In Giappone, a Chiyoda, sorge un santuario scintoista. Si chiama Yasukuni, che significa santuario della pace nazionale. Qualcosa che, per semplicità, si potrebbe paragonare ad un cimitero di guerra, anche se le spoglie dei vincitori hanno sempre un posto di riguardo rispetto a quelle dei vinti. Ma Yasukuni è un luogo controverso perché, raccogliendo il ricordo di coloro che sono morti lì servendo il Dio in terra, il tenno, come viene chiamato l'imperatore del Giappone, non fa distinzione da chi lo ha fatto con onore, magari uccidendosi non sopportando l'onta della vergogna, e chi, invece, si è macchiato delle peggiori tra le nefandezze. Tanto che a Yasukuni vengono onorati anche tredici criminali di guerra, a cominciare dall'ammiraglio Hideki Tojo che fu il registra della guerra scatenata dal Giappone nel Pacifico e fu impiccato nel 1948, e le sue ceneri disperse al largo di Yokohama.

È, a pensarci, una metafora di come i giapponesi si confrontino con la guerra, filtrandola attraverso una visione militarista in cui se la vittoria è importante, di più lo è il coraggio.

Quando, dal cielo sopra Hiroshima e Nagasaki la morte arrivò, cancellando le ultime speranze di vittoria, il Giappone si trovò in una condizione cui mai avrebbe pensato di potere arrivare: Paese occupato, privo di una leadership nazionale, costretto a sottostare ad una Costituzione voluta da altri (il generale Douglas MacArthur) per decapitare la mala pianta del nazionalismo, segnato da una filosofia di vita forgiata dall'obbedienza. Eppure si riprese, grazie ad una società che, fortemente compartimentata, costituì la base per ricostruirsi, diventando un miracolo ed un esempio per tutti, anche per i nemici di un tempo.

Il Giappone, quindi, come l'Italia, come la Germania, un asse che avrebbe dovuto dominare il mondo e che si ritrovò a fare i conti, più che con la Storia, che non si può cambiare, con un futuro da poggiare su qualcosa di solido che non fossero i soldati che sventolavano altre bandiere.

Cominciò allora quel lento processo di purificazione della classe dirigente, che fu portata avanti nella consapevolezza che, al contrario di quel che pensavano i vincitori, non si poteva guardare con fiducia e speranza al domani se non confidando anche in coloro che avevano contribuito alla rovina del Paese.

Per questo quello che fu chiamato denazificazione in Germania, recupero delle esperienze in Giappone, repulisti in Italia, per paradossale che possa apparire fu il processo di replicazione del modello precedente, cambiando qui e là qualche denominazione, qualche classificazione burocratica, anche solo qualche targhetta sulla porta degli uffici.

In Italia questo accadde, ma quasi per dare una risposta, peraltro molto blanda, alle istanze di coloro che, durante il fascismo, avevano subito le stupide angherie di un regime fragile perché, basandosi sulla raccolta indiscriminata del consenso, non aveva pensato a costruire una classe dirigente che fosse tale, anche se non indossava panni pacchiani, tra fez e camicie nere, stivaloni e braccia tese.

Un ''sotto il vestito niente'' che nulla c'entra con la moda, ma riguarda invece l'inconsistenza della classe dirigente, che per essere tale e continuare a fare sfoggio di potere, si doveva appoggiare alla burocrazia, a quegli uomini che, ieri come oggi, restano anche quando cambiano i politici.

La defasticizzazione fu un'opera di mero maquillage, perché, quando gli alleati andarono via, quelli che avevano dato al regime la forza burocratica-amministrativa per andare avanti, fecero lo stesso con chi prese il posto degli uomini in orbace, senza per questo avere crisi di coscienza, magari tornando al ''lei'' invece del ''voi''.

Per strano che possa apparire, quelli che avevano aderito alla Repubblica sociale, ma da semplici pedine, pagarono un prezzo ben più alto dei burocrati che avevano messo le loro intelligenze al servizio dei boiardi del duce, dovendo aspettare anni pur di avere l'agognata ''riabilitazione'', come era chiamata.

La Germania, che è pragmatica, una dote che prevale sull'italica furbizia, si trovò nella stessa condizione e capì che, a differenza di quel che volevano i duri tra gli alleati, per riprendere il cammino doveva fare mostra di sapere inghiottire anche il boccone amaro di vedere l'economia del Paese nuovo e affrancato dal nazismo guidata dagli stessi industriali che, sotto il Führer, avevano accresciuto le loro fortune, non facendo gli schizzinosi nel vedere lavorare nelle loro fabbriche i nuovi schiavi.

I grandi nomi dell'industria che prosperavano prima dell'avvento del nazismo, lo fecero durante e anche dopo, nel rispetto del detto latino che dice che il denaro non puzza. Forse fa orrore, ma si porta dietro un irresistibile profumo.