Il conflitto israelo-palestinese sembra stancare il mondo intero. Ma è davvero così? Paradossalmente, questa stanchezza potrebbe essere l'obiettivo di chi sostiene ufficialmente la soluzione dei due Stati, così come di chi vi si oppone. Oltre settant’anni di lotte, morti cruente e massacri inutili sembrano non aver portato ad alcun reisultato. Le tensioni tra israeliani e palestinesi restano irrisolte: ogni accordo sottoscritto finisce per essere di fatto annullato dal mancato rispetto degli impegni. La colpa, però, non può essere attribuita a una sola parte, come già sottolineato nell’articolo Israele e Palestina: pace o guerra questo è il dilemma - Ma da che parte sta la ragione?.
Ad oggi, non sembra che la soluzione condivisa di un accordo di pace sia nei programmi delle due popolazioni, né di chi sostiene ufficialmente tale accordo. Ogni tentativo di mediazione locale e internazionale sembra affossare ancora di più le ipotesi di pace. Questo articolo tenta di analizzare le radici del conflitto, le possibili soluzioni, le criticità e i benefici o i danni per le parti coinvolte.
Le radici del conflitto
Il conflitto israelo-palestinese si basa su dispute territoriali e identitarie risalenti alla prima metà del XX secolo. La fondazione dello Stato di Israele nel 1948 lasciò irrisolte le aspirazioni nazionali palestinesi. Paradossalmente, fu il mondo arabo a rifiutare i territori assegnati ai palestinesi, creando tensioni che si sono aggravate con il tempo. Le successive guerre, il mancato rispetto degli accordi tra i due popoli, l’occupazione israeliana dei territori che erano stati inizialmente assegnati ai palestinesi e la costruzione di insediamenti hanno reso ancora più complessa la possibilità di separare i due Stati e la riconsegna al mondo arabo di quei territori che nel 1948 furono rifiutati.
La necessità di due Stati
La questione israelo-palestinese rappresenta una delle più complesse e longeve del panorama geopolitico internazionale e la soluzione dei due Stati è spesso indicata come l’unica strada percorribile per una pace duratura. Essa garantirebbe il diritto di autodeterminazione a entrambe le parti: Israele potrebbe operare in sicurezza entro confini riconosciuti, mentre uno Stato palestinese indipendente risponderebbe alle aspirazioni di libertà del popolo palestinese.
Tuttavia, la vera domanda è: chi realmente desidera questa soluzione e chi la osteggia?
I beneficiari e i danneggiati dall’assenza di due Stati
La mancata realizzazione dei due Stati avrebbe conseguenze profonde, ne beneficerebbero alcuni attori, ma molti altri ne avrebbero danni significativi. Analizziamo dunque le dinamiche di vantaggi e svantaggi per le diverse parti coinvolte, mettendo a confronto chi potrebbe appoggiare la formazione di un unico Stato israeliano e chi potrebbe opporsi.
Beneficiari della mancata separazione
Gruppi estremisti israeliani e palestinesi, palesemente contrari alla riconciliazione, che vedrebbero nella perpetuazione del conflitto un’opportunità per giustificare le loro azioni e mantenere il loro potere. Cito di seguito alcuni esempi.
I nazionalisti israeliani, rappresentati da alcuni movimenti e partiti israeliani di destra, favorevoli all’annessione totale della Cisgiordania e di Gaza, la cui visione spesso si basa sul concetto biblico di “Eretz Yisrael” (la Terra d’Israele) e sul desiderio di mantenere il controllo totale sul territorio, considerato sacro e indivisibile.
Gruppi religiosi estremisti che vedono la creazione di un unico Stato israeliano come una realizzazione del destino divino e storico del popolo ebraico e non ritengono necessario riconoscere il diritto dei palestinesi per uno Stato indipendente.
Alcuni attori regionali opportunisti che usano il conflitto per destabilizzare la regione e ottenere vantaggi geopolitici.
Settori conservatori della diaspora ebraica, formati da alcune organizzazioni ebraiche internazionali legate a visioni politiche conservatrici, che potrebbero sostenere un’unica entità statale che garantisca la sicurezza ebraica a scapito dei diritti dei palestinesi.
