Questo tema affligge il Medio Oriente ormai da troppi anni. La tensione tra Israele e il popolo palestinese e altri paesi arabi ha raggiunto livelli altissimi. Da un lato Israele che disattende continuamente le determinazioni dell’ONU e le indicazioni dell’UE e dall’altro i palestinesi che continuano a reclamare il diritto alla definizione del territorio del proprio Stato, ma nello stesso tempo non pongono alcun ostacolo agli atti terroristici.

Da un lato Israele dichiara Gerusalemme, compresa la città vecchia, come sua legittima capitale, dall’altro il popolo palestinese dichiara come propria capitale la città vecchia, da includere nell’area della Cisgiordania di cui reclamano la titolarità Se ancora non è stato realmente rispettato alcun accordo e non si è potuto raggiungere uno stato di pace tra questi popoli, come si potrà capire dalla lettura del presente articolo, la colpa è sicuramente di entrambi.

Ora, per tentare di conoscere ciò che potrebbe avere fatto diventare la prospettiva di pace quasi una vera utopia e tentare di capire da che parte stia la ragione, si ritiene indispensabile fare un preliminare breve excursus delle principali azioni militari e degli accordi che hanno segnato la vita delle due popolazioni a partire dal 1947. Sarà così più facile per il lettore esprimere le proprie considerazioni sugli avvenimenti sociali, comprese le decisioni giudiziarie internazionali, che hanno interessato le due popolazioni.

Principali eventi bellici e accordi dal 1947

Dal Mandato britannico alla Guerra civile di Palestina (1947)

Dopo la Prima Guerra Mondiale e la dissoluzione dell'Impero Ottomano, il territorio chiamato Palestina fu posto sotto mandato britannico dalla Società delle Nazioni che ha preceduto la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Con la risoluzione ONU 181 del 29 novembre 1947 fu proposta la divisione del territorio in due Stati, con un’enclave costituita dall'area di Gerusalemme, compresa Betlemme, che avrebbe dovuto far parte di una zona internazionale amministrata dall'ONU1 . La ripartizione delle aree è riportata nell’immagine rappresentante il Piano di ripartizione proposto dall’ONU. Da evidenziare che l’area a sud è prevalentemente desertica.

Guerra civile di Palestina (1948)

Gli ebrei accettarono l’assegnazione delle aree e il 14 maggio del 1948 David Ben Gurion, primo ministro del nuovo Stato, proclamò ufficialmente la nascita dello Stato d'Israele. Gli arabi, invece, rifiutarono la ripartizione e il 14 maggio 1948, lo stesso giorno della “Dichiarazione d'indipendenza israeliana” con la nascita dello Stato d’Israele, scoppiò la guerra civile tra le comunità ebraiche e arabe in Palestina, con gli eserciti dei Paesi arabi circostanti, Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq, che attaccarono il neonato Stato con l’obiettivo di distruggerlo.

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Alla fine del conflitto, Israele vinse la guerra e ampliò i suoi confini rispetto al piano di ripartizione proposto dalle Nazioni Unite nel 1947. Le nuove frontiere furono poi tracciate con l’armistizio del 1949, con un ampliamento del territorio d’Israele che passò dal 56% della ripartizione originaria al 78%. A seguito dell’armistizio la striscia di Gaza e la Cisgiordania, furono occupate rispettivamente dai Paesi arabi amici dei palestinesi: Egitto e Transgiordania2 . Di fatto quell’armistizio non venne mai accettato realmente dal mondo arabo.

Guerra dei sei giorni (1967)

Nel famoso conflitto dei sei giorni Israele, con Primo Ministro Levi Eshkol e Ministro della Difesa Moshe Dayan, combatté contro Egitto, Giordania e Siria. Nonostante la superiorità numerica degli arabi, Israele anticipò la guerra e ottenne una netta vittoria conquistando la Striscia di Gaza e la penisola del Sinai dall’Egitto, la Cisgiordania inclusa Gerusalemme Est dalla Giordania e le Alture del Golan dalla Siria. Questa occupazione è stata motivata dalla necessità di Israele di difendersi e di garantire la sua sicurezza in un periodo di tensioni crescenti e conflitti vari con i paesi vicini.

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Dopo tale evento Israele governò la Striscia di Gaza e la Cisgiordania per circa 27 anni, fino al 1994 (cioè fino agli accordi di Oslo del 1993), creando decine di insediamenti di coloni israeliani e arricchendo il territorio di infrastrutture e attrezzature. Nel periodo precedente gli accordi di Oslo ci furono guerre, accordi e tensioni varie. Di seguito sono richiamati brevemente gli eventi principali.

