L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e l’eterno conflitto israelo-palestinese non devono farci dimenticare che il centro Africa registra ogni anno migliaia di morti. Si tratta di una vera polveriera con micce sempre accese pronte a farla esplodere. Le micce sono simbolicamente rappresentate dai tanti Paesi con conflitti aperti con vere guerre civili o con guerre con Paesi limitrofi.
Principali Paesi africani con conflitti aperti
Determinare un numero preciso di persone uccise in tutta l'Africa negli ultimi anni è complesso, poiché i conflitti, la violenza e le crisi umanitarie coinvolgono diverse regioni del continente e le stime variano notevolmente. Tuttavia, possiamo esaminare alcune delle principali aree di conflitto e violenza che hanno causato decine di migliaia di morti, la cui stima esatta è quasi sempre difficile.
L’Etiopia, con la guerra civile della regione nel Tigray a confine con l’Eritrea, dove conflitti interni hanno coinvolto le forze governative etiopi e le forze del Tigray, con un accordo di pace nel novembre 2022 che non sembra abbia cambiato la situazione umanitaria e gli atti di violenza.
La Repubblica Democratica del Congo (RDC) continua a essere colpita da violenze armate, soprattutto nella regione orientale, dove operano gruppi ribelli e milizie locali, con migliaia di persone uccise principalmente a causa degli scontri tra le forze governative e i gruppi armati.
La regione del Sahel (Mali, Niger, Burkina Faso) devastata dalla violenza legata ai gruppi jihadisti e alle milizie locali e da colpi di Stato che hanno destabilizzato ulteriormente i governi.
La Somalia, dove il gruppo jihadista Al-Shabaab continua a causare morti attraverso attacchi terroristici e scontri con le forze governative.
La Nigeria, dove si è avuta l'insurrezione di Boko Haram, con le bande armate nel nord-ovest che hanno causato un numero elevato di vittime.
Il Camerun (conflitto anglofono), il Mozambico (insurrezione nel Cabo Delgado) e vari altri paesi africani hanno registrato anch'essi violenze, con migliaia di morti nel corso del 2023.
Nel quadro generale il Paese che mi ha particolarmente colpito è il Sudan, un Paese dove avvengono stragi che sembrano passare inosservate ed è su questo Paese che mi soffermerò nel prosieguo dell’articolo.
Le recenti vittime in Sudan
Mi sono chiesto perché in tutto il mondo sono ben presenti le stragi dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, quelle dovute all’eterno conflitto tra Israele e Palestina, mentre poche sono le notizie che vengono diffuse sulle stragi che vengono perpetrate in Sudan dall’aprile del 2023 e in altri Paesi africani. In Sudan, il cui nome deriva dall'espressione araba Bilād al-Sūdān, ossia "Paese degli uomini neri", nell'aprile 2023 è scoppiato un conflitto interno, tra l'esercito sudanese e le Forze di Supporto Rapido (RSF), che ha già causato migliaia di morti.
Dall'aprile 2023 a oggi, il conflitto ha causato un numero significativo di vittime; oltre alle morti dirette nei combattimenti, migliaia di civili sono morti a causa delle condizioni umanitarie gravemente deteriorate, comprese malattie e mancanza di accesso a cure mediche e cibo. Il conflitto ha causato una crisi umanitaria diffusa, con milioni di sfollati interni e rifugiati in fuga verso i paesi vicini.
Su ansa.it del 9 settembre 2024 si legge che il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) Tedros Adhanom Ghebreyesus in una conferenza stampa a Port Sudan, durante una visita di due giorni nel Paese, ha affermato che oltre 20.000 persone sono state uccise nel conflitto in corso in Sudan tra l'esercito e il gruppo paramilitare Rapid Support Forces (Rsf) dall'aprile 2023 ad oggi e che altri 10 milioni di persone sono state sfollate internamente, oltre ai due milioni di rifugiati nei Paesi vicini e che quasi la metà dei 25 milioni di abitanti del Sudan necessita di un intervento urgente, mentre il 70% del settore sanitario del Paese non è più in grado di operare. Sono dati che obbligano il mondo intero ad una maggiore attenzione su ciò che sta accadendo nel cuore dell’Africa.
Poiché i principali conflitti interni di un Paese si fondono, generalmente, su aspetti economici, più che su aspetti religiosi, ancor prima di brevi cenni sulla recente storia è sicuramente utile conoscere se ci sono e quali eventualmente sono i beni naturali più importanti idonei a produrre grandi economie per il Paese. Analizzeremo poi gli aspetti religiosi e i rapporti e gli interessi internazionali del Sudan.
