Quando si svolge un lavoro autonomo, il datore di lavoro spesso richiede che il lavoratore abbia la Partita Iva. A meno che i guadagni non rimangano sotto certe soglie per cui è più comodo utilizzare la ritenuta d’acconto. Per i liberi professionisti e per le imprese che vendono beni e servizi, la Partita Iva diventa indispensabile nel momento in cui è necessario adempiere agli obblighi fiscali. Le domande che nascono spontanee sono tante e tutte richiedono risposte che non sono facili da trovare. L’apertura della Partita Iva permette l’emissione della fattura quando offriamo le nostre prestazioni o vendiamo dei beni e dà la possibilità di pagare minori contributi scalando le spese che sosteniamo per svolgere la nostra attività professionale. La prima domanda che ci si pone quando si vuole aprire la Partita Iva è la seguente: conviene?

Dietro questo conviene c’è una preoccupazione che è del tutto naturale. Cioè il pericolo che, a una apertura della Partita Iva, segua un momento di crisi nel lavoro per cui non si guadagna abbastanza da coprire le spese. Sono due gli elementi da tenere in considerazione. L’attività che svolgiamo deve essere abituale e continuativa, cioè deve essere ripetuta nel tempo. Si presuppone che chi svolge un’attività in maniera abituale abbia i mezzi economici per svolgerla. Molti fanno riferimento alla soglia dei 5.000 euro di ricavi, il cui superamento comporta l’obbligo dell’apertura. Ma questa è una falsa convinzione. L’apertura è legata solo alla continuità del lavoro che svolgiamo. Questo non significa che dobbiamo trascurare le spese cui andiamo incontro dopo l’apertura. Alla fine dell’anno arriverà il conto delle tasse da pagare e il conto del commercialista e queste spese devono essere coperte con largo anticipo. Se non siamo in grado di pagare tasse e contributi INPS significa che la nostra attività imprenditoriale deve essere rivista.

Molti si chiedono cosa succede se non ci sono guadagni. Le tasse vanno comunque pagate? Inizialmente può capitare di non fatturare e di avere un reddito vicino allo zero. La libera professione è fatta di alti e bassi, ma soprattutto la fase iniziale è quella più difficile. È necessario trovare i clienti, fidelizzarli, capire come muoversi tra la domanda e l’offerta. Se non ci sono ricavi e compensi non ci sono tasse da pagare. Si, è vero, ma non del tutto. Rimane comunque la quota INPS, oppure la gestione della cassa previdenziale, che può richiedere un pagamento separato. Se siamo iscritti a un albo, ci sarà anche il pagamento annuale di questa iscrizione. Le spese quindi non sono mai azzerate del tutto. Prima di aprire una Partita Iva bisogna riflettere attentamente.

Federcontribuenti ci aiuta in maniera approfondita a capire quali sono i pericoli delle Partite Iva. Secondo i calcoli fatti, fatturando 45 mila euro ci garantiamo, dopo aver pagato le tasse, un guadagno netto di 17 mila euro. I più critici hanno definito le Partite Iva come i bancomat dello Stato. È facile colpire in questa direzione perché le tutele mancano quasi completamente. Chi ha la Partita Iva guadagna in media 7 mila euro all’anno, una cifra che tra l’altro sta calando negli ultimi tempi. Il 25% dei lavoratori che aprono una Partita Iva riesce a gestirla e a mantenerla, il restante 75%, alla fine, è costretto a chiuderla prima di arrivare alla pensione. Perdendo naturalmente i contributi INPS e INAIL maturati. Alla chiusura delle Partite Iva segue spesso la chiusura delle imprese. Sono quasi 300 mila le imprese che non ce l’hanno fatta negli ultimi 10 anni. La crisi economica si fa sentire, Federcontribuenti si chiede quindi perché la classe politica continui ad aumentare le tasse colpendo le Partite Iva che sono già deboli e provate.

