Fa discutere ancora molto, a distanza di cinque anni dall’introduzione delle ultime modifiche legislative al Codice Penale, il tema della legittima difesa.

Ancora oggi, nel 2024, non è raro assistere in TV, soprattutto nei canali principali della televisione commerciale, a delle testimonianze dirette di furti e rapine, perpetrate in casa, anche ad opera di bande predatorie di extracomunitari, da parte di vittime che si sono ritrovate a subire delle conseguenze devastanti, sia sul piano psicologico, sia sul piano economico, proprio a seguito dei furti accaduti in casa loro, magari di notte, mentre la famiglia dell’aggredito riposava in santa pace.

Non è difficile, in effetti, nei casi in cui si è reagito a dei ladri o a dei rapinatori in armi, passare da vittima prescelta a carnefice, e ritrovarsi così sul banco degli imputati, dopo avere subito dei veri e propri assalti in casa propria, da parte di estranei, intenzionati con ogni mezzo a procurarsi un facile bottino di soldi o di merci facilmente commerciabili.

La materia è davvero incandescente, un tema realmente divisivo, in cui si intrecciano, quasi in maniera inscindibile, nodi di natura psicologica, con risvolti sociologici e politici, che con il trascorrere dei secoli e dei millenni, si sono aggrovigliati a formare una matassa assai complessa da districare.

La televisione, con la sua consueta superficialità, si limita a mostrare l’aspetto emotivo della questione, suscitando la solita reazione, comprensibilmente indignata, del cittadino medio e dei soliti benpensanti (che poi non sono delle entità astratte, come si tende a pensare, ma siamo tutti noi, con le nostre paure e le nostre debolezze).

Istintivamente, infatti, ci viene da chiederci, assistendo a questi racconti fatti dalle vittime di rapine subite in casa o in negozio, come sia possibile che uno Stato che si rispetti, possa arrivare a incriminare la vittima, condannandola perfino a risarcire con cifre importanti chi si sia intrufolato in casa sua, armi in pugno, con intenzioni predatorie. È una cosa che manda davvero in bestia, soprattutto chi non si sia mai posto, in maniera seria, il problema della distribuzione delle ricchezze e della sperequazione sociale; non parlo poi dell’analisi politica, ancora storicamente più profonda, dell’accaparramento dei mezzi di produzione e della divisione del mondo in classi sociali, che poi è quella che proietta, a livello mediatico, la differenza tra destra e sinistra nella valutazione delle norme sulla legittima difesa, distorcendole fino a farle apparire delle ridicole macchiette, come in effetti ci appaiono e sono oggi le forze politiche in campo, come avrò modo di osservare ampiamente, più avanti nell’articolo.

Recentemente, in occasione della stesura del mio romanzo sul sequestro di Fabrizio De André (e della sua allora compagna Dori Ghezzi) da parte dell’Anonima Gallurese, mi ritrovavo a considerare queste stesse tematiche, in relazione al reato di sequestro di persona, mettendo a confronto le ragioni dei sequestrati, con i punti di vista dei sequestratori. Devo dire che l’analisi ha visto un solo, sicuro vincitore: Fabrizio De André, che perdonò i suoi sequestratori (quantomeno con riferimento ai braccianti, non certo agli ideatori, in cerca di soldi facili da mettersi in tasca), arrivando perfino a giustificarli a causa della loro misera condizione di povertà (io mi permetto di aggiungere non soltanto economica, ma evidentemente anche morale).

Ma come si è arrivati a queste norme sulla legittima difesa? E perché esse fanno discutere tanto?

Non dovrebbero destare alcuna meraviglia gli animi accesi che suscita un tale argomento, considerando che l’Antico Testamento un tempo stabiliva, “…pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido”. (Libro dell’Esodo, versetti 22-25, versione della C.E.I.).