Il Sudan nel contesto territoriale
Il Sudan è situato nella parte nord-orientale del continente africano. Confina con diversi paesi ed è caratterizzato da una vasta estensione geografica che lo rende uno dei paesi più grandi dell'Africa, anche se ha perso una parte del suo territorio dopo la secessione del Sud Sudan nel 2011.
Il Sudan è attraversato dal fiume Nilo, con le sue ramificazioni principali: il Nilo Bianco e il Nilo Azzurro, che si incontrano nella capitale Khartoum. Questo lo rende un paese strategicamente importante per la disponibilità di risorse idriche, nonostante la presenza di vaste aree desertiche.
Gran parte del Sudan settentrionale è dominata dal deserto del Sahara, mentre a sud si trovano aree di savana.
La sua posizione vicino al Mar Rosso offre al Sudan accesso strategico a una delle rotte marittime più trafficate del mondo, che collega l'Oceano Indiano al Mediterraneo tramite il Canale di Suez. In sintesi, il Sudan è un paese di grande importanza geopolitica in Africa, sia per la sua posizione al confine tra il mondo arabo e l'Africa subsahariana, sia per le sue risorse naturali e la sua vicinanza a rotte commerciali vitali.
Le risorse naturali principali
Il Sudan è ricco di risorse naturali, distribuite in diverse aree del paese. Le principali risorse naturali del Sudan includono:
Petrolio, le cui riserve principali si trovano principalmente nel sud del paese, vicino ai confini con il Sud Sudan, nelle regioni di Abyei, Kordofan e Darfur1. Tuttavia, dopo l'indipendenza del Sud Sudan nel 2011, molte delle risorse petrolifere si sono trovate in territorio sud-sudanese, ma il Sudan continua a beneficiare delle infrastrutture per il trasporto e la raffinazione del petrolio.
Oro, di cui il Sudan è uno dei maggiori produttori in Africa. Le miniere d'oro si trovano principalmente nelle regioni di Kordofan e Darfur, ma ci sono depositi anche nelle aree settentrionali vicino al Nilo, come a Hassai e Wadi Halfa.
Gas naturale, di cui possiede riserve principalmente nelle aree petrolifere vicino al confine con il Sud Sudan, anche se non sono ampiamente sfruttate.
Agricoltura, con ampie aree di terra fertile, specialmente lungo il Nilo e nelle sue vicinanze. Il settore agricolo è fondamentale per l'economia del paese e include la produzione di cotone, gomma arabica, sesamo, sorgo e zucchero. La regione di Gezira, situata tra i fiumi Nilo Bianco e Nilo Azzurro, è una delle più importanti per la coltivazione del cotone e di altre colture.
Gomma arabica, di cui il Sudan è il più grande produttore di gomma arabica al mondo. Gli alberi di acacia da cui si estrae questa resina crescono principalmente nelle regioni centrali e occidentali del paese, in particolare nelle zone di Kordofan e Darfur.
Ferro, cromo e manganese, con miniere nelle aree centrali e orientali del Sudan. Il cromo, in particolare, si trova nella regione del Mar Rosso.
Acqua è una risorsa critica in Sudan che ha come principale fonte i fiumi Nilo Bianco e il Nilo Azzurro che forniscono risorse idriche vitali per l'irrigazione e il sostentamento delle comunità agricole.
Queste risorse naturali hanno un ruolo centrale nell'economia del Sudan, anche se il paese deve affrontare sfide nella gestione e nello sfruttamento sostenibile di tali risorse, complicate da conflitti interni e instabilità politica. Probabilmente lo sfruttamento delle citate risorse è stata la causa principale della stessa guerra civile, si rende pertanto utile conoscere, ancorché in forma sintetica, alcuni riferimenti storici del Sudan, sin dalla sua origine.
Cenni sulla storia sudanese
La storia del Sudan è caratterizzata da una ricca mescolanza di culture, conquiste e lotte per l'indipendenza, che hanno plasmato il paese nel corso dei millenni. La sua origine risale oltre il 2500 a.C. influenzata dalla civiltà egiziana. Nel sud del Sudan, dopo la venuta di Cristo, si formarono vari regni cristiani, ma a partire dal VII secolo si diffuse l’islam a seguito dell’espansione araba e della migrazione di popolazioni nomadi musulmane nel Sudan settentrionale.
