Anche l’Ue ha un suo lato oscuro, anzi, più d’uno e si ritrovano in diversi momenti della vita dell’Ue. Ci soffermeremo su tre di questi elementi: la procedura della formazione delle norme Ue, la mancanza di trasparenza e il dominio delle lobby.
In questo primo articolo si indagherà sulla complicata e farraginosa procedura di formazione delle leggi nell’Ue, come codificata nel Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea, in esso un articolo (294) specifica una complicata procedura di formazione delle leggi Ue che definisce i reali poteri decisionali.
Al fine di evitare confusione, prenderemo in considerazione solo la formazione delle principali forme di “leggi” comunitarie: i “Regolamenti” - leggi direttamente applicabili da tutti gli Stati membri dal giorno nel quale esse sono pubblicate sulla GUCE (Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee)- e le “Direttive” che gli Stati membri devono trasporre in diritto nazionale entro due anni dalla pubblicazione sulla GUCE, pena la messa sotto procedimento (indicazioni di multe pecuniarie) da parte della Commissione europea, l’organo esecutivo dell’Unione europea.
Le istituzioni europee coinvolte nel processo decisionale sono tre: la Commissione europea (l’organo esecutivo dell’Ue), il Parlamento europeo (PE) e il Consiglio (la riunione dei ministri di ogni Paese membro dell’Ue competenti della norma comunitaria in questione). La Corte di Giustizia dell’UE, altra istituzione comunitaria, derime i contenziosi sia interistituzionali che quelli tra cittadini e Ue in merito alle leggi europee, ma ciò non è argomento di questo articolo. Nel processo intervengono le lobby, ma questo ovviamente non è compreso dei Trattati Ue.
Il processo legislativo comunitario inizia con una proposta. Senza una proposta nulla si muove. Solo la Commissione, però, ha il diritto di iniziativa, cioè di proporre iniziative legislative. Ciò avviene perché decide di farlo autonomamente, oppure perché glielo chiede il Consiglio (la richiesta è di fatto un ordine), o il Parlamento europeo (articolo 225 TFUE) o un milione di cittadini europei residenti in un quarto degli Stati membri tramite l’ICE (Iniziativa di Cittadini Europei, entrata in vigore nel 2011 ha prodotto, ad oggi, 103 richieste, nessuna delle quali seguita da una proposta di iniziativa legislativa della Commissione). Da notare che la Commissione non è obbligata a dare seguito alle richieste di iniziativa legislative del Parlamento europeo.
Insomma senza iniziativa della Commissione nulla si muove.
Ma allora cosa fanno gli eurodeputati che siedono nel Parlamento europeo?
Per comprenderlo inoltriamoci, passo dopo passo, nelle modalità di adozione delle leggi Ue.
La Commissione decide di presentare, per esempio, una proposta di Regolamento al Parlamento europeo e al Consiglio. Già da questo momento della stesura della proposta da parte della Commissione le lobby entrano in azione. Le direzioni generali della Commissione interagiscono con le industrie e vengono contattate dalle innumerevoli lobby presenti a Bruxelles per “consigliare”, fornire idee e linee direttrici. Tali consigli sono sovente accettati e possono diventare momento di discussione e scontro tra interessi di questo o quel paese membro ovvero tra gruppi di paesi membri, partiti, forze sociali. Si tenga presente che le norme dell’Unione europea riguardano quasi 450 milioni di cittadine e cittadini e relativi mercati.
Per comprendere l’importanza del lavoro di influenza delle lobby, che è molto grande, basti considerare che, dopo Washington DC, si dice che Bruxelles è il luogo al mondo dove risiedono il maggior numero di lobbisti. Al termine di questo lavorio il Regolamento in questione viene inviato al Parlamento e al Consiglio. Gli uffici degli eurodeputati come quelli dei ministri studiano il testo presentato; vengono anch’essi contattati dai lobbisti, dai loro governi o da gruppi organizzati di cittadini al fine di proporre modifiche in prima lettura. Se il testo proposto dalla Commissione viene adottato senza modifiche il Regolamento diventa norma europea pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale europea; se invece viene modificato allora inizia un iter alquanto complesso.