Poi, con un salto di millenni, vennero i codici napoleonici, da cui anche il codice penale italiano discende, a regolare la controversa e incandescente materia, abolendo la legge biblica del taglione, ma lasciando un ampio margine di giustificazione per chi si fosse limitato a difendersi da un pericolo imminente, rispondendo alla violenza con la violenza (e già il Corpus Juris di Giustiniano, invitava i magistrati a una certa tolleranza, in favore di chi avesse agito per legittima difesa, considerando che l’aggredito “non habet staderam in manu”, proprio per sottolineare la difficoltà di misurare la risposta alla violenza perpetrata dal reo nei confronti della vittima aggredita che si trovi a reagire).

Infine, siamo agli articoli 52-55 del Codice Penale Italiano rinnovati di recente dalla legge 26 aprile 2019 n. 36, ribattezzata dai giornalisti, anche televisivi, la legge sulla legittima difesa.

Una legge assai controversa, definita dai politici di destra un traguardo di civiltà giuridica e di giustizia sociale, mentre quelli di sinistra parlano apertamente di mostro giuridico.

Oltre alla complessità giuridica, si rileva nel dibattito odierno la presenza di elementi di natura psico-sociologica che rendono più ardua l’analisi e il giudizio sulla nuova legge di modifica degli artt. 52-55 del codice penale, deputati alla scriminante in oggetto. Anzi, diciamo subito che, se non si considerano appieno questi elementi psico-sociologici, non si riesce a inquadrare correttamente il dibattito. Cominciamo col dire che i cittadini italiani, soprattutto in questi ultimi trent’anni, si sono sentiti progressivamente abbandonati dallo Stato. Essi hanno inoltre progressivamente perso ogni fiducia nella giustizia.

Questo sentimento di sfiducia e di abbandono è alla base delle nuove norme. Non è questa la sede adatta per discettare sulle ragioni storiche che hanno prodotto negli italiani questi sentimenti di abbandono e di sfiducia. Ma è su questi sentimenti che hanno fatto leva i furbacchioni della politica, sempre alla ricerca del consenso, costi ciò che costi.

Chi non ha mai sentito la vulgata secondo cui gli extracomunitari sceglierebbero l’Italia, come meta privilegiata, proprio per la fragilità dell’apparato poliziesco e per il lassismo dell’apparato giudiziario che, secondo tale vulgata, è incapace di reprimere i reati? (anche se la vulgata, occorre dirlo, al di là delle solite italiche e nostalgiche esagerazioni, non è scevra da verità incontestabili).

Il nostro apparato giudiziario e il nostro sistema repressivo fanno acqua da tutte le parti: una miriade di leggi, contraddittorie e complesse, che si sovrappongono e che sembrano fatte apposta per favorire gli azzeccagarbugli di turno (ormai i bravi avvocati, non sono più i grandi oratori alla Cicerone, ma i filocavillosi dall’inghippo facile, magari escogitato per lucrare la prescrizione, tanto per intenderci); apparati di polizia giudiziaria sottopagati e sottodimensionati; carceri eternamente sovraffollate e scuola di delinquenza, più che di riabilitazione; e fermiamoci qui per carità di patria.

È in questo humus sociale che si inserisce la nuova legge sulla legittima difesa. La gente si è stancata di vedere gli impuniti e i delinquenti trionfare e le vittime soffrire e pagare.

O forse qualcuno molto abilmente è riuscito a distogliere la sua attenzione dal vero problema: la gente non ne può di uno Stato comandato da politici cialtroni e corrotti che si alleano con la mafia (più romana che siciliana, ma non fa differenza; sempre di mafia parliamo), per continuare a mungere e a sfruttare la vacca (cioè, noi contribuenti).

Questo è il vero cancro dell’Italia: le istituzioni corrotte, i pronto soccorso superaffollati, le scuole che letteralmente crollano a pezzi, una pressione fiscale feroce con i deboli (pensionati, dipendenti e piccoli imprenditori) ma pavida e generosa con i grossi evasori.

Ma qualcuno è riuscito abilmente a distogliere la gente dai veri problemi e gli ha indicato dove guardare per trovare un capro espiatorio: il migrante e il topo d’appartamento, ovvero l’extracomunitario ladruncolo e topo d’appartamento (non che i topi d’appartamento, italici o esotici che siano, non costituiscano una piaga sociale; ma credo che sia una piaga ben più dolente la classe politica italiana che, dopo il terremoto di “Mani pulite”, è risorta più arrogante e incapace di prima, e sta portando l’Italia allo sfascio).