Dal 1 gennaio 2024 tutte le Partite Iva saranno costrette a sopportare la flat tax per il regime ordinario e a fatturare elettronicamente. Queste sono le novità. Vale la pena ricordare che i regimi che si possono adottare quando si apre la Partita Iva sono due, cioè l’ordinario e il forfettario. Il regime forfettario è quello agevolato, indicato dai commercialisti per coloro che stanno cominciando una nuova attività imprenditoriale. Il regime forfettario ha delle aliquote fisse che partono dal 5% e arrivano a un massimo del 15%. Il 5% è valido per i primi 5 anni di attività. Mentre la flat tax verrà applicata solo ai regimi ordinari, la fatturazione elettronica riguarda anche chi ha adottato un regime forfettario. È stato quindi deciso un superamento della normativa del 2023, che prevedeva un mancato obbligo di fatturazione elettronica per i regimi forfettari con compensi inferiori a 25 mila euro. Altra novità per questo 2024 sarà la modifica nei metodi di calcolo della soglia forfettaria. Non verrà presa più in considerazione la parte incassata ma la parte fatturata. In questo modo verrà stabilito se il possessore di Partita Iva deve rimanere nel regime agevolato oppure lo deve abbandonare per avere superato la soglia degli 85 mila euro. Questa introduzione è stata necessaria per fare in modo che l’Italia si adeguasse alla normativa europea e alla direttiva sull’esenzione Iva. I regimi ordinari non vedranno più l’applicazione della flat tax incrementale, attiva fino allo scorso anno ma in via sperimentale. La tassazione sarà quella ordinaria. Gli esperti hanno stilato un bilancio di queste novità. Sono state considerate poche, povere e per niente foriere di cambiamenti favorevoli per gli imprenditori. Si rimane con i soliti dubbi e con le solite paure. Aprire o no la Partita Iva?

Chi è interessato da vicino all’argomento si chiede cosa succede quando un possessore di Partita Iva si ammala. Se lo chiede anche Federcontribuenti. Le tutele mancano, come se esistessero contribuenti di serie A e di serie B. Lo Stato lotta disperatamente contro l’evasione fiscale che in Italia è una vera piaga. Colpire i piccoli imprenditori, però, non sembra la misura più equa. Gli adempimenti fiscali rimangono opprimenti anche in questo 2024 e versare tutte le tasse richieste non sembra alla fine avere molto senso per chi fa fatica ad arrivare alla fine del mese. La parte più antipatica di tutte rimane quella riguardante gli anticipi che lo Stato richiede sull’ipotetico guadagno dell’anno successivo. Calcolato in base ai guadagni degli anni passati, si ha l’impressione che le somme da versare, anche se basse, facciano comunque paura. Tanto quanto un’attività imprenditoriale che stenta a decollare. Non dovrebbe essere così per due motivi. Innanzitutto perché quando non si fattura, le spese di base non dovrebbero essere montagne insormontabili. E poi perché senza lavoro e senza fatturazione non c’è crescita. Non c’è crescita sistemica, non c’è crescita in generale. Ci si muove dentro questi contesti come sopra i pezzi di vetro. Ogni errore, ogni spesa extra, ogni periodo di crisi, possono dare il colpo di grazia all’attività imprenditoriale appena aperta. E ci si chiede il perché di tanta instabilità.

Il sistema fiscale italiano si è cristallizzato attorno ad alcune certezze che potrebbero essere errate. Secondo Federcontribuenti, lo Stato continua a colpire il motore dell’economia che sarebbe rappresentato proprio dai lavoratori con Partita Iva. Sarebbe necessario alleggerire la pressione fiscale, si parla addirittura del 60% se si vuole garantire la sopravvivenza delle imprese piccole che tengono a galla il mondo del lavoro italiano e che pagano le tasse regolarmente. Ma è necessario anche fare in modo che la burocrazia non complichi calcoli e pagamenti, che le scadenze siano flessibili e che i ricalcoli siano certi. Sapere quanto pagare e quando pagare ed essere sicuri che le misure applicate siano giuste ed eque potrebbe facilitare l’apertura di nuove Partite Iva e potrebbe tranquillizzare coloro che continuano a sopravvivere e ogni giorno si chiedono se non sia il caso di chiudere. Chiudere non solo con questo sistema nebuloso di adempimenti agli obblighi fiscali ma proprio con l’attività imprenditoriale prescelta. Le paure di non farcela alla fine dell’anno sono un incubo reale.