Interessi politici interni da parte di forze politiche israeliane che sostengono, con la fine della prospettiva dello stato di Palestina, l’obiettivo dell’annessione totale della Cisgiordania ampliando gli insediamenti residenziali.
Alcune fazioni palestinesi che sfruttano il conflitto per alimentare la resistenza armata e mantenere il supporto internazionale.
Oppositori alla formazione di una Stato unico e alla perpetuazione del conflitto
I palestinesi, che senza uno Stato proprio continuerebbero a vivere sotto occupazione, senza sovranità, libertà di movimento o prospettive di sviluppo economico e sociale, con l’aumento della loro marginalizzazione, frustrazione e radicalizzazione.
Gli israeliani, poiché la perpetuazione del conflitto comprometterebbe la loro sicurezza a lungo termine. Inoltre, Israele continuerebbe a essere percepito come una potenza occupante, isolato a livello internazionale e sotto la costante minaccia di violenza, con enormi costi economici, sociali e morali per lo Stato ebraico, per il mantenimento del controllo sui territori occupati e per la potenziale ulteriore perdita di vite umane per i potenziali atti terroristici.
La comunità internazionale, in cui la maggior parte degli Stati e delle organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU, l’Unione Europea e molti Paesi arabi, che si opporrebbero, poiché la formazione di un unico Stato israeliano contrasterebbe con le risoluzioni internazionali che promuovono la soluzione dei due Stati come unico percorso per una pace giusta e duratura. La mancata risoluzione del conflitto comprometterebbe la stabilità regionale, con conseguenze globali come crisi migratorie e tensioni geopolitiche. Inoltre, si potrebbe interpretare come una sconfitta simbolica per la diplomazia internazionale e con il conseguenziale indebolimento della fiducia verso le istituzioni multilaterali e i processi di pace in altre regioni del mondo.
Gruppi per i diritti umani, come Amnesty International e Human Rights Watch ed altre simili organizzazioni che si opporrebbero a questa soluzione, prevedendo che creerebbe un sistema di apartheid o una discriminazione sistematica nei confronti della popolazione palestinese. Alcuni settori della diaspora ebraica, in particolare quella progressista, che teme che uno Stato unico possa portare a un’erosione dei principi democratici di Israele e a una crisi morale e identitaria per il popolo ebraico.
Paesi arabi e islamici e organizzazioni come la Lega Araba, che si opporrebbero fortemente essendo tradizionalmente solidali con la causa palestinese, vedendo questa mossa come una violazione dei diritti palestinesi e una fonte di instabilità regionale.
Gli Stati arabi e la soluzione di un unico Stato
L’idea che gli Stati arabi possano appoggiare un unico Stato israeliano appare inverosimile. Tradizionalmente, questi Paesi sostengono la soluzione dei due Stati e il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione. Tuttavia, il quadro geopolitico potrebbe influenzare le loro posizioni.
Possibili sostenitori
Paesi in fase di normalizzazione con Israele. Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco e Sudan potrebbero tollerare un’unica entità statale, ma solo se garantisse diritti significativi ai palestinesi.
Egitto e Giordania sono da tempo partner strategici di Israele con cui hanno sottoscritto trattati di pace. Essi potrebbero assumere una posizione pragmatica, ma anche per essi è improbabile che possano appoggiare un unico Stato israeliano senza concessioni significative ai palestinesi. Entrambi i Paesi, infatti, condividono confini con i territori palestinesi e hanno un interesse diretto nella stabilità della regione.
Oppositori
Arabia Saudita e Lega Araba. Sebbene l’Arabia Saudita non abbia ancora formalizzato la normalizzazione con Israele, anche a causa dell’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, il suo ruolo di leader del mondo arabo e islamico la pone in una posizione delicata. La soluzione dei due Stati è un punto centrale dell’Iniziativa di Pace Araba del 20021, proposta da Riyad e approvata all’unanimità dalla Lega Araba. Tale iniziativa prevede:
il ritiro totale di Israele ai confini pre-1967, inclusi Cisgiordania, Striscia di Gaza, Gerusalemme Est e le alture del Golan siriane;
la creazione di uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est come capitale;
una soluzione equa per i rifugiati palestinesi, basata sulla risoluzione 194 dell’ONU, con diritto al ritorno o adeguati risarcimenti;
la normalizzazione dei rapporti tra Israele e i Paesi arabi, subordinata all'accettazione delle condizioni sopra citate.
