Come era facilmente prevedibile, è emersa la totale inconsistenza delle percentuali riferite da Trump per giustificare l’introduzione, del tutto arbitraria e ingiustificata, dei dazi nei confronti dei vari Paesi.

Attraverso un sistema di calcolo che probabilmente si posiziona ad un livello più basso della scuola primaria, talmente assurdo, sbagliato e irrealistico, valutato da qualsiasi economista come totalmente errato e distorto, Trump è arrivato a sostenere improbabili percentuali che gli altri Paesi, secondo lui e il suo staff, avrebbero imposto agli Stati Uniti.

Non entro nel merito dell’assurdità del calcolo, già ampiamente descritto da economisti e riportato dalla stampa di tutto il mondo, mi limito qui a sottolineare che tali percentuali al massimo sono indicatori della disparità tra importazioni ed esportazioni degli Stati Uniti, ma nulla hanno a che fare con tassazioni imposte.

Il quadro che emerge è ben diverso.

Intanto, una mossa del genere rivela un’economia in profonda crisi, unitamente ad un sentiment marcatamente negativo.

In secondo luogo, se spaccio per dazi lo sbilanciamento commerciale negativo significa che l’intento che ho non è tanto quello di “punire” gli esportatori stranieri virtuosi, ma quello di favorire l’economia nazionale facendo rientrare la produzione negli Stati Uniti.

In altre parole, significa attuare una mossa, dall’esito soltanto ipotizzabile, che vuole limitare od ostacolare il fenomeno della globalizzazione, in particolare nella sua declinazione di delocalizzazione della produzione in aree con manodopera a basso costo.

Ora ragioniamo con la psicologia, cerchiamo cioè di interpretare la mossa, ipotizzando un possibile scenario.

Dunque, innanzi tutto se l’intento che sta alla base dei “finti dazi” e dei conseguenti dazi fintamente “reciproci” è quello di riportare la produzione, di aziende americane e di aziende straniere, all’interno del territorio degli Stati Uniti evitando così i dazi (questi sì sono dazi, imposti dagli USA), ne conseguirebbe certamente un aumento della produzione interna e del consumo di prodotti americani, diremmo al 100% americani. Ma questo non può avvenire subito, dall’oggi al domani.

E che cosa dovrebbe succedere agli altri Paesi? Certamente potremmo ipotizzare una diminuzione di esportazioni negli Stati Uniti dei prodotti di medio o basso target, prodotti non particolari, come pure di tutti quei prodotti di aziende che decideranno volontariamente, in via precauzionale o ritorsiva, di non esportare più a tariffe rincarate per il cliente finale.

Per i prodotti destinati ad una clientela ricca, prodotti alta gamma, prodotti specifici e particolari, già costosi prima negli Stati Uniti, a mio avviso non dovrebbero esserci cali rilevanti nella richiesta.

Anzi, nello specifico dell’Italia, possiamo tranquillamente affermare che il 20% di dazio imposto, seguendo il bizzarro e sbagliato calcolo fatto da Trump, sarebbe stato ben più alto se nel calcolo non si fosse considerata l’esportazione dell’Unione Europea nel suo insieme. In altre parole, possiamo con sicurezza sostenere che in questa distorta contromisura di Trump all’Italia è andata molto bene che si fosse in Unione Europea!

A questo punto, uscendo dal nostro Paese, mi sento di sostenere che agli altri Paesi soggetti a queste contromisure (compresi anche molti Paesi europei) non è andata certamente bene, per alcuni probabilmente il fatto di essere in Europa ha penalizzato, perché le percentuali di esportazione di Paesi come Italia e Francia hanno fatto alzare la percentuale totale: gli effetti – magari non immediati – di riduzioni drastiche di esportazioni rappresenteranno un problema decisamente rilevante.

In ogni caso, nell’immediato, e nel breve periodo, i sentimenti di paura, di ansia, di confusione prevalgono, con effetti che vediamo sulle borse di tutto il mondo.

Ma che cosa fare allora per gestire l’immediato e il futuro a medio termine?

Per gestire l’immediato occorrerebbe innanzi tutto un’azione che trasmettesse fermezza e rassicurazione nelle persone. Soprattutto in Europa, sarebbe fondamentale una comunicazione che stemperasse la paura, che tranquillizzasse. Per intenderci, esattamente l’opposto delle comunicazioni scomposte di riarmo dei singoli Paesi, o peggio ancora il delirante video di preparazione del kit di sopravvivenza!

Mi si dirà che entrambi questi interventi sono stati fatti non verso l’imposizione dei dazi bensì verso possibili coinvolgimenti diretti in guerra.

Rispondo che non soltanto si sapeva già perfettamente che sarebbe arrivata un’imposizione di dazi, già ampiamente annunciata e ripetuta, ma che anche l’economia e il commercio di prodotti possono essere intesi come una sorta di guerra: la guerra commerciale in atto è attiva ed è stata preannunciata. Quindi gli interventi di Ursula von der Leyen e il video di Hadja Lahbib hanno avuto purtroppo effetti in riferimento ad entrambe le guerre, quella commerciale e quella diremmo fisica. Ma soprattutto entrambi gli interventi, con le posizioni espresse e il mood associato, hanno avuto ed hanno effetti sull’emotività delle persone.

Ma riferiamoci anche al concreto: l’imposizione, a nostra volta, di dazi per gli Stati Uniti. Ecco, se dovessi dire in termini forse poco psicologici che cosa rappresenterebbe questa “mossa”, potrei dire che rincarare la dose con dazi messi a nostra volta equivale a soffiare sul fuoco, a giocare a imitare il bullo (vedi il mio articolo precedente), a prenderlo in giro. In termini psicologici, quello che razionalmente vorrebbe essere un meccanismo di difesa si rivela un patetico meccanismo di emulazione infantile, che può avere nella migliore delle ipotesi un effetto nullo, nella peggiore un ulteriore incalzo o ulteriori ritorsioni.

Allora, che fare?

Ecco la mia ricetta:

  • Mantenersi calmi.

  • Agire in maniera unita, con una sola risposta per tutta l’Europa, che trasmetta all’esterno una posizione unica e possibilmente adulta, meglio se di fermezza o quasi indifferenza.

  • Assolutamente evitare di rispondere con dazi.

  • Rassicurare la gente.

  • Avviare contromisure interne di aiuti per ovviare ai cali di esportazioni.

  • Migliorare o attivare nuovi rapporti commerciali con altri Paesi.

  • In Italia puntare decisamente sul made in Italy.