Del personaggio Zeri voglio dare un quadro sincero, che ovviamente esula dal rapporto professionale ed entra nella familiarità quotidiana. Gli episodi che tramando sono “testimonianza di costumi di un’epoca”, non certo denunce: cito una sequenza di fatti avvenuti mezzo secolo addietro, due generazioni or sono abbondanti.
Poiché siamo a molti anni di distanza dal clamoroso scherzo messo in atto da tre studenti a Livorno e poiché successivamente si vollero celebrare, con una mostra permanente, le tre false teste accreditate al Modigliani giacenti da tempo in un magazzino di proprietà dell’amministrazione comunale, mi piace ricordare uno scherzo ulteriore, ideato da Zeri, collegato a quell’episodio ma non andato a buon fine.
Per coloro che non l’hanno vissuto, ricordo che era l’estate del 1984 quando Michele Gherarducci, Pierfrancesco Ferrucci e Pietro Luridiana, allora studenti universitari, insieme allo scultore Angelo Froglia, imitarono il ‘primitivismo’ dello scultore livornese e con banali attrezzi da muratore fecero occhi, naso e bocca a tre pietroni, li gettarono nel Fosso Reale di Livorno e scatenarono il putiferio in tutta Italia, traendo in inganno autorevoli critici d’arte che “assicurarono” si trattasse di sculture di 'Modì'.
Dopo qualche giorno dall’esplosione del caso, ridicolizzato dal Professore in Tv, mia moglie Elena e io andammo a trovarlo a casa e gli portammo in omaggio un vetro dipinto da lei che al tempo teneva una scuola per giovani apprendisti. Lo gradì particolarmente e si complimentò per lo stile, al punto che ebbe l’idea di architettare uno scherzo ulteriore nel quale far cadere i cosiddetti esperti. Le disse che intendeva acquistare sul mercato antiquario un pregiato servizio di vetro non istoriato per darlo a lei da dipingere alla maniera usata per quella coppa. Lui poi lo avrebbe fatto scoprire come ritrovamento autentico del Settecento e reclamizzare:
Vedrete che risate! Abboccheranno senza avere appreso nessuna lezione dal caso Modigliani.
L’idea non si realizzò perché mia moglie non si sentì di prestarsi al gioco, né lui volle insistere. Il Professore non si può dire che, nella vita, fosse stato particolarmente munifico; quando lo stimolavo con qualche insinuazione, subito mi rispondeva:
Ma dottore, io non avrò una pensione. Devo pensare alla mia vecchiaia!
Mi divertiva, poiché mi aveva ammesso in ciò che di più riservato, nella sua vita privata, avesse avuto; mi aveva portato nella sua camera blindata dotata di una pesante porta, per aprire la quale dovevamo puntare i piedi in due, e sapevo quello che essa conteneva. Mi aveva offerto pure di ospitare i miei oggetti preziosi quando mi spostavo per la vacanza: ringraziai ma non accettai. Le mie gioie potevano essere da lui considerate … solo chincaglierie.
Metto subito in chiaro che per la mia attività professionale mai, in 36 anni, gli ho presentato – pur se sempre sollecitato – una parcella. Ma ne sono stato ampiamente ricompensato da una amicizia salda, dalla sua stima, da molti dei suoi volumi con dedica e da una visione della vita che solo lui mi ha potuto e saputo dare. Nella telefonata di quel mattino seppi che si accingeva a partire per Los Angeles:
Stamattina vado a piazza Bologna a fare il biglietto .. sa quanto costa? Beh, ma me lo rimborsano ... l’andata soltanto, prima classe, Roma – Los Angeles, 2 milioni novecento mila lire ... vabbè, lo ripagano ... paga il museo ... non posso permettermi .. vado a spendere sei milioni, andata e ritorno ... metta che ci vada tre volte l’anno, sono diciotto milioni, metà del mio reddito annuale solo per i viaggi ... bisogna che mi paghino adesso, io queste strapazzate non le voglio più fare ... già voglio uscire da tutti questi imbrogli italiani ... ci vediamo domani sera verso le otto e mezza.
Il 14 novembre 1985 mi disse che, dall’Accademia Nazionale di San Luca, il prof. Jacopo Recupero gli aveva fatta pervenire una lettera con la nomina a membro dell'Accademia nazionale di S. Luca. Mi aveva telefonato per leggermi la lettera di nomina. Mi disse che, nella lettera di risposta, si dichiarava onoratissimo ma che era costretto a rifiutare perché la nomina era firmata dal segretario e non dal presidente; era inoltre posteriore di quindici giorni alla nomina di Palma Bucarelli: per lui quindi ciò era insopportabile e inaccettabile [1].
