Sulla stampa degli ultimi mesi ho letto titoli del tipo “Il lavoro diventa asincrono”, “Stop alle riunioni infinite e agli uffici affollati”, “Ciascuno segue i suoi tempi”. Si sostiene che siamo entrati nel mondo del lavoro fluido: l'ufficio fisico diviene residuale, mentre le persone, ovunque si trovino, condividono uno spazio di lavoro online permanentemente attivo. Viene meno l’idea ottocentesca che per compiere un lavoro bisogna stare tutti insieme sotto lo stesso tetto e nello stesso momento. Gli orari di ufficio, con l’orologio marcatempo a segnare l’entrata e l’uscita, diventano obsoleti: nel nuovo mondo del lavoro asincrono ognuno può scegliere i ritmi di lavoro che meglio corrispondono al proprio orologio personale. Saranno le piattaforme informatiche e i sistemi di cloud computing a coordinare gli apporti individuali per integrarli in un risultato coerente. È messa in crisi l’idea, tutt’ora dominante, che il lavoro debba essere organizzato per processi lineari.

Il lavoro asincrono si esercita in rete, in una comunità che opera sia in sequenza che in parallelo, con numerosi feedback che trasformano gli schemi lineari in schemi circolari. Tra qualche tempo, con l’AI generativa a fare da assistente, e in grado di preparare, riassumere e organizzare la documentazione necessaria al lavoro umano, qualità, tempi e modalità del lavoro subiranno una ulteriore significativa trasformazione. Anche le riunioni online, così frequenti nell’epoca del Covid, andranno verso un ridimensionamento. Stando ad alcune indagini statistiche, i lavoratori preferiscono uno scambio asincrono perché permette di lavorare con più calma e argomentare meglio il proprio punto di vista, senza la pressione psicologica del confronto diretto. Secondo una ricerca svolta presso una grande azienda la quasi totalità degli impiegati dichiara che il lavoro asincrono comporta vantaggi per la produttività, la salute mentale, l'equilibrio vita-lavoro e minori livelli di stress.

Seppur limitati non bisogna sottovalutare questi tentativi di una nuova organizzazione del lavoro, perché la storia ci insegna che quando le tecnologie modificano l’uso del tempo e dello spazio, e con essi i ritmi, le sequenze, i confini e le distanze della attività, si innesca una riorganizzazione culturale, sociale ed economica della vita collettiva, che va ben oltre il mondo del lavoro, fino ad investire il nostro modo di stare al mondo. Per renderci conto di quanto la riorganizzazione del tempo e dello spazio possa incidere sulla struttura materiale e culturale della società suggerisco di leggere il bel libro di Stephen Kern “Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra otto e novecento” (Il Mulino, 1988). Kern analizza la trasformazione della società e della cultura occidentale nel periodo che va dal 1880 alla fine della Prima guerra mondiale. Una durata di circa quarant’anni in cui cambia radicalmente il modo di pensare della gente. Un ruolo determinante lo ebbero le innovazioni tecnologiche che rimodellarono i comportamenti collettivi e individuali. Afferma Kern:

Innovazioni tecnologiche che comprendono il telefono, la radiotelegrafia, i raggi X, il cinema, la bicicletta, l'automobile e l'aeroplano posero il fondamento materiale per questo nuovo orientamento; sviluppi culturali indipendenti quali il romanzo del ‘flusso di coscienza’, la psicoanalisi, il cubismo e la teoria della relatività plasmarono direttamente la coscienza: il risultato fu una trasformazione delle dimensioni della vita e del pensiero.

Un esempio della forza dirompente delle tecnologie è fornito dall’espansione delle ferrovie negli Stati Uniti e in Europa nella seconda metà dell’Ottocento. Nel 1870 un viaggiatore che si recasse in treno da Washington a San Francisco avrebbe dovuto regolare il proprio orologio ben 200 volte, poiché ogni città per cui il treno passava aveva la propria ora locale. L’ora locale era un lascito della storia: ogni comunità da sempre regolava i propri tempi sul mezzogiorno locale, che ovviamente era diverso per le località che si trovavano su un diverso meridiano. Si poteva ottenere un orario coerente solo per treni che procedessero lungo i meridiani nella direzione nord-sud. Ma i treni transcontinentali degli Stati Uniti andavano da est a ovest, tagliando i meridiani. Uguali quesiti poneva il telegrafo. Comunicazioni istantanee tra regioni molto distanti tra loro poneva problemi a uno Stato centralizzato, i cui provvedimenti legislativi dovevano diventare operativi per tutti allo stesso giorno e alla stessa ora.