Guerra del Kippur (1973)

Si trattò di un attacco a sorpresa da parte di Egitto e Siria durante la festività religiosa ebraica di Yom Kippur (Giorno dell’espiazione) e durante la contemporanea festività musulmana del Ramadan (mese sacro dell’islam dedicato al digiuno, alla preghiera e alla meditazione). L’attacco fu inaspettato soprattutto perché in un periodo di preghiera per i due popoli. Israele, col Primo Ministro Golda Meir, riuscì a respingere gli attacchi, ma con pesanti perdite. Le polemiche politiche riguardanti l’andamento della guerra portarono alle dimissioni del Primo Ministro Golda Meir e del Ministro della difesa Moshe Dayan.

Accordo Israele-Siria (1974)

Israele e Siria firmarono un accordo di cessate il fuoco con il quale le alture del Golan restarono sotto il controllo israeliano, mentre una stretta zona demilitarizzata veniva restituita al controllo siriano. Nel 1974 venne istituita una forza di osservazione delle Nazioni Unite come cuscinetto tra le due parti.

Accordo di Camp David del 1978

L’accordo fu firmato dal Primo Ministro israeliano Menachem Begin. Si normalizzarono i rapporti tra Egitto e Israele. Israele si ritirò dal Sinai restituendolo all’Egitto che, a sua volta, riconobbe, come primo Paese arabo, l’esistenza dello Stato d’Israele. Si gettarono anche le basi per regolarizzare i rapporti tra i due popoli e per avviare l’autonomia della Cisgiordania e della Striscia di Gaza con l’evidente obiettivo della creazione dello Stato di Palestina.

Prima Intifada (1987-1993)3

Si trattò di una rivolta palestinese, a seguito di quella che venne intesa come una vera occupazione israeliana della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, che si è conclusa con gli accordi di Oslo del 1993. Si è manifestata attraverso disobbedienza civile, scioperi, boicottaggi e manifestazioni, diventando nota per i lanci di pietre dei giovani contro le forze di difesa israeliane. Durante i circa sei anni di rivolta si stima, comunque, che siano morti circa 1100 palestinesi e 160 israeliani.

Accordi di Oslo (13 settembre del 1993)

Il Primo Ministro Yitzhak Rabin e Yasser Arafat sono stati i firmatari dell’accordo alla presenza di Bill Clinton. Con quest’accordo l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) riconosceva lo Stato di Israele come possibile interlocutore dei negoziati di pace e la Cisgiordania e la Striscia di Gaza sono passati sotto il controllo congiunto di Israele e dell'Autorità Nazionale della Palestina (ANP), che nel frattempo era stata costituita. Quell’accordo sembrò un primo passo verso la distensione.

Accordi di Oslo 2 (28 settembre 1995)

Sottoscritti tra Rabin e Arafat, con i quali l’autogoverno della Cisgiordania veniva esteso ad un maggiore territorio. Quest’accordo, a prosecuzione del primo, fece sognare una prossima pace tra i due popoli. Gli accordi garantivano all’OLP il governo diretto di numerose città e villaggi a Gaza e nella Cisgiordania. L'Accordo diede ai palestinesi l'autogoverno a Betlemme, Hebron, Jenin, Nablus, Qalqilya, Ramallah, Tulkarm, e altri 450 villaggi. Restavano comunque irrisolti i confini tra Israele e Palestina. In Israele, a seguito di questi accordi, si aprì un forte dibattito: la sinistra li sosteneva, mentre la destra si opponeva ad essi.

Analoga reazione ci fu tra i palestinesi: al-Fatḥ4 accettò gli accordi, ma Ḥamas, il Movimento per il Jihad Islamico in Palestina e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, rifiutarono gli accordi poiché rifiutavano completamente il diritto di Israele ad esistere. L’accordo dunque non è stato di fatto mai accettato dalle due popolazioni. Il 4 novembre del 1995 un giovane studente israeliano, contrario agli accordi, assassinò il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin subito dopo che aveva preso parte ad un comizio in difesa della pace a Tel Aviv. Alcuni mesi dopo iniziò l’era Netanyahu, ben noto oppositore assoluto alla nascita dello Stato di Palestina.

Seconda Intifada (2000-2005)

Il mancato rispetto degli accordi di Oslo è stata la probabile causa di un'altra ondata di violenze e disordini nei territori occupati, caratterizzata da attentati suicidi e operazioni militari israeliane. Questa Intifada, scoppiata il 28 settembre 2000 a Gerusalemme, in seguito alla visita del primo Ministro Ariel Sharon alla spianata delle Moschee, è conosciuta anche come Intifada di Al-Aqsa. È stata più violenta della prima, con attacchi armati, attentati suicidi e una dura risposta militare israeliana. Le Intifade sono state due importanti sollevazioni palestinesi contro l’occupazione israeliana.