Nonostante sia stata una delle proposte diplomatiche più significative del mondo arabo, l’iniziativa non ha prodotto risultati concreti a causa del mancato accordo tra le parti. Riyad, pertanto, potrebbe tollerare, ma difficilmente appoggiare apertamente, una soluzione a uno Stato unico che perpetuasse occupazione e discriminazione verso i palestinesi.
Qatar e Algeria, entrambi sostenitori della causa palestinese, si opporrebbero con fermezza a qualsiasi soluzione che non preveda uno Stato palestinese sovrano. Il Qatar finanzia direttamente progetti e infrastrutture palestinesi, mentre l’Algeria si distingue per il suo impegno internazionale a favore della causa palestinese.
Il Marocco, nonostante il processo di normalizzazione avviato con Israele nel 2020, continua a sostenere ufficialmente la soluzione dei due Stati. Il Re Mohammed VI, presidente del Comitato Al-Quds, ha ribadito la necessità di raggiungere una soluzione che garantisca due Stati distinti e ha disposto l'invio di aiuti umanitari ai palestinesi.
La Tunisia ha storicamente sostenuto la causa palestinese e continua a farlo attraverso il sostegno a uno Stato palestinese indipendente. Ospitando l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) in passato, ha mantenuto un ruolo di primo piano. Recenti iniziative educative, come la "Settimana della Palestina", riflettono il continuo impegno del Paese a favore dei diritti dei palestinesi.
La Libia, nonostante le divisioni interne, ha sempre sostenuto la causa palestinese. I leader politici, inclusi quelli del Consiglio presidenziale, hanno espresso un appoggio incondizionato alla creazione di uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est come capitale.
Il Libano, fortemente ostile a Israele, sostiene la causa palestinese e considera Israele una potenza occupante. Continua a opporsi fermamente a qualsiasi soluzione che rafforzi il dominio israeliano sull’intera Palestina storica.
L’Iran, sebbene non sia uno Stato arabo, ma una repubblica islamica situata in Medio Oriente, con popolazione prevalentemente persiana e non araba. ha una forte influenza nella regione e sostiene fazioni palestinesi come Hamas e Jihad Islamica. Si oppone con forza a uno Stato unico israeliano, considerandolo una minaccia ai propri interessi strategici.
L’Iraq ha sempre sostenuto la causa palestinese e rimane favorevole alla soluzione dei due Stati, senza supportare la formazione di uno Stato unico che priverebbe i palestinesi della loro sovranità.
La Turchia, pur non essendo un Paese arabo, ha una lunga tradizione di legami culturali e storici con il mondo arabo. Sostiene ufficialmente la creazione di uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est come capitale. Nonostante rapporti commerciali con Israele, si oppone fermamente alle politiche israeliane nei territori occupati, cercando di rafforzare la sua immagine come difensore dei diritti dei palestinesi.
La Siria sostiene la causa palestinese, ma il recente rovesciamento del regime di Bashar al-Assad potrebbe avere un impatto complesso e ambiguo sulla questione israelo-palestinese. Da un lato, un governo più allineato con interessi occidentali potrebbe favorire la pace; dall’altro, una situazione di anarchia potrebbe alimentare radicalismi, peggiorando le dinamiche regionali e danneggiando ulteriormente la causa palestinese.
Ipotesi di impatti positivi
Un nuovo governo siriano potrebbe adottare una politica meno aggressiva verso Israele rispetto al regime di Assad, il quale è stato strettamente alleato dell’Iran e di Hezbollah, due attori considerati minacce esistenziali da Israele. Ciò potrebbe effettuarsi con una forte riduzione del sostegno ai gruppi armati palestinesi (come Hamas) e libanesi (come Hezbollah) che potrebbe aprire spazi per un dialogo più pacifico nella regione.
Un’auspicabile conseguenza potrebbe essere quella della formazione di un governo più allineato con gli interessi occidentali o regionali (Arabia Saudita, Turchia), aumentando le possibilità che la Siria giochi un ruolo costruttivo nei negoziati di pace tra israeliani e palestinesi, creando un clima più favorevole alla cooperazione tra i Paesi arabi e Israele, con un maggiore impegno per risolvere il conflitto israelo-palestinese.