Nel 1820, sotto il dominio egiziano, si sviluppò la tratta degli schiavi divenendo un'attività commerciale molto diffusa.
Nel 1881 ci fu una rivolta contro il dominio ottomano-egiziano, che culminò con la creazione di uno Stato indipendente fino al 1898, quando una forza anglo-egiziana riconquistò il Sudan segnando l'inizio del periodo in cui il Sudan venne governato congiuntamente dall'Egitto e dal Regno Unito, fino al 1956 in cui raggiuse l’indipendenza.
Purtroppo, a seguito di una grande conflittualità tra le diverse componenti culturali, religiose ed economiche che lo compongono, nel 2011 ci fu la secessione del Sud Sudan che ha dato un duro colpo all’economia del Sudan poiché è venuta a mancare la maggior parte dei proventi derivanti dallo sfruttamento del petrolio. Inoltre, il Sudan resta tra i Paesi ufficialmente con forte presenza terroristica che ha fatto venire a mancare i benefici finanziari da parte di diversi Paesi.
Il Sudan dalla data della sua indipendenza, nel 1956, ha vissuto diversi colpi di Stato. Tra i quali quello del 1989 che ha visto salire al potere Omar al-Bashir, rimasto presidente fino al 2019. Durante il suo mandato, al-Bashir è stato accusato di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità per il conflitto in Darfur, che ha causato centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati. Queste accuse hanno portato la Corte Penale Internazionale (CPI) a emettere mandati di arresto contro di lui nel 2009 e nel 2010. Nonostante ciò, è riuscito a rimanere al potere grazie al controllo militare e al supporto di alcune fazioni politiche. Il suo governo è stato segnato anche dall'indipendenza del Sud Sudan nel 2011, dopo un lungo conflitto tra nord e sud.
L'ultimo colpo di Stato in Sudan è avvenuto il 25 ottobre 2021, quando i militari, guidati dal generale Abdel Fattah al-Burhan, rovesciarono il governo di transizione, arrestando leader civili e assumendo il controllo del paese che, a tutt’oggi, è sotto controllo totale militare e in tale situazione si è arrivati all’aprile del 2023.
Cos'è successo in Sudan nell'aprile del 2023?
Nell'aprile 2023, il Sudan è precipitato in una grave crisi politica e militare a causa di scontri violenti tra le forze armate regolari e un gruppo paramilitare potente chiamato Forze di Supporto Rapido (RSF), guidato dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, noto come "Hemedti". Questi scontri segnarono l'inizio di una guerra civile su larga scala.
Il conflitto è esploso il 15 aprile 2023, dopo settimane di tensioni crescenti tra le forze armate sudanesi, comandate dal generale Abdel Fattah al-Burhan, e le RSF. Le due fazioni avevano formalmente collaborato per governare il Sudan dopo il colpo di Stato del 2021, ma erano emerse tensioni profonde su come e quando integrare le RSF nell'esercito regolare, in vista di un processo di transizione politica verso un governo civile. Le battaglie iniziarono a Khartoum, la capitale del Sudan, e si diffusero rapidamente in altre città e regioni. Gli scontri coinvolsero artiglieria pesante, combattimenti urbani e attacchi aerei, causando migliaia di morti e un grave deterioramento della situazione umanitaria. Migliaia di civili furono costretti a fuggire dalle loro case, mentre infrastrutture cruciali, come ospedali e scuole, furono distrutte.
La comunità internazionale ha cercato di negoziare un cessate il fuoco, ma gli scontri continuarono. Le tensioni tra i due leader, al-Burhan e Hemedti, derivavano anche da ambizioni personali e differenze su come gestire il potere nel paese, rendendo difficile una soluzione pacifica.
In sintesi, nell'aprile 2023 il Sudan si trovò di fronte a un nuovo conflitto armato tra fazioni rivali all'interno delle forze armate, portando il paese in una grave crisi politica, economica e umanitaria.
La storia del Sudan è una complessa narrazione di civiltà antiche, conquiste coloniali, rivolte e lotte per l'indipendenza, che continuano a influenzare la realtà del paese ancora oggi.
