Non è il desiderio di ostentare un poco di inglese ma il termine marketing semplicemente non ha un corrispondente vocabolo nella lingua italiana. “Fare mercato” o peggio “mercatare” non suonano proprio benissimo, per non affermare il loro essere una forzatura -quasi- un “vorrei ma non posso”. Il significato del termine è però chiarissimo, anche se non tutti sono concordi nel definirlo una pratica, una disciplina, una scienza o qualcosa d’altro. Lo scopo, per non dire la ragione stessa del suo essere, è, infatti, sempre lo stesso: vendere.
Chi ha i capelli bianchi ricorderà come -quando era giovane- i “rappresentanti”, i “commessi”, gli “agenti di commercio”, i “piazzisti” ma anche gli “informatori farmaceutici” e simili, quindi tutti coloro che venivano mandati a “convincere all’acquisto”, non erano proprio ben visti, come se la loro attività non fosse basata sulla bontà del prodotto -tanto che fosse un vantaggio, se non un privilegio, venirne a conoscenza- ma su tecniche persuasive -poco importa se poco o tanto, innate o apprese- al limite della scorrettezza, che spesso veniva oltrepassata.
Oggi scrivere quanto sopra è quasi fare della preistoria. Quella della vendita è diventata un’arte, popolare più che diffusa, fino al punto che molte aziende non investono che minimamente nel migliorare la produzione ed i servizi a questa collegati, preferendo -appunto- spendere nel marketing. Del resto, se lo scopo è fare utili, costa molto meno pagare qualcuno che sappia convincere della bontà del prodotto rispetto a far diventare quest’ultimo migliore davvero, magari senza che nessuno lo sappia e lo possa quindi per tale motivo acquistare.
Dare importanza solo a questo tipo di risultati, e all’aver collocato ai posti di comando persone -pardon: manager- di formazione economica è senza dubbio uno dei motivi che ha generato la crisi attuale, che non è solo economica. Ciò la dice assai lunga sulla bontà dell’operato di questi “specialisti”, detto senza ironia, perché ben altro si dovrebbe utilizzare... Come definire, infatti, chi è incapace di veri -in quanto condivisi- risultati nel proprio settore? Ovviamente per non parlare del resto, annichilite come sono le persone che ne dovrebbero beneficiare. L’importanza -per chi li vende- dell’imbellettare prodotti e servizi è innegabile, così come lo è quella della capacità dei “venditori” di essere convincenti, per usare un eufemismo. Nessuno, infatti, vuole che gli venga venduto qualcosa ma tutti vogliono illudersi di comprare, come se questa azione fosse frutto -beata illusione- di una propria autonoma iniziativa.
Superato il soddisfacimento dei bisogni primari -di cui non ci rendiamo conto… ma è una buona notizia!- l’asticella si alza! Il prodotto “secondario” da solo non si vende -desideriamo di più- e non bastano nemmeno le spiegazioni di normali commessi -che non ci fanno desiderare- ma neanche quelle di esperti della materia -competenti ma, di solito, non più di questo. Servono, infatti, veri e propri praticanti dell’arte della vendita, sia in presenza -quindi in negozio- che online -per vendere con l’e-commerce ma anche per indirizzare i clienti verso i punti fisici del datore di lavoro. Per questo il marketing è diventato addirittura la cosa in assoluto più importante, sovrastando quello che -fisico o meno che sia- viene proposto al mercato: l’immagine “mentale” della cosa è più importante di ciò che questa davvero è. Ancora una volta, la percezione (ma non era la realtà?) supera la fantasia.
Non tutti i prodotti, e nemmeno i servizi, seguono però lo stesso percorso, anzi specie alle due estremità della classifica notiamo situazioni davvero particolari. Il fenomeno del momento è l’intelligenza artificiale, il cui sviluppo sembra inarrestabile. Non ci interessa qui ed ora cosa ciò comporti ma “solo” notare come il numero di account aperti presso questo servizio -quindi la quantità di chi lo utilizza- a parità di tempo abbia surclassato quanto avvenuto in passato. Si confronti quanto successo ad internet, alla posta elettronica ed ai seguitissimi social network, compresi i più recenti, per i quali si era gridato al miracolo, sentenziandone l’insuperabilità, ora smentita.