Ipotesi di impatti negativi
La caduta di Assad potrebbe generare una situazione di anarchia, simile a quella vissuta in Libia o in Iraq dopo la rimozione di Gheddafi e Saddam Hussein, che potrebbe alimentare il radicalismo nella regione e ostacolare qualsiasi progresso diplomatico sul fronte israelo-palestinese, anche attraverso la probabile nascita di gruppi estremisti.
Bisogna ricordare che il regime di Assad ha sostenuto storicamente la causa palestinese e ospitato rifugiati palestinesi. La sua caduta potrebbe significare la perdita di un alleato politico e militare per i palestinesi. Infine, di non minore importanza è che si potrebbero aggravare le divisioni tra i Paesi arabi, molti dei quali hanno visioni divergenti sulla Siria e sulle relazioni con Israele. Queste divisioni potrebbero rendere ancora più difficile un’azione coordinata per sostenere la creazione di uno Stato palestinese.
È ipotizzabile l'appoggio di Trump per uno Stato unico?
Donald Trump, durante la sua presidenza, ha mostrato un appoggio quasi incondizionato a Israele, con decisioni come il riconoscimento di Gerusalemme come capitale e della sovranità israeliana sul Golan. È da evidenziare che Trump sembra che abbia spesso trattato le questioni internazionali come transazioni economiche o politiche, piuttosto che come questioni morali o legali. Pertanto, se uno Stato unico venisse presentato come una soluzione che riduce i costi del conflitto e garantisce la sicurezza di Israele, potrebbe essere considerato accettabile da Trump, indipendentemente dalla buona o cattiva sorte che verrebbe destinata al popolo palestinese.
Ovviamente questa eventuale scelta di Trump non sarebbe una strada facile da percorrere, infatti, verrebbero meno alcuni degli impegni di Trump in relazione all'Accordo del Secolo2 e con gli Accordi di Abramo3 con i quali, i Paesi arabi sottoscrittori, avevano messo in evidenza il rispetto per l’autonomia del popolo palestinese.
La relazione tra i due è che entrambi fanno parte della strategia più ampia degli Stati Uniti per promuovere la pace in Medio Oriente. Tuttavia, mentre l'Accordo del Secolo si concentra principalmente sul conflitto israelo-palestinese, gli Accordi di Abramo mirano a migliorare le relazioni tra Israele e il mondo arabo in generale.
Altre critiche che sono state mosse a Trump sono principalmente: la mancanza di equità, in quanto si sostiene che il piano favorisca eccessivamente Israele a discapito dei diritti e delle aspirazioni dei palestinesi, la proposta di un piano di compensazione per i rifugiati invece del loro diritto al ritorno e infine, non di minore importanza è il rifiuto netto da parte delle autorità palestinesi alla formazione di uno Stato unico.
L’Assemblea generale dell’ONU il 4 dicembre 2024 ha votato la promozione di una Conferenza Internazionale da tenersi dal 2 al 4 giugno 2025 a New York, con obiettivo: la creazione di uno Stato palestinese. La risoluzione n.79 ha ottenuto la maggioranza con 157 voti a favore, tra cui quello dell’Italia, 8 contro, tra cui Stati Uniti, Israele e 7 astensioni. La Conferenza rappresenta un segnale importante a livello globale e potrebbe offrire un nuovo palcoscenico per la mediazione internazionale, per rilanciare il processo di pace e riprendere in esame soluzioni lasciate da parte.
L'Unione Europea (UE) sostiene fermamente la soluzione dei due Stati per il conflitto israelo-palestinese. Tuttavia, all'interno dell'UE esistono differenze significative tra gli Stati membri riguardo al riconoscimento formale dello Stato di Palestina, infatti, alcuni Stati membri non hanno ancora compiuto questo passo, riflettendo una mancanza di consenso unanime all'interno dell'Unione su questo. Nonostante queste divergenze, l'UE continua a promuovere attivamente la soluzione dei due Stati come unica via praticabile per una pace duratura nella regione, escludendo implicitamente il sostegno a una soluzione a Stato unico. L'Unione sottolinea l'importanza della cessazione delle attività di insediamento nei territori occupati, considerati illegali secondo il diritto internazionale.
La Russia ha storicamente sostenuto la soluzione dei due Stati per il conflitto israelo-palestinese. Questa posizione è stata ribadita in diverse occasioni dal presidente Vladimir Putin e dal ministro degli Esteri Sergej Lavrov.