È a causa di questo sentimento di sfiducia e di abbandono che l’Italia si è sentita di colpo in balia del male: degli spacciatori che scorrazzano indisturbati (ma ci voleva molto a legalizzare almeno la marihuana, per assestare un colpo alle mafie che trafficano con le tonnellate di hashish e di erba?); gli immigrati clandestini fatti entrare in suolo a frotte, nelle piazze, a far niente (nella migliore delle ipotesi): ma era così difficile fare una vera accoglienza, che prevedesse un impiego proficuo e socialmente utile, invece di consentire questi sbarchi indiscriminati, utili a favorire le cooperative di accoglienza per migranti degli amici degli amici?

E un poliziotto in ogni quartiere, a disposizione e a protezione della gente onesta? E delle leggi chiare e precise che assicurassero i ladri e gli scippatori alle patrie galere, invece di riempirle di piccoli spacciatori e di immigrati clandestini magari inoffensivi?

Questo è l’umore sociale che ha spinto la nuova legge sulla legittima difesa. Uno Stato efficiente non avrebbe mai avuto bisogno di una simile legge. Nessuno si è accorto che l’approvazione di questa legge è stata in realtà un’ammissione di colpa da parte dei nostri politici? Questa legge è la prova più evidente del fallimento dei nostri politici. Sono loro che hanno ridotto così l’Italia. E adesso ci vorrebbero far credere che siano i nostri salvatori, approvando leggi del genere?

Adesso che è chiaro come e perché è nata questa legge, possiamo anche passare a una rapida disamina della sua struttura portante.

Concordo, anche se solo in parte, con il parere negativo dato dai colleghi penalisti. Mi pare tuttavia interessante, proprio in virtù del vecchio adagio latino che ricordavo in apertura, la previsione di una maggiore elasticità a favore dell’aggredito, soprattutto quando egli sia stato sorpreso da dei malintenzionati, in casa sua, di notte, e magari in presenza di figli in casa.

Senza volere resuscitare la sacralità e l’inviolabilità della proprietà privata, già sancita dallo Statuto Albertino di ottocentesca memoria, direi che una maggiore considerazione in favore delle persone oneste ci sta tutta, in una società che, come ho avuto di descrivere prima, ha finito con il favorire i delinquenti e malintenzionati (sempre a causa di una gestione superficiale e allegra del fenomeno da parte dei nostri politici, probabilmente affaccendati in tutt’altre faccende, diverse dalla gestione oculata del pubblico benessere). Un’altra cosa da guardare con favore è la non risarcibilità in favore dei parenti delle vittime che, all’esito dell’istruttoria (sempre doverosa in caso di omicidio), siano risultate colpevoli di violazione di domicilio, commessa con arnesi da scasso e in possesso di armi atte a offendere al momento dell’intrusione (coltelli, armi da sparo o altri strumenti suscettibili di arrecare danno alle persone la cui residenza sia stata violata) e, soprattutto, non abbiano desistito dal delinquere una volta sorpresi.

Ogni fattispecie va valutata sempre caso per caso, ovviamente con un rinnovato occhio di favore a vantaggio delle persone aggredite che, non lo si dimentichi, erano tranquille in casa loro; mentre chi ha violato per primo l’ordinamento giuridico è proprio il ladro che si intrufola, certamente con malanimo, in casa altrui.

Resta comunque aperto il problema della distribuzione delle risorse economiche, dei mezzi di produzione, delle risorse finanziarie e della perequazione sociale.

Senza volere scomodare feticci politici e ideologici ormai tramontati e ben collocati nel museo delle passate ideologie, è indubbio che se ci fosse una maggiore giustizia sociale e una più equa distribuzione della ricchezza, i reati predatori a danno della proprietà diminuirebbero sensibilmente.

Con buona pace degli analisti superficiali delle televisioni commerciali e dei politici acchiappaconsensi oggi tremendamente in voga.