Summit di Sharm el-Sheikh (2005)

La conclusione della seconda Intifada sembra che sia avvenuta a seguito del summit di Sharm el-Sheikh del febbraio 2005 a cui parteciparono il primo ministro israeliano Ariel Sharon, il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, il presidente egiziano Hosni Mubarak e il re Abdullah II di Giordania. In quell’occasione israeliani e palestinesi si impegnarono a cessare le ostilità. Dopo quest’ultimo accordo la Striscia di Gaza è passata sotto il controllo amministrativo dell’Autorità Nazionale Palestinese, ma dal 2007 è stata governata di fatto da Hamas, movimento islamista palestinese, mentre la Cisgiordania è guidata da Fatah, sotto il controllo dell’Autorità Palestinese.

Conflitti nella Striscia di Gaza

Tra gli anni 2008 e 2014 ci furono diversi scontri tra Israele e Hamas nella striscia di Gaza, ma fu nel 2021 che ci fu un'escalation di violenza iniziata con scontri a Gerusalemme Est e diffusa nella Striscia di Gaza, con numerosi lanci di razzi e bombardamenti aerei. Il 7 ottobre del 2023 ci fu il noto improvviso e cruento attacco di Hamas contro Israele, con migliaia di razzi che da Gaza sono stati lanciati verso le regioni del centro e del sud di Israele. Si trattò di un’efferata strage, con violenze inaudite sulla popolazione ebraica, con bambini sgozzati e ragazze violentate e poi uccise, ecc. Da questa breve sintesi si evincono alcuni dati importanti per tentare di capire, in linea di massima, ragioni e torti da parte delle due popolazioni.

Situazione territoriale attuale

Nella mappa della Nazioni Unite “Israeland the occupied territories” sono riportati in verde i territori definiti come occupati da Israele. Il termine “territori palestinesi occupati”, ancora in uso, si riferisce alla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est e la striscia di Gaza, mentre con "territori arabi occupati" si intendono i precedenti più le alture del Golan occidentale.

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Sui principali reciproci errori dei due popoli

Nei due paragrafi seguenti, sfatando le dichiarazioni di parte, che ormai quotidianamente diffondono i media, sono messi in evidenza quelli che, a parere dello scrivente, si potrebbero considerare come i principali errori commessi dalle due popolazioni.

Errori di Israele contro la Palestina

Il conflitto israelo-palestinese è complesso e caratterizzato da molteplici azioni e reazioni da entrambe le parti. Israele, in particolare, è stato criticato per diverse politiche e azioni nei confronti dei palestinesi, che sono considerate errori o violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani.

In questa analisi credo si possa partire dall’importante e disatteso accordo di Oslo del 1993, infatti, tale accordo ha portato all'istituzione dell'Autorità Nazionale Palestinese – con il compito di autogovernare, in modo limitato, parte della Cisgiordania e la striscia di Gaza – ed è stato riconosciuto l'OLP come partner di Israele nei negoziati sulle questioni in sospeso. Gli israeliani evacuarono le città e le aeree urbane che avevano occupato, lasciando il controllo principale all’Autorità Nazionale Palestinese, ma per la presenza di coloni israeliani i territori restarono in parte anche sotto il controllo di Israele.

Il primo grande errore è stato quello, dopo tali accordi, di continuare la realizzazione di nuove strutture edilizie con l’insediamento di nuovi coloni ebrei, con ciò tentando di annullare o comunque rendere sempre più difficile la possibilità della definizione territoriale dello Stato di Palestina. Tali continui insediamenti potrebbero essere interpretati come veri atti provocatori e talvolta di arroganza di Israele per dimostrare la propria potenza e l’assoluta determinazione sul controllo di tutto il territorio.

Un ruolo importante lo ha certamente avuto la prima parte dell’era di Benjamin Netanyahu dal 1996 al 1999, proprio quando dovevano essere messi in atto gli accordi di Oslo2. Netanyahu ha giocato un ruolo chiave nel portare il Paese verso una prospettiva più nazionalista. Ha dato meno importanza ai colloqui con i palestinesi puntando ad un continuo ampliamento dello Stato d’Israele, con uno stile prettamente combattivo che ha dato al suo Paese una grande visibilità a livello internazionale. Purtroppo, la sua politica ha aumentato le divisioni interne dando un minor valore alla democrazia, rifiutando apertamente la formazione dello Stato di Palestina indipendente, ritenendo che la sicurezza di Israele poteva essere garantita solo dal controllo totale di Israele su tutto il territorio.

Col suo avvento si è continuata di fatto l’occupazione della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, con la costruzione e l'espansione di insediamenti israeliani spesso con l'espropriazione di terre palestinesi, la demolizione di case e lo spostamento forzato della popolazione residente. Tutti atti considerati illegali dalla comunità internazionale secondo la Quarta Convenzione di Ginevra.