In risposta all'escalation del conflitto tra Israele e Hamas nell'ottobre 2023, Putin ha sottolineato la necessità di applicare le decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riguardanti la creazione di uno Stato palestinese indipendente e sovrano.
La Cina sostiene storicamente la soluzione dei due Stati per il conflitto israelo-palestinese, Pechino ha riconosciuto lo Stato di Palestina e ha mantenuto relazioni diplomatiche con entrambe le parti, cercando di mediare e facilitare il dialogo.
In risposta all'escalation del conflitto tra Israele e Hamas nell'ottobre 2023, la Cina ha espresso preoccupazione e ha esortato al cessate il fuoco, condannando la violenza contro i civili. Il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha sottolineato che "la radice della crisi fra Israele e Palestina è che il diritto palestinese a uno Stato è stato messo da parte da tempo", ribadendo così il sostegno di Pechino alla causa palestinese.
Considerazioni finali
La prospettiva di un unico Stato israeliano, progettato per garantire la supremazia su tutta la Palestina storica, non solo rappresenta una violazione del diritto internazionale, ma preclude anche ogni speranza di giustizia e pace per il popolo palestinese. La creazione di uno Stato unico che incorpori Israele e i territori palestinesi occupati è un'ipotesi controversa e altamente divisiva: Israele resterebbe l’unico Stato sovrano, privando i palestinesi della possibilità di uno Stato indipendente.
Dall’analisi precedente emerge chiaramente che gli Stati arabi, nel complesso, si rifiutano di appoggiare la formazione di un unico Stato israeliano, poiché tale soluzione contrasta con decenni di impegno politico e morale a favore della causa palestinese. Inoltre, ritengono che la soluzione dei due Stati sia la via preferibile per risolvere il conflitto. Un simile scenario non farebbe altro che istituzionalizzare una realtà di apartheid e discriminazione, alimentando ulteriormente le tensioni nella regione e a livello globale. Infatti, la creazione di uno Stato unico israeliano potrebbe essere supportata solo da una sparuta minoranza ideologica, mentre sarebbe contrastata dalla quasi totalità degli attori locali e internazionali.
Nonostante gli ostacoli, la soluzione dei due Stati rimane la via più giusta ed equilibrata per garantire i diritti di entrambe le popolazioni. Tuttavia, questa visione richiede non solo dichiarazioni di principio, ma azioni concrete per trasformarla in realtà. I passi essenziali comprendono:
Il pieno rispetto delle risoluzioni ONU, che includono il ritiro di Israele dai territori occupati dal 1967 e nel caso in cui il rispetto totale non fosse concretamente possibile, concordare la possibile suddivisione del territorio con un accordo che non mortifichi le parti in causa.
Una soluzione equa e condivisa per i rifugiati palestinesi, che tenga conto del loro diritto al ritorno o a un risarcimento adeguato, come stabilito dal diritto internazionale.
La creazione di uno Stato palestinese sovrano, la cui capitale non sia Gerusalemme Est che dovrebbe invece diventare una Repubblica autonoma.
In questo contesto, una delle proposte più innovative e necessarie per garantire la pace è dunque la creazione della "Repubblica della Città Vecchia di Gerusalemme". La Città Vecchia rappresenta non solo il cuore spirituale delle tre grandi religioni monoteiste – Islam, Cristianesimo ed Ebraismo – ma anche uno dei principali nodi di tensione nel conflitto israelo-palestinese.
Questa Repubblica, concepita come uno Stato indipendente e neutrale sotto l'egida delle Nazioni Unite o di un’organizzazione internazionale imparziale, sarebbe un simbolo vivente di convivenza e dialogo. La sua amministrazione dovrebbe basarsi su principi di uguaglianza e rispetto per tutte le comunità religiose e culturali, garantendo libero accesso ai luoghi santi e protezione per tutti i cittadini.
Una simile proposta non risolverebbe da sola il conflitto, ma rappresenterebbe un passo fondamentale verso la riconciliazione. Creare uno spazio condiviso e neutrale a Gerusalemme potrebbe servire da modello per affrontare le divisioni profonde che caratterizzano il conflitto. Inoltre, la sua realizzazione richiederebbe un impegno multilaterale che coinvolga non solo le parti in conflitto, ma anche potenze regionali e internazionali, inclusi Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Cina.