Se il Consiglio (i cui ministri degli stati membri del competente dicastero seguono le loro linee guida e quelle del proprio governo) approva la posizione del Parlamento europeo, l'atto è definitivamente adottato. Cosa accade, invece, allorquando il Pe apporta modifiche al testo? Se il Consiglio le accetta, il testo anche in questo caso diventa legge. Altrimenti il Consiglio esprime il proprio giudizio in merito e tale documento viene chiamato: “posizione comune”.
A questo punto il Parlamento europeo ha tre mesi di tempo per decidere cosa fare della proposta di legge modificata dal Consiglio: adottarla come modificata, respingerla completamente (a maggioranza dei suoi membri, non dei presenti) o proporre emendamenti alla posizione comune del Consiglio, sempre a maggioranza dei membri che lo compongono. La Commissione formula un parere su tali emendamenti. In questo passaggio legislativo si svela il grande potere della Commissione poiché, se il parere della Commissione sugli emendamenti europarlamentari è favorevole, il testo così modificato per essere respinto dal Consiglio necessita dell’unanimità. In ultima istanza è la Commissione che decide quali modifiche siano accettabili o meno al suo testo.
Il testo così modificato dal Pe torna quindi al Consiglio il quale ha tre mesi di tempo per adottarlo o mantenere le sue posizioni. A questo punto agli eurodeputati non restano che due opzioni: accettarlo così com’è o respingerlo. Insomma hanno solo potere di veto.
Ma c’è una terza via: vista l’inconciliabilità delle posizioni tra eurodeputati e ministri, i presidenti delle due istituzioni europee - Parlamento europeo e Consiglio - convocano un “comitato di conciliazione” che entro sei settimane deve derimere il contenzioso. Entro le sei settimane previste se eurodeputati e ministri non trovano accordo il testo decade. Se invece l’accordo viene trovato le due istituzioni hanno ancora sei settimane di tempo per adottare definitivamente le legge.
I tempi legislativi, come si può constatare, sono strettissimi considerato anche che sia i ministri che i deputati europei risiedono nel proprio Paese per curare gli affari di governo gli uni, il proprio collegio elettorale gli altri. Per tali ragioni, dall’inizio dell’utilizzo della procedura di codecisione, i tempi stabiliti non sono stati rispettati creando così impasse giuridiche. Inoltre si deve tener conto del fatto che non sempre le medesime istituzioni che hanno creato la codecisione ne conoscono a fondo le procedure. Per esempio, nel corso del primo caso di procedura di codecisione tra Parlamento e Consiglio (in quel caso l’adozione del Programma Quadro di Ricerca scientifica), all’inizio della riunione i ministri sospesero la riunione congiunta per ritirarsi a studiare la nuova procedura. Non avevano capito cosa stesse accadendo e perché.
Dunque, per far fronte ai tempi strettissimi della procedura di adozione di leggi Ue, si è fatto ricorso ad uno stratagemma. Poiché il Consiglio, in sede di prima lettura non ha termini temporali per arrivare alla “posizione comune” da inviare poi all’europarlamento, in presenza di profonde divergenze con gli eurodeputati, sospende l’iter legislativo ed inizia quello che in termine gergale europeo viene chiamato: “trilogo”. Detto trilogo consiste nella riunione degli eurodeputati della commissione parlamentare competente la materia sulla quale legiferare, del Consiglio e della Commissione. Poiché si è nell’unico momento di prima lettura nella quale il Consiglio deve elaborare la posizione comune senza limiti di tempo, a volte la soluzione viene trovata dopo molto tempo, anche dopo oltre due anni di incontri. Se l’accordo non si trova l’unica soluzione in forza del Paramento europeo è quella del veto. Altri poteri attivi gli eurodeputati non ne hanno.
In tutto questo tempo, ovviamente aumentano, se possibile, gli forzi delle lobby per far adottare questo o quel argomento. A volte con scontri epocali: i quali rappresentano la storia dell’evoluzione del vecchio continente, le conseguenti difficoltà ma anche le caratteristiche culturali positive dell’Unione. Per esempio lo scontro sulle accise sulla birra o sul vino. Niente schieramenti ideologici destra/sinistra, ma scontro tra le imprese e i Paesi produttori di birra e quelli del vino, poiché un aumento delle accise sull’uno o sull’altro prodotto avrebbe penalizzato i concorrenti e il relativo impatto economico del Paese. Come pure lo scontro tra le imprese produttrici di Pvc e quelle di rame per avvantaggiare le prime o le seconde nella scelta delle condutture sanitarie casalinghe.