Israele ha costruito inoltre una barriera di separazione (muro) che penetra in profondità nella Cisgiordania, isolando le comunità palestinesi e separandole dai loro terreni agricoli, risorse idriche e infrastrutture. Un muro che, secondo Israele è di protezione e dotato di mezzi tecnologici di sorveglianza per garantire la sicurezza dei cittadini israeliani, secondo i palestinesi è il “Muro dell’Apartheid” che condiziona la vita quotidiana degli abitanti della Cisgiordania.

La Corte Internazionale di Giustizia ha dichiarato che la costruzione del muro su territorio palestinese è illegale. Viene contestata a Israele la violazione dei diritti umani per gli arresti e detenzioni amministrative senza processo e per i casi documentati di tortura e maltrattamenti di detenuti palestinesi da parte delle forze di sicurezza israeliane.

La situazione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane è riportata nella Risoluzione del Parlamento Europeo sulla situazione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane del 2/7/2008. In detto documento il Parlamento Europeo ha rammentato a Israele di adempiere ad una serie di doveri per il rispetto dei diritti umani dei detenuti, ribadendo la propria condanna a tutte le forme di tortura e di maltrattamento, esprimendo viva preoccupazione per la situazione delle donne palestinesi detenute, che sono sistematicamente soggette a maltrattamenti, violenze sessuali, ecc.

Israele è stato accusato di uso eccessivo della forza militare e di politiche discriminatorie in materia di pianificazione e sviluppo che favoriscono gli insediamenti israeliani a scapito delle comunità palestinesi, limitando l'accesso a risorse essenziali come l'acqua e le infrastrutture. Israele è stato accusato anche di non impegnarsi sufficientemente nei negoziati di pace e di adottare misure che ostacolano il processo di pace, come l'espansione degli insediamenti colonici.

Errori della Palestina contro Israele

Anche i palestinesi coinvolti nel conflitto israelo-palestinese sono stati criticati per le azioni messe in atto e le politiche adottate che hanno contribuito a perpetuare il conflitto e che sono state considerate errori o violazioni dei diritti umani. Ecco alcuni dei principali punti della critica rivolta in particolare ai gruppi militanti e alle autorità palestinesi.

Il primo grave errore è stato certamente quello di non avere accettato il Piano di Ripartizione della Palestina votato il 29 novembre 1947 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unitela, con i territori assegnati agli ebrei e agli arabi e con una zona C comprendente i luoghi santi, Gerusalemme e Betlemme. Detta zona doveva costituire un’enclave all’interno dello Stato arabo, sottoposta a regime internazionale sotto il controllo delle Nazioni Unite, in modo da salvaguardare i diritti di ebrei, cristiani e musulmani per la loro libertà di accesso e la protezione dei Luoghi Santi delle tre religioni.

Ma il fatto forse ancor più grave del rifiuto è stato quello di avere dato il via, il giorno della costituzione del nuovo Stato di Israele (15 maggio 1948), ad una guerra contro Israele, sostenuta da Paesi limitrofi, con l’obiettivo di distruggere totalmente Israele. Con la clamorosa prima sconfitta e grande delusione per gli attaccanti.

L’accettazione del Piano di Ripartizione avrebbe già potuto assistere alla contemporanea nascita dei due Stati autonomi, con l’enclave costituita dalla città di Gerusalemme e si sarebbero così evitate migliaia di morti, ottenendo la crescita parallela dei due Stati.

Gli attentati suicidi e il lancio di razzi contro civili israeliani da parte di Gruppi militanti come Hamas e la Jihad Islamica Palestinese hanno causato morti e feriti tra la popolazione civile. Questi attacchi sono considerati crimini di guerra e atti di terrorismo. I lanci di razzi e mortai dalla Striscia di Gaza verso città e villaggi israeliani che hanno messo in costante pericolo la vita dei civili.

È ormai ben documentato come gruppi militanti palestinesi abbiano utilizzato civili come scudi umani, collocando postazioni di lancio di razzi e altri equipaggiamenti militari in aree densamente popolate e in gallerie vicino a scuole, ospedali e altre strutture pubbliche da cui si aveva accesso diretto alle gallerie. Non è da sottovalutare la costante propaganda con messaggi di odio e incitamento alla violenza contro gli israeliani e gli ebrei che sono stati diffusi da alcuni leader palestinesi e media, alimentando così l’odio e la violenza e ostacolando i tentativi di pace.

La negazione del Diritto all'esistenza di Israele, come avviene da parte di alcuni gruppi, come Hamas, è una posizione estremista ed un ostacolo significativo alla pace e alla soluzione dei due Stati. Anche tra i palestinesi c’è stata la continua violazione dei diritti umani e la repressione della libertà all’interno dei territori da loro abitati, specialmente nella Striscia di Gaza governata da Hamas, con attacchi indiscriminati diretti contro civili, con arresti arbitrari, torture, restrizioni alla libertà di espressione e persecuzioni politiche, ecc.

