È ufficiale: il 20 gennaio 2025 Donald Trump presiederà presso la Casa Bianca. Non sono stati sufficienti né il (tardivo?) ritiro di Biden né gli endorsement di vip come Taylor Swift per permettere alla comunicazione sobria e decisa di Kamala Harris di vincere. Gli opinionisti l’hanno definita come la prima “podcast election”, in sostituzione alla “social network election”: se i vip sono soggetti percepiti come privilegiati e distanti dalle esigenze quotidiane degli statunitensi, Trump ha preferito presenziare al podcast di Joe Rogan sottraendo tempo a tv e comizi. Perché rinunciare nelle ore decisive a un’altra intervista televisiva e presentarsi a un podcast in Texas, già storica roccaforte repubblicana? Risultato: 49 milioni di visualizzazioni e un vincente approccio più colloquiale e vicino ai vari infiniti consumatori di podcast.
Le prime reazioni all’elezione ufficiale di Trump non si sono fatte attendere: Aid Access, principale fornitore di pillole abortive negli Stati Uniti, ha ricevuto circa 10.000 richieste del farmaco, prodotte dal timore che Trump possa vietare il diritto all’aborto a livello federale. Elon Musk, uno dei principali sostenitori della campagna del neo Presidente, ha ricevuto migliaia di disiscrizioni da X (ex Twitter), piattaforma di sua proprietà. Infine, il 6 novembre si è registrata un’impennata di curiose ricerche su Google come “come emigrare in Canada” e “come vivere Europa”, diventando un leitmotiv delle prime scontente reazioni degli americani.
Archiviata la vittoria repubblicana, cosa deve aspettarsi l’Europa dal secondo capitolo di Trump? Si comincia dalla questione più sensibile a tutti: i risvolti economici. Secondo lo U.S. Bureau of Economic Analysis, il prodotto interno lordo statunitense dal 2001 a oggi è cresciuto da 11.000 a 27.000 dollari, con un’unica significativa recessione nel periodo della pandemia globale. Peculiare come non emerga un periodo di evidente crescita o di particolare decrescita né durante l’amministrazione repubblicana di Bush e del primo Trump né nel corso di quella democratica di Obama e di Biden. In sintesi, si tratta di un’economia così vasta e globale da intraprendere un percorso quasi a sé stante al di là del presidente.
Sempre in ambito economico, ma di interesse esclusivo degli americani, c’è il taglio delle tasse, già intrapreso nel dicembre 2017 dalla prima presidenza Trump, che viene populisticamente -del resto le campagne elettorali vivono di promesse- riproposto dal Trump bis a favore delle imprese dei più benestanti.
Un altro punto fondamentale dell’Agenda 47 concerne l’introduzione di dazi fissi su qualunque merce importata: ogni prodotto proveniente dal di fuori degli Stati Uniti subirà una tassazione del 10% e un inevitabile aumento del prezzo per il consumatore che vorrà acquistarlo. L’intenzione è chiaramente la promozione del cosiddetto made in USA, sebbene un’economia così globalizzata e interdipendente difficilmente permette a uno Stato di essere autosufficiente, Stati Uniti compresi. Gli americani sono grandi consumatori e come tali amano il pomodoro italiano, il vino francese, il cioccolato belga e via dicendo.
Di difficile attuazione invece l’allontanamento di milioni di immigranti clandestini dal territorio statunitense: Trump ne fece un cavallo di battaglia già al suo primo mandato, per poi riconoscere una realtà fatta di fondi insufficienti e di improbabile fattibilità: dove e come trasferire milioni di immigrati irregolari? Quanto costerebbe? Senza considerare, peraltro, il discutibile spessore morale che tali azioni portano con sé. Verosimili quindi misure molto restrittive, già applicate durante la sua prima presidenza, nei confronti di coloro che intendono emigrare negli Stati Uniti, regolarmente o meno.
Infine, il tema che concerne l’Europa da più vicino, geograficamente, eticamente e militarmente: la guerra in Ucraina. Per Trump si tratta di una questione europea e come tale sarà compito dell’Unione occuparsene in prima persona. Sul fronte mediorientale invece, sembra assicurato il sostegno di Trump a Israele, ma le posizioni andranno ulteriormente chiarite. Tra dazi e un eventuale ritiro del supporto all’Ucraina, i rapporti tra Stati Uniti ed Europa potrebbero risultare particolarmente tesi. Senza considerare il rifiuto di Trump di intervenire nell’immediato futuro sulla questione climatica e di promuovere diritti fondamentali delle donne, tra cui l’aborto.