Se sul web si cerca la definizione del termine “maranza”, si può trovare ben presto la risposta grazie all’Accademia della Crusca che, nella sezione Parole Nuove, specifica:
Ragazzo, o meno frequente ragazza, che appartiene a gruppi di giovani che condividono e ostentano atteggiamenti da strada, particolari gusti musicali, capi d’abbigliamento e accessori appariscenti e un linguaggio spesso volgare.
Sebbene sia la stessa Accademia a sottolineare che goliardicamente il termine fu utilizzato addirittura in una canzone di Jovanotti negli anni Ottanta, è innegabile che ad oggi lo sviluppo culturale abbia portato il termine “maranza” ad essere identificativo di una tipologia di giovani, perlopiù nordafricani o italiani di seconda generazione, che spesso si riuniscono in baby gang e affollano le province, soprattutto quelle settentrionali e in particolare quelle milanesi.
Ma chi sono oggi davvero i maranza? Forse molti neanche ne conoscevano l’esistenza fino a qualche settimana fa quando un sedicente leader, dal neanche troppo equivoco nome “Don Alì”, ha deciso di far partire su Tik Tok una crociata social contro il Sud. Il fantomatico generale dei maranza ha in pochi giorni inanellato una serie di video minacciosi in cui proclamava la mobilitazione generale contro il meridione, una riunione generale dei maranza che in massa avrebbero poi invaso e attaccato i cittadini del meridione, in particolare i napoletani.
Nei filmati, per certi versi anche surreali e a tratti comici, Don Alì e i suoi sodali affermavano di voler affrontare nel loro territorio i meridionali, di raggrupparsi a Torino, di scendere con i treni Frecciarossa (senza pagare il biglietto, come da lui più volte orgogliosamente affermato) e affrontare addirittura il campione dei meridionali in una sfida. L’occasione sarebbe stata l’importantissima gara di Serie A tra Napoli e Inter. Le minacce hanno provocato al Sud molte reazioni ma, a dire il vero, poche sono state quelle di paura. In molti avevano già intuito che si sarebbe trattato di un bluff e, in effetti, in occasione della gara “i maranza” non si sono visti.
Un esito verosimile e forse scontato ma che ha ugualmente prodotto degli effetti al di fuori dei social. Il prefetto di Napoli, Michele Di Bari, infatti aveva pochi giorni prima la gara aumentato i controlli e alzato il livello del dispositivo di sicurezza dispiegando decine di forze dell’ordine in più. Un dispiegamento che, fortunatamente, si è rivelato inutile, almeno per quanto riguarda il contrasto all’invasione dei maranza. Ma se si pensa che il problema possa essere solo di carattere amministrativo si è fuori raggio.
I video del Tiktoker torinese Don Alì - che poi è corso ai ripari smascherandosi e incalzando “Se questo è successo con noi, immaginate lo Stato come può fregarvi” - hanno ricevuto reazioni della controparte meridionale cariche di odio, con minacce di morte, inviti alla lotta, riferimenti alla criminalità organizzata e così via. La storia dei maranza, purtroppo, non è finita quel primo marzo. La situazione, infatti, sembra essersi capovolta e ora il pericolo è che ogni nordafricano tra Milano e Torino sospettato di un crimine possa essere oggetto di giustizia privata.
È quanto sta succedendo grazie all’Articolo52, un collettivo social nato su Instagram e poi trasferitosi su Telegram. Prendendo in prestito il contenuto proprio dell’articolo 52 della Costituzione Italiana, “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”, i responsabili del gruppo stanno diffondendo il video di un’aggressione a un cittadino extracomunitario e l’annuncio di organizzare delle ronde notturno per ristabilire la sicurezza. Oltre a slogan inneggianti alla giustizia privata e alla protezione della patria, i membri del gruppo hanno fatto anche partire una raccolta fondi per le proprie attività.
Questa scelta, assieme al video sconvolgente di alcuni ragazzi incappucciati che picchiano senza pietà un ragazzo nordafricano accusato di aver rubato una collanina, hanno acceso i riflettori sul nuovo collettivo web. La raccolta è durata solo 24 ore, i gruppi sono stati bannati dalla maggior parte dei social e la polizia ha cominciato ad indagare sulle aggressioni e sulle attività social. Pochi giorni di vita per entrambi gli esperimenti ma quanto odio diffuso sul web, quante minacce gratuite e quanti allarmi provocati con enorme leggerezza.
Nati sotto la buona stella dello sviluppo della conoscenza a livello mondiale, i social network sono stati ben presto trasformati in uno strumento al servizio dell’odio (spesso razziale), delle fake news e della disinformazione. Un paradosso, forse l’esperimento più fallimentare dell’ultima era.
Eppure, quanti ad oggi potrebbero dirsi davvero capaci di vivere senza social? Allora, cosa fare? Sicuramente aumentare le pene e i controlli, equiparando le azioni svolte sui social a quelle nella vita reale (estendendo ad esempio il reato di procurato allarme anche alle attività web). Le parole hanno lo stesso peso sia se viaggiano in strada che sulla banda larga.
La vita è a portata di smartphone ma quando si mette il naso fuori da quel rettangolo di pixel cambia tutto. Alla fantomatica e goliardica invasione dei maranza dovremmo rispondere con l’invasione della cultura, quella vera. Professori, artisti, insegnanti, istituzioni. Fate scendere loro in strada. Oscurate le trasmissioni. Non ci servono le ronde dei “patrioti”. Abbiamo bisogno di sogni e di valori. Ora più che mai.