All'Autorità Palestinese si addebita il mancato effettivo controllo sulla prevenzione di atti terroristici e il mancato perseguimento dei responsabili degli atti di violenza contro i civili israeliani. Fatti altrettanto gravi sono la corruzione e gli sprechi nella gestione dei fondi internazionali che erano destinati allo sviluppo e alla ricostruzione dei territori palestinesi. Basta pensare ai costi per la realizzazione di circa 500 chilometri di gallerie. Sono azioni che hanno compromesso la fiducia e l’efficacia degli aiuti internazionali. Altra colpa è stata l’interruzione, in vari momenti, dei negoziati di pace da parte di leader palestinesi, rifiutando proposte che avrebbero potuto portare a una soluzione a due Stati. Questo ha prolungato il conflitto e ha contribuito alla sfiducia reciproca. Infine, gli scontri violenti tra diverse fazioni palestinesi, come quelli tra Fatah e Hamas, che hanno portato a ulteriore instabilità e hanno danneggiato la coesione della stessa società palestinese.

La perfezione non è però in questo mondo, dunque non c’è da meravigliarsi se da ambo le parti siano stati commessi e si commettano ancora degli errori, è però importante riconoscerli e trarne insegnamento.

Sulla situazione attuale tra Israele e Palestina

Israele aveva fatto dei grandi passi positivi verso la distensione con alcuni importanti Paesi arabi che, sottoscrivendo gli Accordi di Abramo con cui riconoscevano lo Stato d’Israele, avevano mantenuto in vita anche la necessità del riconoscimento dello Stato autonomo di Palestina e l’importanza di preservare lo status speciale della città sacra di Gerusalemme per tutte e tre le religioni monoteiste.

La situazione attuale tra Israele e Palestina è ancora complessa e tesa. Le prospettive di pace, attraverso la soluzione più probabile dei due Stati, sono ancora incerte, ma ci sono alcune considerazioni importanti che, su tale aspetto e alla luce di quanto sopra descritto, si ritiene di dovere fare in riferimento a negoziazioni, colonie, Gerusalemme, territori e confini, sicurezza, rifugiati e Comunità internazionale.

Negoziazioni. La base per una soluzione a due stati è stata stabilita dagli Accordi di Oslo nel 1993. Questi accordi prevedevano l’autonomia palestinese in alcune aree della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Tuttavia, i negoziati successivi hanno incontrato ostacoli significativi, ma tutt’oggi ancora sormontabili, se c’è la vera volontà politica di superarli.

Colonie. Israele continua a costruire e ampliare gli insediamenti ebraici in Cisgiordania, una mossa che i palestinesi e la comunità internazionale considerano illegale e che rappresentano un grande ostacolo alla pace.

Gerusalemme. La questione di Gerusalemme è ancora irrisolta. Entrambe le parti rivendicano Gerusalemme come capitale, ma la comunità internazionale non riconosce pienamente questa affermazione. Israele la rivendica come capitale nella sua globalità, compresa la Città Antica; i palestinesi rivendicano come loro capitale la sola Città Antica.

Una soluzione equa e forse l’unica foriera di pace duratura è, ad avviso dello scrivente, oltre la necessaria definizione territoriale del nuovo Stato di Palestina, l’indispensabile costituzione della Repubblica della Città Santa, come già scritto in un precedente articolo. Una città Stato comprendente la Città Antica e un adeguato territorio da annettere alla stessa, tutto sotto il controllo dei due popoli e l’avallo internazionale.

Territori e confini. La soluzione a due Stati richiederebbe la definizione di confini chiari e il ritiro di Israele dagli insediamenti in Cisgiordania. Questo è un punto di contesa cruciale, ma anch’esso sormontabile.

Sicurezza. Israele ha legittime preoccupazioni per la sua sicurezza. Una soluzione a due Stati con accordi ben definiti potrebbe garantire una maggiore sicurezza sia per Israele, che per la Palestina.

Rifugiati. La questione dei rifugiati palestinesi è complessa. Una soluzione dovrebbe affrontare la possibilità di potere attuare il loro diritto al ritorno.

Comunità internazionale. La comunità internazionale deve continuare a mediare e promuovere una soluzione a due stati, anche se le sfide rimangono enormi.

L'ordinanza in data 26 gennaio 2024 della Corte Internazionale di Giustizia

la Corte Internazionale di Giustizia, a seguito di un ricorso presentato dal Sud Africa il 29 dicembre 2023 in relazione alle azioni israeliane dopo i fatti del dopo 7 ottobre, ha aperto un’inchiesta su un possibile genocidio da parte di Israele. La Corte, a conclusione dell’inchiesta, il 26 gennaio 2024 ha chiesto a Israele di fare tutto il possibile per “prevenire possibili atti genocidari” nella Striscia di Gaza e di consentire l’accesso agli aiuti umanitari.