Le etnie del Sudan e le differenze culturali e religiose
La difficile situazione sociale è in parte determinata anche dalle diverse etnie presenti nel Paese. Il Sudan è un paese etnicamente molto diversificato, con numerosi gruppi etnici che parlano lingue diverse e praticano differenti religioni e culture. Le principali etnie del Sudan sono suddivise principalmente in gruppi arabo-islamici nel nord e africani non arabi nel sud e nell'ovest del paese. Parlano differenti dialetti, ma la maggior parte parla l’arabo.
Il gruppo etnico dominante, soprattutto nelle regioni settentrionali e centrali del paese, è rappresentato dagli Arabi Sudanesi, costituito in gran parte da musulmani sunniti che parlano il sudanese-arabo, un dialetto dell'arabo. Essi rappresentano l'élite politica e culturale del paese, avendo esercitato il potere per decenni. Ciò nonostante, si identifichino come "arabi" e molti di loro sono una combinazione di discendenze arabe e africane, frutto di secoli di migrazioni e mescolanze etniche.
I Nubiani che abitano le regioni settentrionali del Sudan, vicino al confine con l'Egitto, lungo il Nilo. Sono uno dei gruppi etnici più antichi della regione, con una storia che risale all'antico Regno di Nubia e sono prevalentemente musulmani.
I Beja, un popolo che vive nel nord-est del Sudan, vicino al Mar Rosso e sono in gran parte musulmani. La maggioranza della popolazione sudanese è musulmana sunnita, ma ci sono anche minoranze cristiane, soprattutto nel sud del paese e nella regione montuosa di Nuba.
Principali Paesi che sostengono il Sudan
I Paesi e le grandi potenze straniere vicine al Sudan, o che esercitano un'influenza significativa nella regione per motivi geopolitici, economici e militari, includono diversi attori regionali e globali. Sebbene non tutti condividano un confine fisico con il Sudan, le loro vicinanze geografiche e i loro interessi strategici nel Corno d'Africa e nel Mar Rosso li rendono influenti nella regione.
Come spesso accade, la vicinanza politica dei diversi Paesi al Sudan non è certamente dovuta né alla vicinanza geografica, né ad aspetti umanitari, ma ad interessi prettamente economici e di strategie politiche e militari.
L’Egitto condivide un lungo confine con il Sudan e ha storicamente considerato il Sudan una zona di influenza strategica per la sua sicurezza nazionale, specialmente per l'accesso al Nilo, che è vitale per l'economia egiziana.
L’Etiopia è una potenza regionale che ha un grande impatto sul Sudan. La Grande Diga del Rinascimento sul Nilo Blu ha causato tensioni tra Sudan, Etiopia ed Egitto, poiché il fiume Nilo è vitale per tutti e tre i paesi e la gestione delle risorse idriche è una questione di sicurezza nazionale per loro.
L’Arabia Saudita, vicina al Sudan attraverso il Mar Rosso, ha su questo Paese un’influenza per essere legato storicamente per motivi commerciali e religiosi. Inoltre, ha inviato truppe sudanesi nel conflitto tra Arabia Saudita e e i sauditi in Yemen.
Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) sono particolarmente interessati a mantenere un buon rapporto soprattutto per il controllo delle flotte marittime lungo il Mar Rosso e sembra che abbiano dei piani d’investimento nei porti sudanesi.
La Turchia già da tempo fa investimenti, soprattutto per il restauro di porti sudanesi, nell’ottica di ampliare la sua influenza nel Mar Rosso e nel Corno d’Africa.
La Russia ha cercato di stabilire una presenza militare e strategica in Sudan. Nel 2020, si parlava di un possibile accordo per la costruzione di una base navale russa sulla costa del Mar Rosso. Il progetto messo in discussione mostra l'interesse di Mosca a rafforzare la sua influenza nella regione.
Gli Stati Uniti hanno avuto un'influenza variabile sul Sudan. Dopo la caduta di Omar al-Bashir, Washington ha rimosso il Sudan dalla lista degli "sponsor del terrorismo" nel 2020, una mossa che ha facilitato il ritorno del Sudan nel sistema economico internazionale. Gli Stati Uniti hanno sostenuto una transizione verso la democrazia in Sudan e hanno condannato il colpo di stato militare del 2021, imponendo sanzioni economiche contro alcuni leader militari. Ma l’obiettivo principale resta sempre il controllo delle rotte nel Mar Rosso, una regione critica per il commercio globale.
La Cina è uno dei principali partner commerciali del Sudan, in particolare per quanto riguarda il petrolio. Anche dopo la secessione del Sud Sudan, che ha lasciato la maggior parte delle riserve petrolifere nel Sud, la Cina continua a essere un attore chiave nel settore energetico sudanese.
