Tra le associazioni artigiane regionali più importanti del nostro Paese, Confartigianato Imprese Piemonte conta circa quarantamila aziende associate. Il Presidente Giorgio Felici, cuneese di nascita, milanese di formazione e sabaudo di carattere, già Vice Presidente di Confartigianato Imprese Cuneo, illustra i successi e le criticità di quest’ente che, fondato il 23 ottobre del 1972, da oltre cinquant’anni tutela e valorizza le piccole e medie imprese artigianali piemontesi.
Come riesce a rispondere alle esigenze delle imprese associate?
Ogni trimestre il Centro Ricerche di Confartigianato Imprese Piemonte effettua un’indagine congiunturale, partendo dall’analisi di tremila campioni di aziende contattate in modo diretto, per telefono. Esse appartengono a trecento tipologie differenti di mestieri artigiani, dai più tradizionali come la falegnameria a conduzione familiare o le piccole attività produttrici di eccellenze nell’agroalimentare, ad aziende altamente tecnologiche, che producono droni oppure schede elettroniche. I nostri ricercatori attraverso una serie di domande, che implicano risposte su proiezioni future, investimenti a piccolo e medio termine, propensione a investire, assumere, accedere ai crediti, riescono a monitorare costantemente lo stato di salute delle imprese associate e ad agire di conseguenza.
Chi compone le piccole e medie imprese piemontesi?
La maggior parte delle PMI regionali ha nel proprio assetto societario più uomini che donne. Ciò è dovuto anche alla stessa natura artigiana che, nata spesso sul territorio in cui i fondatori risiedono, è a conduzione familiare, con la moglie che collabora con il marito e i dipendenti trattati come membri di famiglia.
Cosa ne pensa della presenza femminile all’interno delle aziende?
Sono molto attento alla presenza femminile all’interno delle aziende. Dal 2011 ad oggi si sono susseguiti una serie di anni difficili: governi tecnici, situazioni depressive rispetto alla domanda interna, misure deficitarie che hanno portato alla diminuzione della capacità imprenditoriale dell’Italia e poi la pandemia di COVID-19 con tutto quello che ha comportato. Eppure proprio negli anni 2020-2023 le imprese a trazione femminile sono cresciute e quelle che al loro interno avevano una componente femminile a qualsiasi titolo hanno retto alla congiuntura.
Il risultato emerso dagli studi del nostro centro di ricerche, dopo mesi e mesi di dati incrociati, è che le attività artigianali in cui vi era l’elemento femminile, sia in maniera ufficiale che ufficiosa, sono state in grado di superare la buriana. In generale le donne di fronte alle emergenze non si perdono d’animo, agiscono, si danno da fare e, ciascuna a proprio modo, esortano a non arrendersi chi, di sesso opposto, collabora con loro. La prima volta lo richiamano alla realtà, intimando di rimanere con i piedi per terra, di non perdere mai di vista l’obiettivo. La seconda lo richiamano ai propri doveri; il principale è: “Tu non puoi permetterti di mollare, di darti per vinto.”
Come è stato vissuto il post pandemia dalle imprese artigiane?
In Piemonte si contano circa 117 mila imprese artigiane. Tra queste -occorre ribadire-, quelle che sono riuscite a conservare posti di lavoro, continuità sul territorio e capacità di saper fare, nella maggior parte dei casi ha all’interno del proprio assetto una figura femminile. Purtroppo, passata la baraonda del COVID-19 le imprese a trazione femminile o ufficialmente con governance aziendale femminile stanno pagando un prezzo molto alto. Se le donne vanno in banca a chiedere un prestito, le banche fanno più fatica a concederlo loro, rispetto a quando si presentano a chiedere soldi degli uomini.
In che modo sta tentando di arginare questa impasse?
Cercando di intercettare istituti bancari disposti a concedere prestiti alle donne. Provengo dal mondo militare. Ho un approccio militaresco femminile. Sono fermamente convinto che se voglio portare a casa il risultato prefissatomi, quando mando una donna, più o meno lo ottengo. Gli uomini hanno sempre un certo timore nel confrontarsi con le donne.