Richiesta di emissione di mandati di arresto internazionale

Il 20 maggio 2024, il procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI) Karim Khan ha chiesto al tribunale dell’Aia di emettere mandati di arresto contro il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e il suo ministro della Difesa, Yoav Gallant, contro il capo del partito armato palestinese nella Striscia, Yahya Sinwar, il capo delle Brigate Ezzedin al-Qassam e braccio armato di Hamas, Mohammed Deif, e contro Ismail Haniyeh, leader politico del partito.

Le accuse sono state: - per gli israeliani di “crimini di guerra e crimini contro l’umanità” commessi nella Striscia di Gaza dopo l’8 ottobre 2023;
- per gli esponenti di Hamas per il massacro del 7 ottobre e in particolare per sterminio, presa di ostaggi, stupro e altre forme di violenza sessuale.

Comunicazione di Human Rights (United Nations) del 22 Luglio 2024

Il diritto internazionale ha affrontato la questione dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi attraverso varie risoluzioni delle Nazioni Unite e opinioni di organizzazioni internazionali. Come si può leggere nella comunicazione di “United Nations - Human Rights” di Ginevra del 22 Luglio 2024, il 19 luglio 2024 la Corte Internazionale di Giustizia5 Court of Justice (CIJ) ha emesso un parere consultivo storico, dichiarando che l’occupazione israeliana del territorio palestinese è ora illegale secondo il diritto internazionale.

Ha ribadito il divieto di acquisizione del territorio mediante l’uso della forza e il diritto inalienabile di un popolo all’autodeterminazione, applicando tale diritto alla situazione dell’occupazione israeliana del territorio palestinese dal 1967. Le politiche e le pratiche israeliane di stabilire insediamenti e annettere territori, col trasferimento forzato di palestinesi dalle loro terre, la confisca di terre e proprietà palestinesi, lo sfruttamento delle risorse naturali e regimi legali discriminatori nei territori occupati, sono state definite tutte come violazione del diritto internazionale.

Questo parere è stato accolto favorevolmente da Amnesty International che lo ha definito “un pilastro chiave del sistema di apartheid che Israele utilizza per dominare e opprimere i palestinesi, causando sofferenze su vasta scala” e, sebbene non sia vincolante, può influenzare le politiche internazionali e aumentare la pressione morale e le misure unilaterali adottate dai singoli Stati, come le sanzioni.

Israele non sembra però riconoscere il citato parere. Già nei mesi precedenti, come riportato da The Times of Israel del 13 luglio 2024, «Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu aveva attaccato duramente l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la risoluzione, accusando l’organismo globale di “distorcere i fatti storici” e dichiarando che il popolo ebraico non può essere “un occupante” nella propria terra». La reazione di Israele al parere della CIJ riflette la complessità e la sensibilità del conflitto israelo-palestinese, che rimane uno dei più prolungati e controversi a livello internazionale.

Da parte palestinese c’è stata un’altra azione significativa che non incoraggia il processo di pace: il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ucciso recentemente a Teheran è stato sostituito da Yahya Sinwar, oggi l'uomo più ricercato da Israele, di cui è stato chiesto mandato di arresto da parte della Procura della Corte penale internazionale. Sinwar sembra nascondersi da mesi in un tunnel a Gaza e dove per scovarlo si spera che si proceda senza la necessità dell’abbattimento di ulteriori edifici se non sono stati totalmente sgombrati e senza la perdita di ulteriori vite umane.

Considerazioni finali

Da quanto sopra descritto si evince che la verità sulle colpe per la mancata pace non sta certamente da una sola parte. La continuità della lotta, oltre a complessi interessi internazionali, ha come forte sostegno da una parte l’odio viscerale di una parte del mondo arabo che auspica la definitiva scomparsa d’Israele, dall’altra parte il tentativo di Israele di impossessarsi di tutta l’area originariamente destinata ai due popoli, annullando così la possibilità della nascita dello Stato di Palestina.

Ora, l’errore originario del mondo arabo di non avere accettato la ripartizione proposta dall’ONU nel 1947 e l’avere mosso un attacco al nuovo Stato per farlo scomparire da quel territorio, subendone poi una clamorosa sconfitta, non significa la sua rinuncia definitiva all’insediamento del nuovo Stato di Palestina nelle aree originariamente assegnate, né tale sconfitta può essere la causa di una condanna eterna a essere estraniato da quei territori. Su tali avvenimenti ognuno di noi, anche alla luce di quanto sopra descritto, è normale che possa e debba esprimere il proprio pensiero, frutto dei propri sentimenti, lontano dal servilismo partitico.