La Francia e l'Unione Europea, ancorché non siano coinvolte militarmente, hanno un ruolo nella regione attraverso la diplomazia e gli aiuti umanitari. L'UE ha contribuito a fornire assistenza ai rifugiati e sfollati interni causati dai conflitti in Sudan.
In definitiva possiamo affermare che le grandi potenze straniere che influenzano il Sudan includono attori regionali come l'Egitto, l'Arabia Saudita e l'Etiopia, così come potenze globali come Cina, Russia, Turchia e Stati Uniti. Queste nazioni sono attratte dal Sudan per ragioni geopolitiche, risorse naturali e la sua posizione strategica vicino al Mar Rosso, una delle rotte marittime più trafficate del mondo. Il Sudan è quindi un punto focale per la competizione tra diverse potenze per il controllo di risorse, rotte marittime e influenza politica.
Perché i sudanesi non reagiscono?
Da quanto sopra esposto è naturale chiedersi perché i sudanesi non hanno la forza di reagire e costantemente soccombono vittime soprattutto di tensioni civili. La popolazione del Sudan si trova in una situazione estremamente complessa, dove diverse dinamiche politiche, sociali, economiche e militari impediscono una reazione efficace alle continue stragi e violenze. Ecco alcune delle principali ragioni per cui è così difficile per la popolazione reagire. Di seguito ne sono elencate sommariamente le cause principali.
La causa principale è certamente la repressione governativa e l’autoritarismo che vige nel Paese e l’uso della forza militare. È infatti ben noto che le forze armate sudanesi e le forze di Supporto Rapido (RSF) sono notoriamente brutali nel reprimere le proteste popolari, attraverso arresti di massa, torture, uccisioni e l'uso eccessivo della forza contro i civili. Questo crea un clima di terrore impedisce alla popolazione di organizzarsi efficacemente.
Le divisioni etniche e regionali agevolate dalla frammentazione etnica del territorio, con numerosi gruppi che hanno storicamente lottato per il potere, le risorse e il controllo territoriale. Ci sono conflitti tra gruppi arabi e africani, tra pastori nomadi e agricoltori stanziali, che impediscono una reazione unitaria contro le élite al potere.
La povertà estrema e crisi umanitaria. Gran parte della popolazione sudanese vive in condizioni di povertà estrema, senza accesso a servizi di base come sanità, istruzione e acqua potabile. La mancanza di risorse rende difficile l'organizzazione di una resistenza civile. A ciò si somma il fatto che milioni di sudanesi dipendono dagli aiuti umanitari a causa dei conflitti e della crisi economica. Questo crea una situazione in cui la popolazione è più concentrata sulla sopravvivenza quotidiana che su forme di resistenza o di protesta politica.
Le continue guerre civili e conflitti armati con milizie che terrorizzano le popolazioni locali, rendendo difficile qualsiasi tentativo di ribellione o resistenza civile con la conseguenza che per decenni il territorio è stato devastato, distruggendo le principali infrastrutture sociali e indebolendo le capacità di organizzazione della società civile.
La mancanza di una leadership politica forte e la debolezza, ancorché motivata dalla costante repressione, dei movimenti di opposizione.
La censura e il controllo dell'informazione, infatti i giornalisti spesso subiscono arresti o violenze per aver criticato il governo. Questo limita la diffusione delle informazioni sulle stragi e impedisce che la popolazione si unisca in un'opposizione ben informata. In molte occasioni, il governo ha limitato o bloccato l'accesso a internet per ostacolare l'organizzazione delle proteste.
Il trauma collettivo e paura costante della guerra: la costante esposizione alla violenza possono rendere difficile la mobilitazione e la resistenza organizzata, facendo sì che molti possano sentirsi impotenti di fronte a un sistema che sembra inamovibile e impossibile da cambiare.
Le interferenze straniere, infatti, alcuni paesi esteri hanno sostenuto il regime militare del Sudan per ragioni geopolitiche o economiche, limitando l'efficacia della pressione internazionale per il cambiamento. Questo crea un ulteriore ostacolo alla resistenza interna.
Lo sfollamento e la migrazione di massa di milioni di persone che sono state costrette a fuggire dalle loro case a causa dei conflitti. Molti vivono in campi profughi all'interno del Sudan o sono diventati rifugiati in altri paesi. Questa diaspora di massa impedisce alla popolazione di organizzarsi e reagire in modo coordinato.
