in molti casi, il messaggio spirituale originario delle religioni è stato reinterpretato in funzione di variazioni sociali e, qualche volta forse anche di interessi di potere sociale e politico.

Oggi, molte comunità religiose e leader spirituali stanno riconsiderando queste interpretazioni per promuovere un’uguaglianza di genere che si allinei con i valori di giustizia, amore e compassione presenti nei loro insegnamenti. La sfida sta soprattutto nella contestualizzazione delle religioni, nel reinterpretare i testi e le pratiche in una chiave che valorizzi la dignità e l’uguaglianza di tutti, superando le tradizioni patriarcali che hanno radici antiche ma che risultano oggi anacronistiche per molte società.

Contestualizzare le religioni

La religione non è solo un insieme di credenze, ma un fenomeno complesso radicato nella storia e nella cultura di un popolo. Contestualizzare una religione significa comprenderne le origini e l'evoluzione, e applicarla in un contesto che tenga conto dei cambiamenti sociali e culturali. La religione, quindi, non deve essere vista come un sistema rigido, ma come un fenomeno in continua evoluzione che deve adattarsi ai cambiamenti della società.

La contestualizzazione nelle tre religioni principali

  1. Cristianesimo: con il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica ha introdotto riforme per adattare la fede alle esigenze moderne. Anche il protestantesimo ha enfatizzato l'interpretazione personale della Bibbia.

  2. Ebraismo: le correnti riformista e conservatrice hanno reinterpretato la Torah per rispondere alle sfide del cambiamento sociale, mantenendo al contempo la centralità dei precetti.

  3. Islam: purtroppo, nonostante alcuni tentativi di riforma, l'Islam è ancora rigidamente applicato in alcuni Paesi dove le interpretazioni tradizionali prevalgono su quelle più adattate ai cambiamenti culturali.

Il patriarcato nei Paesi a bassa contestualizzazione religiosa

Nei Paesi dove la contestualizzazione della religione è limitata, i diritti delle donne sono quasi inesistenti e il patriarcato rimane estremamente rigido, con la sottomissione femminile considerata parte naturale della società.

In alcuni Paesi, dove la contestualizzazione è spesso osteggiata da correnti conservatrici e tradizionaliste, l'Islam ha mantenuto una forma meno adattata ai contesti culturali locali, seguendo interpretazioni rigorose che tendono a limitare l’influenza di altre tradizioni e norme culturali. Tra questi Paesi vi sono:

  1. Arabia Saudita: qui è mantenuta una forte aderenza alla Sharia, di conseguenza, il Paese è famoso per una visione particolarmente rigorosa del Corano e della Sunnah3, limitando influenze esterne e pratiche culturali locali.

  2. Iran: il sistema della Repubblica Islamica impone una rigorosa applicazione delle leggi islamiche strettamente legate ad un Corano assolutamente non contestualizzato.

  3. Afghanistan: soprattutto sotto il controllo dei Talebani è applicata un’interpretazione conservatrice dell’Islam, spesso ignorando le tradizioni locali o considerandole in contrasto con la Sharia. Sotto il loro regime, l’Islam viene applicato rigidamente e con una certa avversione per l’adattamento culturale.

  4. Alcune regioni del Pakistan: in aree tribali come il Waziristan4 prevalgono interpretazioni estremamente rigide che non accettano compromessi con norme o costumi esterni alla dottrina islamica tradizionale. In queste zone, l’applicazione della Sharia e di interpretazioni tradizionali è molto severa.

  5. Qatar: anche se in misura minore rispetto ad Arabia Saudita e Iran, il Qatar segue una versione rigorosa dell’Islam, influenzata dal wahhabismo5. Tuttavia, con l'aumento della popolazione espatriata, parte della popolazione ha una visione meno dura, anche se il Paese conserva molte delle sue rigide tradizioni islamiche.