Qual è la sua opinione in merito alla parità di genere nel mondo del lavoro?
Preferiscono confrontarmi e coinvolgere le donne come collaboratrici al mio fianco. Il sistema Confartigianato Imprese Piemonte conta oltre duecento dirigenti con ruoli di rappresentanza. Ci sono donne che vi rivestono ruoli dirigenziali con importanti deleghe all’ambiente, al fisco, ecc. Queste dirigenti danno un po' di freschezza al sindacato, anche se la maggior parte dei ruoli apicali è ancora affidato a uomini. Attualmente stiamo lavorando a un protocollo sulla parità di genere, che abbia un risvolto concreto sul lavoro delle donne all’interno delle aziende. Obiettivo fondamentale è la parità di stipendio, un uomo e una donna con uguali mansioni, uguale ruolo, uguale curriculum vitae devono essere remunerati allo stesso modo.
Sembra quasi assurdo, ma ancora nel 2024 di uomini disposti ad accettare ciò, ce ne sono ben pochi. Resto comunque fermamente ancorato ai miei saldi principi: lo sviluppo di un Paese moderno passa da un riconoscimento dell’Imprenditoria femminile importante, basilare.
Inoltre lo sviluppo della Regione Piemonte si deve anche alle figure femminili. Nell’orgoglio sabaudo c’è una forte componente femminile. La modalità calvinista con cui noi piemontesi concepiamo il lavoro è tutta femminile.
Aziende artigianali del Nord Italia e aziende artigianali del Sud Italia. Cosa ne pensa?
Indubbiamente si avverte un grande gap tra le opportunità che le imprese del Nord hanno rispetto a quelle del Sud. Stiamo cercando di superarlo, creando delle premialità. A mio parere lo sviluppo del nostro Paese passa da un forte rilancio del Sud Italia. Il 60% della committenza non territoriale delle imprese artigiane del Nord è del Sud. Di conseguenza se riuscissimo a rilanciare in modo importante il Mezzogiorno, ne trarrebbe un evidente sviluppo anche il Settentrione.
Imprese artigianali e politica nazionale. Quale connubio?
L’Italia non è un posto sano per fare impresa. Chi ha un’attività artigianale paga molte più tasse rispetto agli altri Stati europei. In aggiunta la politica non emana leggi adeguate per far fronte a questa situazione. Un’impresa artigiana con due dipendenti arriva a pagare fino al 78% di imposte, compresi i contributi previdenziali. Una vergogna. L’imprenditore non ci riesce. Quasi sempre i crediti dovuti alla Stato non sono legati all’evasione, ma all’impossibilità di pagare.
Noi siamo in Europa. Percepiamo i fondi del PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ammesso che approdino a qualcosa di costruttivo. Faccio questo esempio: Confartigianato Imprese Piemonte si sta impegnando su un progetto dedicato alla sostenibilità. Il programma riguarda l’apertura di comunità energetiche e la conseguente richiesta dei fondi per un’iniziativa utile, vantaggiosa per l’intera comunità. Si tratta di un’iniziativa che non ha nulla di ideologico, ma una ricaduta di lunga durata sul sociale.
Per accedere ai fondi europei i funzionari di Confartigianato devono compilare una documentazione di minimo 300 pagine. I nostri colleghi francesi se la cavano con quattro o cinque paginette. In Italia pare che la burocrazia si autoalimenti. Blandisce così tanto i politici al governo che nessuno ha il coraggio di attaccare, di porre un freno.
L’approccio dei governi, sia di destra che di sinistra, nei riguardi dei problemi connessi alle piccole e medie imprese artigianali è veramente deficitario. Non affermo di non trovare buona volontà da parte delle istituzioni nazionali su temi legati a fisco e burocrazia, ma quando i politici di turno si trovano a dover dare risposte concrete a dati complessi, si guardano in giro e cercano l’appoggio del funzionario. Inoltre quando si parla di imprenditoria femminile, si chiudono a riccio.