Nelle trattative di Oslo è evidente che non c’era alcun obbligo, da parte di Israele, di restituire i territori conquistati. Infatti, se i Paesi arabi avessero vinto la battaglia occupando Israele, avrebbero restituito a Israele le terre occupate? E a nulla sarebbe valso ricordare che il popolo d’Israele aveva abitato quei territori sin dai tempi biblici. L’accordo è stato sottoscritto da Israele, sotto pressanti spinte internazionali e al fine di ottenere anche e soprattutto il proprio riconoscimento come nuovo Stato.

Probabilmente, l’espressa volontà distruttiva di Netanyahu, di disconoscere assolutamente la possibilità della realizzazione di due Stati autonomi, è stata la maggiore causa che ha vanificato di fatto gli accordi di Oslo e forse anche la maggiore criticità ancora persistente nel rapporto tra israeliani e palestinesi. La giusta reazione iniziale di Israele all’eccidio del 7 ottobre, condannato da tutto il mondo, si sarebbe però dovuta mitigare nelle fasi successive, continuando in maniera più attenta e mirata per evitare così l’inutile distruzione di migliaia di vite umane.

Purtroppo, l’obiettivo di Netanyahu di non accettare la costituzione dello Stato di Palestina, non si è arrestato, né difronte a tutte le denunce internazionali, né a seguito dell’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia del 26 gennaio 2024, né difronte la richiesta dei mandati di arresto da parte della Corte penale internazionale di cui, alla data di redazione del presente artico, si attende la decisione dei giudici.

La strage del 7 ottobre è stato un vero grande boomerang per Hamas e per i palestinesi che hanno dato sostegno a quest’azione criminale, facendo scatenare il pesante intervento iniziale israeliano su Gaza. Ma è stato un altrettanto boomerang anche per gli israeliani che, per l’ingiustificata modalità della prosecuzione delle loro azioni successive alla reazione iniziale, hanno fatto sì che la comunità internazionale passasse dal consenso all’aperta condanna delle loro azioni.

Il grave errore d’Israele di perseguire nell’insediamento di nuovi coloni non ha certamente agevolato il processo di pace tra i due popoli. Tali insediamenti, tra l’altro, sembrano rappresentare quasi una volontà arrogante di occupare sempre più un territorio contro i citati veti internazionali e potrebbero essere interpretati anche come una sfida agli Stati viciniori che notoriamente vogliono la scomparsa d’Israele (Iran, Siria, Libano, Algeria, ecc.). Non sembra che questa sia stata la via migliore per garantire la serenità al popolo israeliano.

Come forte elemento di discordia, da non sottovalutare, resta sempre aperta la potenziale enclave costituita dalla Città Santa, con la proposta della formazione della Repubblica della Città Santa comprendente la Città Vecchia con annesso un piccolo territorio adiacente al cui interno sono ulteriori monumenti sacri.

Essendo state evidenziate le principali colpe dei due popoli, ed essendo emersa la complessità delle scelte operabili, si ritiene opportuno riportare di seguito anche le principali opinioni da parte delle due popolazioni in merito alle ipotesi di ripartizione del territorio, desunte da alcune ricerche effettuate.

Da parte israeliana

  • Molti israeliani credono che una soluzione a due Stati sia l’unico modo per garantire la sicurezza di Israele e la coesistenza pacifica con i palestinesi e vedono la creazione di uno Stato palestinese accanto a Israele come un passo verso la stabilità e la pace.
  • Alcuni israeliani sono scettici riguardo a tale soluzione, temendo che la Cisgiordania possa diventare una base per attacchi contro Israele e ritengono che gli insediamenti ebraici siano parte integrante di Israele e dovrebbero rimanere sotto il controllo israeliano.
  • Una minoranza di israeliani si oppone categoricamente a qualsiasi concessione territoriale ai palestinesi, sostenendo l’annessione completa della Cisgiordania e di Gaza.

Da parte palestinese

  • Molti palestinesi sostengono la soluzione a due Stati, con uno Stato palestinese indipendente accanto a Israele. Vedono questo come un modo per porre fine all’occupazione e ottenere l’auspicata autodeterminazione.
  • Alcuni palestinesi ritengono che la soluzione a due Stati sia ormai irrealizzabile a causa della crescita degli insediamenti israeliani e dell’espansione delle colonie e temono che la Cisgiordania sia stata frammentata in modo irreversibile per bloccare la formazione dello Stato di Palestina.
  • Una minoranza di palestinesi sostiene un unico Stato binazionale in cui ebrei e palestinesi possano vivere insieme con gli stessi diritti. Tuttavia, quest’ultima prospettiva è controversa e incontra resistenza sia dalla maggioranza dei palestinesi, che da parte di molti israeliani.

Da quanto sopra emerge che le opinioni variano notevolmente, ma sembra che per entrambi i popoli prevalga il desiderio della soluzione a due Stati.