Ebbene tutte le forme di cui sopra non hanno ricevuto alcuna spinta dal marketing propriamente detto. Ancor meno -o di più, dipende da come lo si guarda- si può dire dell’intelligenza artificiale, che si evolve in modo tanto repentino da rendere superata qualsiasi iniziativa, ed a maggior ragione le eventuali campagne commerciali, prima ancora che escano.
Al contrario, però, in tanti, anche alcuni brand di importanza mondiale, si sono comportati diversamente, investendo molto senza ottenere il ritorno sperato. Molti -grandi e piccoli- lo fanno, forse perché mal consigliati, in operazioni davvero prive di senso. Non generalizziamo nemmeno in questo caso ma se ci rivolgiamo a clienti specifici -per natura o localizzazione- non possiamo “spendere” indifferentemente su media o altro che non rappresentano il più piccolo interesse per coloro che, invece, vorremmo attirare!
Se consideriamo grave quanto appena scritto, che dire o scrivere delle campagne che sono state interpretate in modo negativo -ad esempio razzista- il che ha finito non per portare l’aumento delle vendite cercato (banale dirlo ma è così) ma addirittura in certi casi per danneggiare l’azienda? Non ha alcuna importanza cercare di capire se è il pubblico ad aver mal capito i contenuti o è l’emittente ad aver reso disponibile un messaggio errato: il risultato è uno ed uno solo! Chi vuole imparare la lezione… Certo che fare in prima persona è per definizione limitante ma consente ovviamente l’autenticità di chi non delega ad altri il parlare di sè. Al contrario l’incaricare un’agenzia specializzata inverte pregi e difetti!
Altro aspetto è il tema dell’originalità: meglio non svicolare dai binari del consueto o avventurarsi nell’incerto? Il noto non desta troppo interesse ma difficilmente può portare a risultati del tutto negativi mentre il nuovo -se lo è davvero- può condurre ad esiti imprevisti, anche notevoli, sia in bene che in male. Quale perciò il bilancio, provvisorio come sempre, che possiamo stilare e meglio ancora darci?
La prima cosa da fare non può che essere il partire dal prodotto o dal servizio che offriamo: se non è all’altezza della situazione non ci può essere marketing che tenga! Conosco agenzie che, infatti, rinunciano all’incarico se manca questo presupposto. Moraliste? Eticamente corrette? Ma no, sanno di fare brutta figura, in quanto i risultati non possono esserci, anzi non potranno che avere maggiore importanza le recensioni negative! Chi si interessa per lavoro dell’immagine -il branding-, tutela soprattutto se stesso, e non vuole di certo farsi carico dell’insuccesso citato, la cui responsabilità rischia di finire, anche solo a livello di percezione o chiacchiericcio, sulle spalle dell’agenzia, macchiandola. In un certo senso il marketing che fanno riguarda più loro stessi che i loro clienti...
Se ci pensiamo, la differenza tra un ostentato -e promesso, perché il marketing è questo- valore ed il suo esatto contrario produce atteggiamenti che vanno dall’ironia in su. L’esempio più classico, non perchè sia il più importante quanto perchè più diffuso, è l’essere -o sostenere di esserlo- “leader di settore”. Lo sono in tanti, se lo dicono quasi tutti, vero? Certo che una piccola ditta locale -per capirci, il contrario delle multinazionali arcinote- difficilmente può primeggiare, anche solo nel proprio settore, che detto così in modo “globale” -quindi mondiale- sarebbe cosa ben diversa se fosse stato aggiunto il limite geografico. Inoltre, il primo della classe non può che esserlo uno ed uno solo, qui invece sembra lo siano tutti, col solo risultato che non lo è nessuno!
Come sempre è dall’analisi che si deve partire, come in medicina: prima gli esami, poi l’anamnesi, quindi il referto ed infine la prescrizione, che produce il calcio d’inizio della terapia. In moltissimi casi serve una strategia a tutto tondo, solo messo in atto qualcosa di vero interesse per i clienti possiamo spingerlo per vendere come si deve (o si dovrebbe). Se non l’abbiamo, è del tutto inutile investire nel marketing! Anzi, meglio fermarsi e cogliere l’occasione per rivedere i prodotti proprio in funzione delle richieste del mercato: che sia un marketing al contrario? E se fosse l’occasione -finalmente- per ripensare a tutto tondo il mondo dell’impresa, per una volta in modo non astruso dalla realtà?