Questi Paesi rappresentano ambiti territoriali in cui l’Islam si è contestualizzato molto meno rispetto ad altre realtà come Indonesia, Turchia, e alcuni Stati africani, dove si è invece in parte adattato alle culture locali in modo più significativo.

Non è difficile comprendere che nei Paesi con poca o nessuna contestualizzazione della propria religione di riferimento i diritti della donna sono quasi inesistenti e di fatto il patriarcato ha ancora una struttura estremamente rigida e anacronistica, dove la sottomissione all’uomo è un fatto quasi connaturato con la loro società.

Azioni per tentare di smantellare il patriarcato

Per promuovere un cambiamento verso un sistema più equo, è necessario adottare un approccio multilivello che coinvolga educazione, cultura, leggi e responsabilizzazione sociale. È fondamentale che gli uomini abbandonino le pratiche patriarcali e che vengano coinvolti attivamente nel processo di cambiamento, comprendendo i benefici di una società più giusta per tutti, sia per sé stessi che per le donne. Alcune azioni chiave in questo percorso includono:

Educazione alla parità di genere: insegnare fin dall'infanzia il rispetto e l'uguaglianza tra i sessi per superare gli stereotipi di genere.

Promozione della leadership femminile: incentivare la partecipazione delle donne in tutti i settori, dalla politica al lavoro, per combattere le disparità di genere.

Riforma delle leggi: modificare le normative che perpetuano la discriminazione, garantendo pari diritti a uomini e donne.

Cambiamento delle dinamiche familiari: mostrare come i ruoli all'interno della famiglia possano essere condivisi equamente, senza distinzioni di genere.

Responsabilizzazione degli uomini: coinvolgere attivamente gli uomini nel cambiamento, evidenziando come il patriarcato danneggi anche loro, limitando la libertà e l'uguaglianza autentica.

Nei Paesi in cui l’Islam dominante non ha subito una contestualizzazione significativa e la sharia spesso guida l’azione del governo, una soluzione possibile appare nella rivolta delle donne musulmane, che potremmo definire "schiave del patriarcato". La lotta delle donne contro il patriarcato è non solo possibile, ma già in atto in diverse aree del mondo, manifestandosi in forme diverse a seconda del contesto culturale, sociale e politico.

In molti Paesi, le donne stanno organizzandosi per rivendicare diritti e uguaglianza di genere. I movimenti femministi globali amplificano le voci contro le ingiustizie e le violenze patriarcali. In alcuni casi, come nelle recenti proteste in Iran contro l'obbligo del velo e le restrizioni sui diritti personali, le donne scendono in piazza per opporsi a leggi e pratiche discriminatorie. Anche in Occidente, dove le leggi tendono a essere più paritarie, le donne continuano a lottare per una reale equità nelle opportunità economiche, sociali e politiche. Tuttavia, il segnale di una rivolta forte sta emergendo soprattutto dalle donne musulmane che, interpretando in modo progressista il Corano e le leggi islamiche, rivendicano i propri diritti e affermano che l’Islam, nella sua essenza, promuove l’uguaglianza di genere e il rispetto della dignità umana.

Alcuni versetti del Corano sono stati storicamente usati per giustificare il ruolo subordinato delle donne, ma studiosi e attivisti, soprattutto nell'ambito del femminismo islamico, sostengono che queste interpretazioni riflettono una lettura patriarcale piuttosto che l’essenza dell’Islam. È importante distinguere i versetti coranici con valenza universale da quelli che riflettevano la realtà storica e culturale del VII secolo in Arabia. Ad esempio, il versetto che attribuisce la "superiorità" dell'uomo nella gestione familiare (“Gli uomini sono preposti alle donne…” – Corano 4:34) è spesso interpretato in senso patriarcale. Tuttavia, esegeti moderni suggeriscono che questi versetti vanno compresi nel contesto socioeconomico dell’epoca, in cui la responsabilità della famiglia era assegnata agli uomini. Oggi, in una società in cui uomini e donne condividono queste responsabilità, tali versetti potrebbero essere reinterpretati in modo più equo.

