Si narra che nel 333 a.C. Alessandro Magno, nel corso delle sue campagne militari, giunse a Gordio, capitale del popolo dei Frigi, situata nel cuore dell’attuale Turchia, a est di Ankara. Nell’acropoli della città era custodito il carro frigio con cui il contadino Gordio entrò per primo nella neonata città e, grazie a una profezia, ne divenne re e le diede il proprio nome. Il giogo del carro era collegato al timone mediante un nodo molto intricato, e una profezia locale aveva decretato che chiunque fosse riuscito a scioglierlo era destinato a diventare il sovrano dell'Asia. Determinato a compiere la profezia, Alessandro tentò di sciogliere il nodo. Non riuscendovi, estrasse la spada e lo tagliò con un colpo netto, dichiarando che non importava come il nodo fosse sciolto. Da allora il nodo di Gordio simboleggia un problema apparentemente insolubile risolto con un'azione decisa.
I problemi globali che stiamo soffrendo negli ultimi anni - crisi climatica, flussi migratori, povertà crescente, crisi energetiche, crisi del welfare, debolezze delle democrazie e conflitti regionali – appaiono intrecciati come il nodo gordiano. Sono così strettamente connessi in una rete di interdipendenze che sembra impossibile scioglierli. Né appaiono praticabili le soluzioni semplicistiche e miracolistiche. La scienza della complessità ci ha mostrato che semplificare un problema complesso equivale a falsificarlo, e quindi non risolverlo. Insomma, con la buona pace di Alessandro, non esistono soluzioni semplici a un problema complesso.
La complessità che stiamo vivendo sta nel fatto che ogni crisi settoriale e locale ne alimenta altre in altri luoghi e in altri settori. La maggiore frequenza e intensità di eventi atmosferici aggrava le condizioni di vita di intere popolazioni e alimenta migrazioni forzate. Allo stesso tempo, una transizione rapida alle energie rinnovabili colpisce pesantemente le economie dipendenti dai combustibili fossili e le filiere industriali legate al trasporto, ostacolando accordi tra i paesi penalizzati in modo diverso dai cambiamenti climatici. D’altra parte, modificare il sistema di produzione e consumo globale, basato su alti consumi e sullo sfruttamento delle risorse naturali, appare un'impresa colossale, fuori portata dai centri decisionali internazionali. Ne consegue che le classi dirigenti dei vari paesi, incapaci di gestire la complessità, tendono a privilegiare interessi locali e a breve termine al fine di racimolare un provvisorio consenso.
Per finire, lo scollamento tra la complessità delle crisi e le fragili soluzioni messe in atto alimenta nella società una diffusa sensazione di precarietà e impotenza, deprimendo le energie più vitali della collettività. E, come sappiamo, senza ottimismo non si costruisce un futuro migliore.
Come sciogliere questo nodo gordiano?
Forse una possibile risposta ci viene proprio da una proprietà dei sistemi complessi: l’auto-organizzazione. La proprietà afferma che:
a) sistemi sufficientemente complessi ‘spontaneamente’ generano azioni locali tra loro correlate che nessuna autorità centrale ha mai progettato;
b) se le azioni locali trovano condizioni favorevoli, possono propagarsi e dare vita a proprietà globali che trasformano l'intero sistema.
La proprietà di auto-organizzazione nei sistemi complessi è stata ampiamente studiata.
Iniziative di auto-organizzazione sono presenti in moltissime manifestazioni sociali; non solo, come è più ovvio, nei gruppi di volontariato, ma anche in sistemi organizzati dall’alto come imprese, eserciti e perfino carceri. In realtà, l’auto-organizzazione è presente in tutti i sistemi viventi, sociali e culturali, e anche in alcuni sistemi fisici. I granelli di sabbia che si assemblano in dune, i flussi d’acqua che formano vortici, le cellule che costituiscono tessuti, i pesci che si uniscono in branchi, le formiche che formano linee, sono tutti esempi di auto-organizzazione. Anche gli incidenti o disastri possono avere origine da processi auto-organizzativi. Quando un sistema tecnologico, anche perfettamente progettato, interagisce con il sistema umano, con gli agenti atmosferici e con condizioni ambientali impreviste, possono generarsi eventi che, rinforzandosi reciprocamente in processi auto-organizzativi, sfociano in incidenti o disastri. Insomma, nel bene o nel male, l’auto-organizzazione nei sistemi complessi è sempre in agguato.
Fare affidamento sull’auto-organizzazione dei sistemi complessi può essere la soluzione quando non si conosce come affrontare un nodo complesso. Per farlo, è necessario che chi ha responsabilità di governo segua semplici regole:
partire dall’assunto che in ogni sistema sufficientemente complesso vi sono sempre processi di auto-organizzazione in atto;
andare alla ricerca dei processi di auto-organizzazione presenti nel sistema;
individuare le esperienze di auto-organizzazione che sembrano più efficaci e promettenti;
costruire le condizioni di contesto (tecniche, economiche, normative e culturali) per valorizzare e diffondere queste esperienze.
Sono prescrizioni semplici, che potrebbero essere adottate parallelamente alle soluzioni centralizzate. In realtà, ben poco accade: inerzie culturali, blocchi ideologici, interessi politici ed economici, e talvolta l’arroganza delle classi dirigenti, congiurano contro una pratica politica che richiede umiltà e ascolto.
Faccio un esempio. Domenico Lucano, sindaco di Riace dal 2004 al 2018, ha sperimentato nel suo piccolo comune un innovativo approccio all'accoglienza dei migranti, noto come Modello Riace. Nel 1998, Riace, un borgo in via di spopolamento, accolse un gruppo di circa 200 profughi curdi sbarcati sulle sue coste. Lucano, con il supporto dell’associazione 'Città Futura', sfruttò l’opportunità per rivitalizzare il paese, offrendo ospitalità ai migranti nelle case abbandonate e coinvolgendoli in attività lavorative locali, come l'artigianato e l'agricoltura. Questa azione ha permesso di contrastare lo spopolamento e ha promosso l'integrazione sociale ed economica dei rifugiati.
Tuttavia, nel 2018, l’esperimento di Riace è stato smontato da inchieste giudiziarie, poi risultate infondate, e da un sostanziale scetticismo della politica. Un modello che, con risorse adeguate, sarebbe interessante studiare e promuovere su larga scala, è rimasto confinato a pochi piccoli comuni che hanno adottato sistemi di accoglienza diffusa per i migranti attraverso un sistema di integrazione finanziato dallo Stato. Lo stesso vale anche in altri paesi europei, dove esempi di integrazione dei rifugiati in piccole comunità e aree rurali faticano a superare la dimensione locale per l'assenza di un adeguato contesto normativo, culturale e di sostegno economico.
Stesso discorso per le numerose iniziative che affrontano problemi energetici locali attraverso soluzioni partecipative e sostenibili mediante comunità energetiche rinnovabili e gruppi di autoconsumo che coinvolgono cittadini, imprese e istituzioni locali nella produzione, consumo e gestione condivisa di energia da fonti rinnovabili. Anche queste esperienze non ricevono il necessario supporto da parte dei governi centrali per essere promosse e generalizzate.
L'impressione è che le classi dirigenti sognino di poter forgiare la spada di Alessandro, e non percepiscano l’importanza dei processi auto-organizzativi per affrontare i problemi globali. Persiste una forte resistenza da parte di chi detiene il potere a comprendere che con i nodi gordiani l'arma migliore è mettere al lavoro l’intelligenza collettiva e spingere una moltitudine di attori locali a districare uno a uno i fili della matassa.