Perché così minore attenzione a ciò che accade in Sudan rispetto Ucraina e Palestina?
Dare una risposta alla domanda iniziale non è facile, cercherò, comunque, di evidenziare gli aspetti principali. La disparità di attenzione mediatica tra i conflitti in Ucraina, Palestina e Sudan è influenzata da una combinazione di fattori geopolitici, economici, storici e mediatici. Ecco alcune delle ragioni principali per cui il Sudan riceve meno copertura rispetto a crisi come quella ucraina o palestinese.
Il conflitto in Ucraina ha una forte rilevanza geopolitica perché coinvolge direttamente la Russia, una delle principali potenze mondiali, e ha implicazioni per la sicurezza dell'Europa e della NATO. La guerra in Ucraina riguarda l'equilibrio di potere in Europa e il confronto tra Russia e l'Occidente, che ha un impatto globale. Per questo motivo, riceve una copertura massiccia a livello internazionale.
Il conflitto israelo-palestinese è una questione di lunga data che coinvolge direttamente il Medio Oriente, una regione di grande importanza strategica per le risorse energetiche e per gli equilibri politici globali. Inoltre, coinvolge Israele, un alleato chiave per molte nazioni occidentali, soprattutto gli Stati Uniti. L'importanza religiosa di Gerusalemme per tre grandi religioni mondiali (Cristianesimo, Islam, Ebraismo) aumenta ulteriormente l'attenzione verso questo conflitto.
Il Sudan, sebbene sia importante in termini di risorse naturali come il petrolio e l'oro, non ha lo stesso peso geopolitico di regioni come l'Europa o il Medio Oriente. Le potenze globali tendono a essere meno coinvolte nel conflitto sudanese, anche se alcune nazioni sono coinvolte indirettamente per via delle risorse o della posizione strategia territoriale.
L'Ucraina è uno dei principali produttori mondiali di grano e altre materie prime agricole. Il conflitto ha avuto un impatto diretto sulle forniture alimentari globali, specialmente per i paesi in via di sviluppo. Inoltre, l'Europa dipendeva in parte dal gas russo, e la guerra ha accelerato la crisi energetica in Europa. Il conflitto israelo-palestinese non ha lo stesso impatto economico diretto su scala globale, ma coinvolge interessi strategici e militari rilevanti, soprattutto per gli Stati Uniti e per i paesi del Golfo. L'influenza economica di Israele nella tecnologia e nell'innovazione contribuisce a mobilitare l'attenzione internazionale. Il Sudan ha risorse naturali, ma il suo conflitto non ha un impatto immediato sull'economia globale o sulla sicurezza energetica come nel caso di Ucraina o Palestina. Di conseguenza, riceve meno attenzione nei media internazionali, che spesso concentrano la copertura su questioni che influenzano direttamente i mercati globali.
Ucraina e Palestina: Entrambi i conflitti sono fortemente radicati nella coscienza collettiva a livello internazionale. La guerra in Ucraina è vista come uno scontro tra democrazia e autoritarismo, con una forte narrativa che interessa il pubblico occidentale. Il conflitto israelo-palestinese è al centro dell'attenzione da decenni e ha una dimensione religiosa, politica e umanitaria che coinvolge molte nazioni. Il Sudan, nonostante i tragici conflitti e genocidi, come la crisi del Darfur, non ha lo stesso livello di narrazione mediatica consolidata nel tempo. Le crisi nel Sudan sono spesso viste come "conflitti africani interni" e vengono coperte meno, anche a causa della percezione che i conflitti in Africa siano più complessi e difficili da comprendere per il pubblico internazionale.
In Ucraina e Palestina, i media internazionali hanno maggiore accesso alle zone di conflitto. In Ucraina, in particolare, ci sono numerosi corrispondenti stranieri che possono coprire in tempo reale la guerra. Lo stesso vale per la Palestina, dove la presenza costante di giornalisti ha facilitato la copertura a lungo termine. Il Sudan ha spesso limitato l'accesso ai giornalisti internazionali, e la copertura mediatica dipende spesso da fonti locali o da ONG sul campo. Le difficoltà logistiche e la repressione del regime militare rendono più difficile documentare le stragi e gli abusi in modo dettagliato e costante.