Il “femminismo islamico”

Il femminismo islamico è un movimento in crescita che cerca di conciliare i principi islamici con i diritti delle donne, sottolineando che la giustizia e l'uguaglianza sono valori centrali dell'Islam. Le femministe islamiche affermano che, seguendo una lettura attenta del Corano, l'uguaglianza tra uomini e donne può emergere chiaramente. Esse sfidano il patriarcato non negando l'Islam, ma affermando che le ingiustizie verso le donne derivano da pratiche e interpretazioni culturali, non dalla fede stessa.

Il movimento che si è sviluppato è particolarmente visibile in alcuni paesi e cerca di conciliare la fede religiosa con la giustizia sociale e i diritti delle donne.

Un esempio emblematico è quello di figure come Malala Yousafzai, che ha lottato per il diritto all'istruzione delle ragazze in Pakistan6, o delle attiviste in Arabia Saudita che hanno sfidato il divieto di guida per le donne, infine revocato nel 2018. Anche in Iran, le proteste delle donne contro l'obbligo di indossare il velo, come nel movimento My Stealthy Freedom7, mostrano una crescente resistenza contro norme restrittive.

Le difficoltà che queste donne affrontano includono spesso repressione governativa, condanne sociali e a volte anche violenza. In molte società musulmane tradizionali, le norme patriarcali sono profondamente radicate e vengono giustificate in nome della religione, anche se si tratta spesso di interpretazioni storiche o culturalmente specifiche dell'Islam. Questo rende la lotta contro il patriarcato particolarmente complessa, poiché va a toccare non solo strutture sociali, ma anche convinzioni religiose fortemente sentite.

A rafforzare il “femminismo islamico” c’è il ricordo del ruolo delle donne nella storia islamica. Non può essere dimenticato che, nel primo periodo dell'Islam, le donne ebbero ruoli significativi, sia sociali che politici. Donne come Khadija, la prima moglie del Profeta Muhammad, prima donna ad abbracciare l'Islam è soprannominata "Madre dei Credenti". Donne che erano leader rispettate nel commercio e nella società. Aisha, un'altra moglie del Profeta, è ricordata come una delle più importanti trasmettitrici di hadith (detti del Profeta) e come una figura di autorità religiosa. Questo dimostra che nella storia islamica ci sono stati momenti in cui le donne hanno avuto ruoli influenti, e questo viene spesso dimenticato o oscurato dalle interpretazioni più recenti, ma ricordato dal movimento femminista islamico.

E in Iran per le donne sarà mai possibile un ritorno al recente passato?

Riporto l’esempio dell’Iran come esempio di uno zoccolo duro per la libertà delle donne. In Iran, un ritorno al recente passato di maggiore libertà per le donne è possibile, ma estremamente complesso. Negli ultimi decenni, le donne iraniane hanno subito restrizioni significative, soprattutto a partire dalla Rivoluzione Islamica del 1979, quando il regime ha imposto una serie di leggi che limitano i diritti e le libertà femminili, come l'obbligo del velo (hijab) e restrizioni nel lavoro, nell'istruzione e nella vita pubblica.

Tuttavia, le donne iraniane hanno costantemente resistito a queste restrizioni, sia attraverso proteste aperte che con atti quotidiani di disobbedienza civile. Movimenti come My Stealthy Freedom o le proteste contro l'obbligo di indossare il velo, soprattutto a partire dal 2017 con il movimento Le ragazze di via Enghelab8, mostrano la determinazione delle donne iraniane nel voler riconquistare spazi di libertà.

Nel settembre 2022, la morte di Mahsa Amini, una giovane donna arrestata dalla "polizia morale" per non aver indossato correttamente il velo, ha scatenato proteste di massa in tutto il paese, segnando un punto di svolta nella resistenza popolare.