Bisogna comunque fare delle distinzioni proprio in ottica di evasione fiscale. Bisogna cioè distinguere il piccolo e giovane imprenditore impaurito che apre la Partita Iva e poi la chiude pentendosi di averlo fatto, dagli scafati imprenditori che con l’apri e chiudi riescono a evadere somme importanti. L’Agenzia delle Entrate, nel 2023, ha effettuato numerosi controlli scovando 2 miliardi di euro di operazioni economiche anomale. Questo apri e chiudi ha riguardato principalmente Milano e Roma, è chiaro che ora tutto il Paese verrà coinvolto nel tentativo di scoprire altri casi. Che pare spuntino fuori come funghi. Ora qui si pone la classica questione del cane che si morde la coda. Perché abbiamo numerosi imprenditori che grazie alla Partita Iva potrebbero aiutare il lavoro e il sistema fiscale italiano ma hanno paura dei metodi incerti che lo Stato propone per gestire queste casistiche fatte di illegalità e premeditazione. Gli imprenditori più esperti utilizzano le falle del sistema per pagare meno tasse e aumentare i capitali delle aziende. Questo porta a un inasprimento dei controlli e a una maggiore decisone quando si comincia a punire. Nel calderone potrebbe finire anche chi ha poche colpe. Questa paura potrebbe portare a tantissime chiusure o mancate aperture di nuove Partite Iva. C’è sicuramente un corto circuito nella comunicazione tra Stato e classe imprenditoriale, un problema che non fa bene ai conti del Paese, al morale di chi lavora e si sacrifica, e anche alla famosa iniziativa italiana che ha sempre dato a tutti grandi soddisfazioni.

Queste complicazioni peggiorano la visione che da fuori ha chi vorrebbe diventare un lavoratore autonomo, un professionista oppure un imprenditore, e vede la Partita Iva come uno spauracchio. Probabilmente, l’unica maniera per convincersi ad aprirla è quella di agire psicologicamente su noi stessi. Dobbiamo imporci un comportamento che non dovrebbe essere mai trascurato. Cioè, se nei primi mesi di lavoro stiamo guadagnando, mettiamo da parte la somma che prevediamo di dover pagare a fine anno. I primi mesi devono essere il corrispondente del famoso fieno in cascina. E nel far questo, il nostro commercialista sarà il miglior alleato. Ci dirà quanto dovremmo mettere da parte e ci aiuterà a trovare la tranquillità giusta per lavorare senza pensare alle spese. Alla fine dell’anno dovremmo pagarlo, quindi consultiamolo ogni volta che abbiamo un dubbio. I regimi agevolati, a detta dei commercialisti, sono quelli che ci permettono di pagare meno tasse nei primi anni di attività. Quindi questo dovrebbe essere il punto di partenza. Per il resto bisogna buttarsi e provare, solo così potremmo capire se questa è la dimensione giusta per la nostra carriera dal punto di vista fiscale e contributivo. Non ci sono altre certezze, nessuna medicina miracolosa. Certo, avere una buona idea imprenditoriale dalla nostra parte potrebbe essere un grande vantaggio, ma, si sa, il mondo del lavoro è imprevedibile e dobbiamo essere pronti ad affrontare ogni circostanza. Ciò che lascia l’amaro in bocca è vedere come, in Italia, il lavoro sia così bistrattato e i lavoratori onesti quasi ignorati. Il sistema fiscale dovrebbe essere disegnato sulle loro esigenze, sulla loro produttività, in modo che le entrate possano essere certe sia per loro che per lo Stato. La speranza di tutti è quella che presto ci siano cambiamenti, le giuste modifiche per fare passi avanti e vedere miglioramenti. E avere minori paure. La Partita Iva, soprattutto per le fasce deboli, giovani, donne e uomini di una certa età che rischiano di essere espulsi prematuramente dal mondo del lavoro, potrebbe essere un’ancora di salvezza. Certo non ora, non a queste condizioni.