La pace in Medio Oriente è una responsabilità collettiva della comunità internazionale. Senza un intervento deciso e imparziale, il rischio è di perpetuare un ciclo infinito di violenze e ingiustizie. L’obiettivo non può essere solo quello di porre fine al conflitto, ma di costruire una convivenza basata su giustizia, dignità e rispetto reciproco. La Repubblica della Città Vecchia di Gerusalemme, se realizzata, non sarebbe solo una soluzione pratica, ma un potente simbolo di speranza e un segnale che la pace è possibile anche nei contesti più difficili.
Ritengo impensabile che la "Città Vecchia" possa diventare capitale esclusiva del popolo palestinese, contenendo al suo interno monumenti storici come il "Muro del Pianto", riferimento internazionale religioso per eccellenza del mondo ebraico, o capitale esclusiva del popolo israeliano, con all'interno la Cupola della Roccia e la Moschea al-Aqsa, tra i monumenti più significativi dell'Islam. Si deve, pertanto, valutare con attenzione e senza pregiudizi la possibilità di formare la Repubblica della Città Vecchia di Gerusalemme, che, se adeguatamente gestita come città-stato indipendente, potrebbe teoricamente garantire un accesso equo e sicuro ai luoghi sacri per tutte le parti coinvolte, riducendo fortemente le tensioni.
In definitiva, sono favorevole alla formazione dei due Stati: Paesi arabi, ONU, Unione Europea, Russia, Cina, Turchia, Iran, ecc. Sembra, pertanto, inconcepibile che questo problema non venga ancora risolto. La creazione di uno Stato palestinese e il consolidamento di uno Stato di Israele sicuro non devono essere considerati come concessioni, ma come un riconoscimento reciproco delle esigenze di entrambi i popoli. Questa visione richiede coraggio politico, volontà di compromesso e il sostegno continuo della comunità internazionale. Solo così potrà esserci una reale possibilità di trasformare il conflitto in una coesistenza pacifica, evitando che la regione continui a essere teatro di instabilità cronica e violenza ciclica.
Anche Trump, attratto dall’idea di appoggiare uno Stato unico per rafforzare il legame con Israele e la sua base politica, sicuramente valuterà come un tale passo comporterebbe significativi rischi politici e diplomatici. Pertanto, è più probabile che continui a sostenere soluzioni che favoriscano Israele, mantenendo almeno formalmente la possibilità della nascita dello Stato palestinese. Ma, in tal caso, resterebbero aperte le continue tensioni senza alcun apporto alla pace.
Un grande potere resterà nelle mani di Trump, la cui amministrazione potrebbe rendere un grande servizio, non solo al proprio Paese, ma all'umanità, sostenendo realmente la soluzione dei due Stati e un accordo di pace globale in Medio Oriente, a partire da Israele e Palestina. Un buon inizio sarebbe quello di non opporsi più all’ingresso della Palestina nell'ONU.
Note
1 L’Iniziativa di Pace Araba del 2002 è una proposta avanzata dalla Lega Araba durante il vertice di Beirut, tenutosi il 27-28 marzo 2002.
2 L'Accordo del Secolo è un piano di pace per il Medio Oriente presentato dall'ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nel gennaio 2020 che mirava a risolvere il conflitto tra Israele e Palestina con il riconoscimento di Gerusalemme come capitale indivisibile di Israele, il congelamento delle colonie israeliane per quattro anni, la creazione di uno stato palestinese smilitarizzato chiamato "Nuova Palestina" e investimenti per 50 miliardi di dollari per lo sviluppo dei territori palestinesi. Il piano ha ricevuto un'accoglienza mista: è stato accolto positivamente da Israele, ma è stato fortemente criticato e respinto dai palestinesi. Il piano è stato criticato anche da Amnesty International per violazione del diritto internazionale, soprattutto in riferimento l'annessione di territori palestinesi da parte di Israele.
3 Accordi di Abramo: Firmati a partire dall'agosto 2020, questi accordi hanno normalizzato le relazioni tra Israele e diversi paesi arabi, tra cui Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco e sono stati visti come un passo significativo verso la cooperazione regionale e la riduzione delle tensioni.