In relazione alle reciproche colpe, quando da una parte di una delle due popolazione vengono rivolte pesanti accuse di condanna verso l’altra popolazione, come ad esempio quando si incolpa Israele per le stragi perpetrate contro il popolo palestinese o quando vengono mosse accuse contro i palestinesi per stragi e atti di terrorismo a loro ascrivibili, ritengo opportuno ricordare agli accusatori un breve passo estratto dal Vangelo secondo Giovanni, che ricorda le parole di Gesù quando gli avevano portato un’adultera col desiderio che egli decidesse per la sua lapidazione e Gesù disse: « Chi è senza peccato scagli la prima pietra contro di lei» e a quella risposta tutti si allontanarono.

Il significato del racconto è che prima di giudicare qualcuno sarebbe opportuno fare un proprio esame di coscienza, perché nessuno è senza peccato e, nel caso in esame, nessuna delle due popolazioni è esente da colpe e non può quindi accusare l’altra come se avesse la propria coscienza linda. Purtroppo, come è ben noto: “facile è individuare e denunciare le colpe altrui, ben più pesante è battersi il petto”. Nel caso in esame, lasciamo l’emissione di giudizi alle Istituzioni internazionali a ciò demandate.

Una soluzione semplice o universale del problema non esiste, così com’è difficile la reciproca comprensione tra le due popolazioni che richiede impegno costante e un dialogo e dei compromessi da parte di tutti gli attori coinvolti, anche da parte di quelli che sono al di fuori delle due popolazioni. È però importante prendere atto che l’accordo per la soluzione a due Stati è ancora possibile realizzarlo, con ovvi compromessi da ambo le parti, e fare così rivivere gli accordi di Oslo con i dovuti opportuni aggiornamenti.

È legittimo chiedersi se, dietro tanti annunci e proclami umanitari, non ci sia chi miri a bloccare i tentativi di pace tra questi due popoli e se fosse così sarebbe interessante scoprirne le motivazioni.

A completamento di quest’articolo sento di dovere segnalare il recente raid del 10 agosto scorso di Israele sulla scuola al Tabin di Gaza City, in cui sarebbero rimaste uccise 93 persone. Un’azione assolutamente inaccettabile. Negli ultimi dieci mesi sono state direttamente colpite più del 50% delle scuole utilizzate come rifugi a Gaza. Sono azioni programmate non accettabili e per le quali è legittimo chiederci: ma se a priori si conosceva che tali edifici erano rifugi di terroristi, si rendeva proprio indispensabile bombardarli con i civili dentro o non sarebbe stato opportuno effettuare preliminarmente operazioni di sgombero forzato, come ben sanno fare le forze militari israeliane?

A fronte di quanto sopra, il popolo palestinese si spera che non ipotizzi di superare questa crisi con ulteriori azioni terroristiche, ancorché dallo stesso talvolta ufficialmente non effettuate e non condivise, ma di fatto spesso avallate. Si, avallate attraverso l’accondiscendenza e la mancata reazione di quella parte dei palestinesi che sapendo tutto ciò che si stava tramando ai danni d’Israele fino all’escalation finale hanno fatto finta di non sapere.

Come ben noto dalla fisica, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria e quando l’esempio fisico si sposta alla società, come nel caso in esame, la reazione può innescare fenomeni tali da diventare essa stessa difficilmente controllabile.

Nella presente nota si ritiene che ci siano le informazioni minime necessarie perché il lettore possa farsi un proprio autonomo convincimento sulle principali motivazioni che tendono a trasformare l’attesa della pace in una vera utopia. Pace o guerra questo è il dilemma. Sicuramente, continuando a perseguire la via dei massacri si sceglie come obiettivo la guerra e in tal caso non ci si potrà attendere dall’altra parte che una reazione altrettanto forte, creando così una spirale di morti senza fine. Purtroppo, è questo quello che sta accadendo, ma è ciò che realmente desiderano i due popoli, al di là dei continui accordi illusori a cui si è assistito e si continua ad assistere?

Oggi, dopo guerre, atti terroristici e migliaia di morti, sembra che, da una grande parte israeliana e da altrettanta grande parte palestinese, stia emergendo la concreta speranza di potere riprendere e rispettare gli accordi di Oslo e definire il territorio dello Stato di Palestina mediamente con le stesse aree allora proposte dall’ONU. Auguriamoci tutti che tali notizie siano fondate, che non trovino ostacoli strumentali e possano essere realizzate.

Note

1 Nella città di Gerusalemme nel 1944 c’erano circa 157.000 abitanti così suddivisi: 97.000 ebrei, 30.600 arabi musulmani, 29.400 cristiani.
2 La Transgiordania, che significa «oltre il Giordano», indica le terre a est del fiume ed è oggi la moderna Giordania.
3 Intifada in arabo significa “rivolta”.
4 Un'organizzazione politica e paramilitare palestinese che fa parte dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).
5 Court of Justice, (ICJ), è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite e ha sede nel Palazzo della Pace dell’Aia, nei Paesi Bassi.