Uno degli episodi più bui del secolo scorso, in Italia, fu il rapimento e l’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti, nativo di Fratta Polesine, un territorio di gente laboriosa e concreta. La sua famiglia era originaria del Trentino austriaco dove possedeva una miniera di ferro, prima di trasferirsi in Polesine, dove poterono acquistare dei terreni ed aprire un piccolo emporio. Nato nel maggio del 1885, Giacomo era il sesto di sette figli, ma in breve tempo rimase da solo, data la prematura scomparsa dei fratelli: studiò prima a Rovigo, poi a Bologna, dove si laureò in legge. Si rivelò da subito un attento studioso e intraprese la carriera politica.
Fedele agli ideali socialisti, allo scoppio della Grande Guerra si dichiarò neutralista e fu per questo considerato un sovversivo, denunciato per disfattismo, poi assolto in Cassazione. Arruolato nel 1916 e confinato in Sicilia, nello stesso anno sposò Titta Ruffo, dalla quale ebbe tre figli. Congedato nel 1919, Matteotti riprese l’attività politica tornando in Polesine e si candidò alle elezioni dello stesso anno, le prime con il nuovo metodo proporzionale. Venne eletto deputato nella Circoscrizione di Rovigo e Ferrara, dove il Partito Socialista ottenne circa il 70% dei voti. Come deputato, Matteotti si rivelò arguto e facile all’intervento d’aula, con argomenti precisi e puntuali.
Visse l’ascesa del fascismo essendo anche oggetto di aggressioni, come quella subita il 12 marzo 1921. Rieletto deputato alle elezioni del 1921, venne nominato Segretario del Partito Socialista Unitario, ma rifiutò poi la proposta di Togliatti di presentarsi insieme alle elezioni del 1924, dopo che la marcia su Roma aveva decretato l’ascesa del fascismo al governo.
Durante la prima seduta del nuovo Parlamento, il 30 maggio 1924, seguita alle elezioni del 6 aprile precedente, Giacomo Matteotti tenne un discorso a braccio per denunciare il clima di violenza che imperava in Italia e che, soprattutto, aveva caratterizzato le recenti elezioni, di cui chiese l’annullamento, in quanto ampiamente illegali. Il clima parlamentare durante il suo intervento era infuocato e, mentre i compagni di partito si congratularono con lui, egli, consapevole delle conseguenze che avrebbero avuto le sue pesanti parole, rispose loro di prepararsi a recitare la sua commemorazione funebre. Non mancarono molti giorni alla sparizione del deputato socialista, aggredito, picchiato e rapito sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, vicino alla sua residenza romana, mentre si stava recando a piedi a Montecitorio, il 10 giugno.
Venne caricato a forza su un’auto, che lo stava aspettando sul Lungotevere, da due aggressori, e poi da un terzo, di cui fu necessario l’intervento per la strenua difesa opposta dall’aggredito, che probabilmente venne assassinato direttamente sull’auto, sulla quale vennero identificati i membri della polizia politica Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria, Amleto Poveromo. La scomparsa di Matteotti, comunicata da Filippo Turati in Parlamento il 13 giugno, creò una forte crisi politica che colpì in pieno il fascismo, tanto che lo stesso Mussolini temette di non riuscire a rimanere al governo. La risposta politica dell’opposizione portò ad abbandonare l’aula e a riunirsi sull’Aventino.
Le indagini, avvalorate da testimonianze oculari, accertarono la responsabilità della Ceka, un corpo speciale agli ordini del governo fascista. Iniziarono le manifestazioni di protesta e i giornali diffusero edizioni straordinarie che vennero esaurite dagli acquisti. Il 12 agosto, venne ritrovata la giacca insanguinata del deputato, mentre il suo corpo venne rinvenuto il 16 agosto seguente nel bosco della Quartarella, fra Riano e Scrofano, poco fuori Roma. Le indagini forensi accertarono con buona probabilità che l’uccisione avvenne per un colpo di pugnale al cuore, verosimilmente inferto nell’auto del rapimento stessa. Il 20 agosto, la salma di Matteotti venne portata alla stazione di Monterotondo e poi caricata su un vagone merci, sul quale, di notte, raggiunse Fratta Polesine, in modo da evitare manifestazioni di solidarietà e cordoglio lungo il tragitto. La camera ardente venne organizzata nella sua villa e i funerali celebrati il 21 agosto, con la partecipazione di circa diecimila persone.
Con tensioni continue si arrivò al 3 gennaio 1925, quando Benito Mussolini, capo del governo, pronunciò il famoso discorso alla Camera nel quale si assumeva la responsabilità dell’omicidio Matteotti.
Possiamo dire che, da quel momento la figura di Giacomo Matteotti venne bandita dall’Italia, tanto che anche solo nominarlo poteva causare problemi. La sua famiglia venne tenuta sotto stretta sorveglianza, mentre la sua popolarità all’estero cresceva, citato da politici e letterati, tra i quali George Orwell, Marguerite Yourcenar e il sindaco di Vienna Karl Seitz che, nel 1927, intitolò a suo nome un grande complesso residenziale di 452 appartamenti nel quartiere Margareten.