Il periodo pre-rivoluzionario, sotto lo Shah, pur con i suoi limiti e problemi, garantiva alle donne iraniane maggiori diritti legali e una libertà sociale più ampia, come la possibilità di scegliere come vestirsi, di accedere più facilmente a posizioni di rilievo e di partecipare attivamente alla vita politica e culturale. Un ritorno a quei livelli di libertà richiederebbe una trasformazione politica significativa in Iran. Il regime attuale, basato su un'interpretazione rigida dell'Islam sciita, vede il controllo del corpo e della vita delle donne come un elemento fondamentale del suo potere ideologico. Tuttavia, le proteste recenti mostrano che c'è una crescente insoddisfazione, non solo tra le donne, ma anche tra molti giovani e uomini, contro queste restrizioni. Questo movimento ha il potenziale per trasformare la società iraniana, anche se il regime ha risposto con violenza e repressione.

La strada verso una maggiore libertà per le donne iraniane dipenderà dalla capacità del movimento di resistenza di mantenere la pressione sul governo, dalla risposta internazionale e dal sostegno all'interno del paese. Se questi elementi si uniscono, è possibile che si verifichino cambiamenti significativi, anche se il processo sarà probabilmente lungo e difficile.

Considerazioni finali

Il patriarcato, come modello di organizzazione sociale, è sempre più percepito come una reliquia del passato, inadatta a una società che valorizza la giustizia, l’uguaglianza e la dignità per tutti gli esseri umani. Le nuove generazioni, le conquiste sociali e la globalizzazione dei diritti stanno accelerando questo processo di superamento del patriarcato, facendolo apparire sempre più come un sistema anacronistico che ostacola il progresso verso una vera parità di genere.

Nel mondo musulmano la presunta inferiorità delle donne scritta nel Corano richiede un lavoro di reinterpretazione, educazione e attivismo. Non si tratta di rigettare la religione, ma di rivalutarne i testi in modo che riflettano i principi di giustizia e uguaglianza che sono già presenti nel Corano. Le donne musulmane stanno già lavorando attivamente in questa direzione, e anche se la strada è lunga e complessa, il cambiamento è possibile.

La lotta contro il patriarcato richiede un cambiamento radicale e collettivo, che passa attraverso la revisione delle tradizioni, delle leggi e delle mentalità, e l'adozione di valori che promuovano l'uguaglianza e la libertà per tutti gli individui.

Le donne che sono state oppresse dal patriarcato sono spesso quelle più consapevoli delle ingiustizie che subiscono e, proprio per questo, sono in prima linea nella lotta per abbattere queste strutture. Ci sono molti esempi storici e attuali di donne che si ribellano al sistema patriarcale, nonostante i rischi enormi che comporta, dimostrando una capacità di resilienza impressionante contro un sistema che le ha sottomesse per secoli. Nonostante le limitazioni imposte, hanno trovato modi creativi per sfidare il patriarcato, attraverso movimenti femministi, proteste, e la costruzione di reti di solidarietà.

La morte del patriarcato potrebbe avvenire grazie al contributo fondamentale delle donne che, nonostante siano state storicamente sottomesse, stanno dimostrando una straordinaria capacità di resistere e trasformare le strutture oppressive. Tuttavia, la lotta per la parità di genere e l’eliminazione del patriarcato non può essere un peso esclusivo sulle spalle delle donne. Sebbene siano le principali protagoniste nel portare avanti questa rivoluzione sociale, il cambiamento richiede un’azione collettiva che coinvolga anche gli uomini e le istituzioni.