Bisognerà attendere il 1884 perché una conferenza tenuta a Washington con la partecipazione di 25 paesi decidessero l’istituzione del meridiano zero di Greenwich e la divisione della terra in 24 fusi orari. Tuttavia, l'adozione del nuovo sistema fu lenta. L'Italia aderì solo nel 1893. L’istituzione del tempo universale fu solo uno dei tanti effetti prodotti dall’ondata tecnologica sull’organizzazione del tempo e dello spazio. Cambiarono le città, l’uso del territorio, l’organizzazione del lavoro. Le comunicazioni più rapide, efficienti e capillari permisero la nascita delle grandi Corporation con la centralizzazione delle attività di comando e di coordinamento. La trasformazione delle attività, dei rapporti sociali, delle abitudini e dei gesti cambiò la percezione del mondo, e con essa la cultura e le forme artistiche. Il cubismo e il futurismo furono il risultato di una nuova coscienza del rapporto tra l’uomo e il mondo.

Un altro mutamento profondo si ebbe nel passaggio dal medioevo al mondo moderno. Anche qui un flusso di invenzioni ebbe un ruolo determinante: la bussola, l’orologio meccanico, la polvere da sparo, la partita doppia, l’aratro a versoio, la carta, fino alla stampa a caratteri mobili.
Consideriamo, ad esempio, l’orologio meccanico. Lewis Mumford, uno dei più grandi studiosi di storia della tecnologia, considera l’invenzione dell’orologio meccanico nel medioevo “la chiave di comprensione del mondo industriale dell’età moderna”. L’orologio meccanico fu inventato tra il 1271 e il 1321. La prima descrizione si deve a Dante che nei canti X e XXIV del Paradiso ne descrive la funzione di segnalazione (tin tin sonando con sì dolce nota, X, v.43), il movimento diverso e armonioso delle ruote (E come cerchi in tempra d'orïoli/ si giran sì,che 'l primo a chi pon mente/quïeto pare, e l'ultimo che voli, XXIV, vv.13-15), e la decisiva invenzione dello scappamento, che con movimento oscillante (che l’una parte l’altra tira ed urge, X, v. 42) regola il movimento dell’insieme.

Prima dell’orologio meccanico il trascorrere del tempo giornaliero era scandito dal moto del sole e veniva registrato dall’ombra prodotta dallo gnomone delle meridiane. Tant’è che al tramonto il conteggio delle ore diurne si interrompeva e ricominciava all’alba. Il tempo della notte era considerato tutta un’altra cosa. Non avevano avuto un grande successo misurazioni alternative, quali orologi ad acqua, clessidre e candele. Finalmente, l’orologio meccanico permetteva la definizione di un tempo artificiale uniforme, senza distinzione tra giorno e notte, liberando la scansione del tempo dalle leggi della natura.

L’uso dell’orologio per organizzare il lavoro e la vita collettiva fu colto immediatamente. Troviamo una prima testimonianza di uso dell’orologio in un luogo di lavoro nel cantiere del Duomo di Orvieto nel 1347. L’orologio veniva usato per registrare le presenze e le assenze dei lavoranti, e i ritardi che comportavano detrazioni dal salario. Sulla base delle registrazioni dell’orologio il camerlengo dell’Opera del Duomo ogni sabato calcolava il salario gli operai.

L’orologio meccanico favorì il passaggio da un tempo sociale scandito dalla campana della chiesa, dove la suddivisione della giornata era dettata dalla liturgia, al tempo civico segnalato dalle torri cittadine, dove le autorità civili potevano stabilire i tempi collettivi secondo criteri propri della vita della città. L’orologio a Venezia fin dal XIV secolo dava i tempi i tempi alla città: si iniziava con le campane che segnalavano l’inizio della giornata, poi le campane chiamavano al lavoro gli arsenalotti nella più grande e prestigiosa fabbrica della città, l’arsenale di Venezia. Si continuava con la segnalazione dell’inizio del lavoro delle corti della Serenissima, delle pause del lavoro, della fine della giornata lavorativa, dei cambi delle guardie, fino alla segnalazione dell’inizio ufficiale della notte con le relative proibizioni. Fu anche merito del tempo cittadino scandito dall’orologio la formazione di una coscienza civica e lo sviluppo una concezione laica della vita collettiva.

Oggi siamo alle prese con cambiamenti della stessa natura. Li sottovalutiamo perché, come il lavoro asincrono, ci appaiono limitate sperimentazioni, ma, se dobbiamo dare retto alla storia, quando i cambiamenti investono i tempi e gli spazi della vita e del lavoro, allora trasformazioni silenziose della coscienza sono già all’opera per costruire nel profondo una nuova identità e una nuova percezione del mondo. Verso quale direzione non lo sappiamo. Ma questo è il bello della storia: ci porta per mano con gli occhi bendati, e solo quando siamo arrivati a destinazione ci dice: ecco, guarda!