Considerazioni finali
La disparità di copertura tra i conflitti in Ucraina, Palestina e Sudan è il risultato di una combinazione di fattori geopolitici, economici e mediatici. Mentre il Sudan soffre di una crisi umanitaria devastante, la sua mancanza di rilevanza strategica immediata e l'accesso limitato ai media internazionali ne riducono la visibilità rispetto ai conflitti in Ucraina e Palestina.
La crisi in Sudan viene spesso interpretata come uno dei tanti conflitti cronici africani, frequentemente descritti attraverso narrazioni di "tribù in guerra", che non riescono a catturare la complessità politica, economica e storica delle situazioni in atto.
Nei conflitti in Ucraina e Palestina, il coinvolgimento di attori internazionali come NATO, Stati Uniti, Russia e Israele rende queste crisi globali, con implicazioni più ampie per la sicurezza mondiale. Nel caso del Sudan, anche se attori regionali come l'Egitto e gli Emirati Arabi Uniti sono coinvolti, il livello di attenzione internazionale rimane inferiore. La popolazione sudanese è intrappolata in una spirale di violenza, repressione e povertà, condizioni che rendono estremamente difficile reagire alle continue stragi.
Le differenze etniche, religiose e linguistiche, unite a un governo autoritario e una crisi economica profonda, rendono difficile per la popolazione sudanese reagire alle violenze, nonostante momenti di resistenza come le proteste del 2019. In Sudan le stragi continuano. A meno che non si decida di attribuire un valore differente alle vite umane nei tre conflitti citati, la situazione critica del Sudan merita una maggiore attenzione da parte della comunità internazionale e dei media.
Paradossalmente, la popolazione sudanese è tra le più povere d’Africa, nonostante il Sudan disponga di enormi ricchezze naturali e di una posizione strategica per il commercio internazionale. Purtroppo, queste stesse condizioni favoriscono l’arricchimento di pochi, protetti da un regime militare consapevole e corresponsabile, nonché da paesi che, traendo profitto dalle tensioni interne del Sudan, non hanno reale interesse a contribuire al cambiamento del quadro politico.
Il conflitto in Sudan ha causato e continua a causare sofferenze incommensurabili, con un aumento allarmante della violenza e della vulnerabilità tra le popolazioni sfollate. Mentre scrivo i massacri continuano.
Nell'agosto scorso UNHCR ha scritto che «La violenza indiscriminata è in aumento, compresi i casi di violenza sessuale e i casi di bambini scomparsi e separati dalle famiglie. La maggior parte delle persone sfollate è costituita da donne, bambini e da altre persone vulnerabili come anziani, persone disabili e malati». E di ciò se ne parla poco, sembra che il Sudan non esista.
È fondamentale sollevare la voce e richiedere una maggiore attenzione a questa triste emergenza umanitaria, non si tratta di figli di un Dio Minore.
Per fermare le stragi in Sudan, è necessario:
che organizzazioni internazionali e governi applichino forti pressioni diplomatiche e sanzioni contro i leader responsabili;
che i responsabili di genocidi e crimini contro l'umanità siano processati dalla giustizia internazionale;
una maggiore cooperazione tra l'Unione Africana, le Nazioni Unite e le potenze regionali per facilitare la riappacificazione;
promuovere il dialogo interculturale e interreligioso per prevenire future atrocità.
Oltre alle azioni umane, potrebbe essere necessario anche l’intervento del Dio comune a tutti gli uomini e quindi un appello alla fratellanza universale. In un contesto dove le divisioni etniche e religiose sono strumentalizzate, l'unità spirituale può giocare un ruolo cruciale nella promozione della pace e della riconciliazione. Le figure religiose e i leader spirituali, attraverso il dialogo interreligioso e la preghiera collettiva, possono influenzare profondamente le comunità, richiamando valori di pace, giustizia e misericordia.
In conclusione, l'intervento umano è essenziale, ma unito a una dimensione spirituale e al richiamo di un Dio che invita alla pace, può creare un cambiamento profondo nei cuori e promuovere una vera riconciliazione.
Note
1 Il Darfur è una regione cruciale del Sudan per la sua ricchezza di risorse naturali e la sua diversità etnica. Dal 2003 è teatro di un conflitto devastante tra ribelli locali e il governo centrale, che ha portato a una grave crisi umanitaria e accuse di genocidio. La stabilità del Darfur è essenziale per la pace e lo sviluppo del Sudan, attirando l'attenzione internazionale per le violazioni dei diritti umani e l'importanza geopolitica della regione.