La seconda è che in presenza di prodotti e/o servizi davvero straordinari è perfino possibile saltare del tutto la fase di promozione, perché quando il valore è notevolmente differente dal normale, non c’è bisogno di imbellettarlo e la diffusione spontanea -automatica?- è la più rapida, e la meno costosa! Agli scettici, quelli che ripercorrono avanti ed indietro solo il loro pensiero, è consigliabile un minimo di analisi di fenomeni in essere la cui analisi non richiede alcuno sforzo. Il primo potrebbe riguardare la già citata intelligenza artificiale, il cui sviluppo -già finito “inarrestabile”- avviene del tutto senza marketing e relativi guru. Un altro, più tradizionale, riguarda l’investimento pubblicitario da parte dei più blasonati produttori di automobili cui corrisponde un valore prossimo allo zero da parte del loro più noto concorrente, i cui veicoli sono alimentati elettricamente, e che quest’anno può vantarsi di aver posto sul mercato il modello più venduto in assoluto, nel mondo e non in una sola categoria.
Sicuro però come tutti parlino di eccellenza ma chi la raggiunge davvero? Pochi, non c’è dubbio, agli altri non resta che ripercorrere le “tradizionali” vie della promozione commerciale, per farsi conoscere e riconoscere -oggi, come già scritto, si parla di “branding”- e soprattutto di farsi comprare, spesso effetto -collaterale?- dell’azione già nominata. Però che cosa ci diciamo quando la teoria appena esposta sembra essere contraddetta, e quindi contraddittoria? Ad esempio, ci sono marchi di importanza mondiale, di lunghissima ed importantissima storia, che sono stati capaci di orientare il mercato per decenni, fino a generare prodotti che hanno il loro nome (e quindi si ha la perfetta identità tra prodotto e produttore) e che comunque investono pesantemente nella promozione. Sono forse poco validi? Temono la concorrenza? Desiderano (o hanno bisogno di) ribadire il loro essere al vertice -ovviamente superiore!- del mercato globale?
La risposta, non a questo ma a tutti i quesiti, è (quasi) sempre la stessa: “dipende”. Aziende di importanza locale o globale hanno mercati di riferimento diversi, così come la grande distribuzione è diversa dal lusso e via dicendo. Non c’è più una ricetta, ed anche se oggi si preferisce il termine “algoritmo”, questo è solo un modo più articolato di dare risposte su base matematica in funzione di più elementi, comunque insufficiente a governare il processo, troppo complesso e con troppe variabili.
La difficoltà è reale, al punto che se molti sono rassegnati al non potercela fare da soli, nemmeno con un servizio o prodotto all’altezza della situazione, si è aperto un mercato, popolato da straordinarie agenzie e freelancers, capaci di dominare il periodo ed anche di essere propositivi ed innovativi, ma anche di venditori di fumo, nel senso peggiore del termine. E’ marketing fare terrorismo (tutto sta andando a rotoli
), distruggere le persone (non puoi farcela da solo
) e convincere che alcuni video guardati online possano risolvere i nostri problemi (bastano pochi euro per diventare ricchi
)? A me ricorda la polvere per vincere al totocalcio e simili perle, ed è ovvio che un ragionamento andrebbe fatto su chi sostiene di conoscere, non importa come abbia fatto. I giusti numeri per vincere al lotto li vende per qualche banconota di scarso valore, comunque inferiore a quanto potrebbe realizzare se li giocasse, esattamente come chi compra li paga meno di ciò che ritiene di potersi aggiudicare venendone a conoscenza…
Pensierino (quasi) finale: se fosse l’ennesima moda, che come tale dopo un periodo di ascesa vivrà la solita decadenza fino a scomparire? Non sappiamo quando avverrà ma ci è già noto quale sarà l’agente che ci libererà degli esperti dell’aumento delle vendite, che non significa l’analogo fenomeno in termini di guadagno…, lo abbiamo citato più volte. L’intelligenza artificiale, al servizio contemporaneo di chi vende e di chi compera, farà anche questo, costringendoci a rivedere perfino il conflitto di interesse!
Concludo con un aneddoto personale: ho appena “rinvenuto” nel casellario postale il biglietto da visita inserito da poco dall’agente di zona della storica azienda produttrice degli aspirapolvere un tempo più noti... dejavu, vintage, anacronismo, snobismo o altro?