La donna per potere reagire deve avere un sostegno economico che la renda autonoma, ma l’elemento di maggiore importanza è la reazione internazionale che si deve muovere a sostegno delle donne nei Paesi in cui sono quasi totalmente private della loro dignità. Paesi che ancora persistono in tali forme anacronistiche di patriarcato dovrebbero essere messi al bando e eliminare con essi qualunque rapporto politico e commerciale, solo così forse si potrebbe sperare in un vero cambiamento. Comprendo anche che una tale azione potrebbe sembrare utopistica, poiché l’interesse economico da sempre è prevalso sulle vite umane. Occorre che uomini e donne decisi e di particolare valore, appartenenti a Paesi dove ancora vige tale forma di patriarcato, vengano sostenuti internazionalmente per rovesciare regimi dove i diritti umani vengono di fatto calpestati. La rivolta delle schiave del patriarcato difficilmente potrà sostenersi senza tali iniziative internazionali.

Le donne musulmane che lottano contro il patriarcato stanno portando avanti una causa fondamentale per il futuro della loro società e del mondo intero e sono certo che saranno loro stesse a dare l’affondo principale per debellare il patriarcato.

Sostenere concretamente le loro battaglie significa rafforzare la lotta per la giustizia, l'uguaglianza e la dignità. Il nostro ruolo, come europei, è quello di essere loro alleati e sostenitori, di utilizzare le risorse, il potere diplomatico e le piattaforme disponibili per dare visibilità, protezione e supporto a queste donne coraggiose, contribuendo così a creare un cambiamento globale.

Note

1 La legge islamica che rappresenta la «strada rivelata», quindi la legge sacra che non elaborata dagli uomini, ma imposta da Dio.
2 Il 15 agosto del 2021 c’è stato il ritiro dal Paese asiatico delle forze internazionali e il ritorno al potere del governo dei fondamentalisti islamici.
3 La Sunnah è l'insieme delle norme comportamentali essenziali ricavate non dal Corano, ma dalla condotta di Maometto.
4 Regione montagnosa del nord-ovest del Pakistan.
5 Il Wahhabismo è un movimento di riforma religiosa basato su una rigida interpretazione del Corano ed ha tra i principi quello di una riscoperta dei vari canoni originari dell’Islam.
6 Malala Yousafzai ha 11 anni quando ha iniziato la sua lotta per il diritto delle ragazze all'istruzione e contro l'estremismo dei talebani in Pakistan. Lotta che ha continuato anche dopo aver subito un attentato nel 2012. Nel 2014 Malala ha ricevuto insieme ad altri il premio Nobel per la pace "per la sua lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i minori all'istruzione”.
7 "My Stealthy Freedom" è un movimento sociale nato nel 2014 per iniziativa della giornalista iraniana Masih Alinejad. La campagna è stata lanciata sui social media come protesta contro l'obbligo di indossare il velo (hijab) per le donne in Iran. Alinejad ha incoraggiato le donne iraniane a condividere foto di sé stesse senza velo in spazi pubblici e a raccontare le loro storie di sfida e libertà personale. Questa iniziativa ha dato vita a un vasto movimento, diffondendosi rapidamente sui social sotto l'hashtag #MyStealthyFreedom. Il movimento rappresenta un atto di resistenza civile: senza organizzare manifestazioni pubbliche o proteste di massa, le donne partecipano in modo discreto e individuale. Molte pubblicano foto e video in cui si tolgono il velo in pubblico, scegliendo luoghi e momenti in cui possono farlo in sicurezza, anche se spesso a rischio di essere arrestate o perseguitate. "My Stealthy Freedom" non si limita a contestare l'obbligo del velo, ma porta alla luce questioni più ampie riguardanti i diritti delle donne, la libertà di espressione e l'autodeterminazione. Alinejad ha ampliato la campagna creando una piattaforma per discutere e denunciare altre forme di oppressione nei confronti delle donne in Iran, come la discriminazione lavorativa e la violenza domestica.
8 "Le ragazze di via Enghelab" è un movimento di protesta nato in Iran nel 2017 contro l'obbligo di indossare il velo. Il nome si riferisce a "Enghelab Street" a Teheran, una via simbolo della rivoluzione del 1979 che trasformò il paese in una Repubblica islamica e impose regole più rigide, tra cui l'obbligo dell'hijab per tutte le donne.