Il 18 aprile 1987 alle ore 16,30, appena arrivato da New York, il Professore mi telefonò, invitandomi a casa per fare quattro chiacchiere. Lo trovai che apriva un grande sacco di posta, accumulatasi in sua assenza: uno spasso erano i commenti a ogni busta che apriva. Una metà abbondante finiva nel cestino, dopo una sommaria sbirciata. Trovai pure le sedie dello studio sostituite con quattro poltrone con lo scheletro in argento: i braccioli terminavano con due teste di ariete. Disse di averle acquistate sul mercato antiquario, ove erano finite a seguito delle riforme volute da Indira Gandhi, che erano appartenute a un principe indiano; che aveva dovuto anticipare il ritorno in Europa perché chiamato per una consulenza a Parigi, con viaggio pagato:
Non mi sarei potuto permettere una spesa di tre milioni e mezzo del viaggio sul Concorde!*[2]
Il mattino dell’8 giugno 1989 il Maestro era furioso per una disattenzione di Allemandi e stavolta aveva ragione da vendere: come presentare a una giuria presieduta da Argan, con Vlad membro della commissione, un'opera di Zeri? Si trattava del primo libro dei saggi, Giorno per giorno nella pittura: naturalmente era stato respinto, non c'era neppure da dubitare! Egli l'aveva saputo casualmente dall’editore De Luca che, avendolo chiamato per una normale telefonata, si scusava con il professore per l'accaduto. Zeri, completamente all'oscuro, non capiva; così De Luca gli raccontò per filo e per segno tutto il fatto. L’ira durò diversi giorni, quando era arrabbiato, era perentorio. L’argomento mi si ripresentò il giorno 11 giugno, nel nostro incontro nello studio del Professore. Trovai il Maestro, che l’indomani avrebbe dovuto recarsi negli Stati Uniti, ancora accorato per la gaffe di Allemandi:
presentare un mio libro a una commissione composta da Argan, La Regina, Vlad, Consagra ... [3].
Alla conversazione era presente Bacchi: mi sono complimentato con lui per la bontà del suo catalogo per la mostra al Poldi Pezzoli. In realtà fu indignazione molto passeggera: Zeri e Allemandi rimasero saldamente amici per la vita. Al telefono, il mattino successivo, mi aveva commentato l'episodio con un:
vado negli USA, dove parlerò davanti a 2000 personaggi fra i più quotati nel mondo, ciascuno nel proprio campo, e in questo paese di m…a devo sopportare di essere svillaneggiato in questo modo indegno.
Dal modo come mi parlava, notavo pure che aveva una notevole trepidazione, se non timore, per l'uditorio che andava ad affrontare in quella ennesima trasferta statunitense.
Intorno alla metà degli anni Settanta, con entusiasmo Zeri mi informò dell’inizio del lavoro per la Storia dell’arte italiana della Einaudi e del suo progetto di inserire un intero volume sui centri minori. L’iniziativa interessò molto pure me, avendo già dato alle stampe delle monografie municipali su tre centri minori: ovviamente avanzai l’ipotesi di trattarli a quell’alto livello. Ci pensò e optò per Mentana, il nostro centro, e Galati Mamertino, il mio paese d’origine. Poi Mentana fu sostituita con Monterotondo: del motivo di questa sostituzione ne ho parlato altrove [4].
La redazione dei due saggi, affidati a Pier Nicola Pagliara (Monterotondo) e Giangiacomo Martines (Galati Mamertino), fu da me seguita molto da vicino [5]. Seguii pure la presentazione del volume n. 8 nei due comuni: non fu semplice persuadere Zeri a intraprendere il viaggio in Sicilia. Però nell’incontro del 16 giugno 1981 mi confermò che dal 10 al 12 luglio mi avrebbe raggiunto a Galati Mamertino [6].
La presentazione del volume 8 a Galati Mamertino fu, per gli abitanti, un autentico avvenimento e fu soprattutto compreso dalla popolazione [7]. Il nome di Zeri, in paese infatti, era ben noto poiché, grazie a lui, nel 1978 erano pervenuti alla biblioteca comunale ben duemila volumi in omaggio, donati dalla Casa editrice Einaudi. La notizia è tramandata nell’epistolario edito dalla Einaudi [8]:
Caro Giulio, Ti ringrazio ancora per la generosa offerta a favore della biblioteca comunale di Galati Mamertino. La notizia del tuo dono ha suscitato stupore e incredulità, da parte di gente abituata ad essere presa a calci, e di cui il resto d'Italia si è sino ad ora ricordato solo per le tasse e i richiami alle armi. Grazie di cuore […] Con saluti, Federico Zeri [9].
Di quel viaggio sui monti Nebrodi, Zeri ne parlò spesso come esempio di ciò che in Sicilia si sarebbe potuto e dovuto fare e non si è mai fatto [10]; in un articolo, posteriore di molti anni, scrisse infatti:
Vengono dunque a proporsi luoghi e nomi poco noti e ciò è assai importante: se c'è una regione d'Italia poco esplorata, è la Sicilia. Mi accade che ogni volta che vengo nell'Isola, anche per pochi giorni, vedo cose inattese, delle quali non ho mai letto né sentito parlare. Ad esempio, vari anni fa dovetti recarmi in una piccola località della provincia di Messina, Galati Mamertino: vi trovai bellissimi marmi gagineschi, e, nei paesi circostanti, statue lignee di alta qualità, che non so se siano a lungo sopravvissute, e se esistono ancora, dubito possano sopravvivere a lungo trovandosi, quando le vidi, in luoghi del tutto precari e abbandonati.
Il volume 8 della Storia dell’arte italiana fu presentato in tutti i comuni interessati. Il giorno 8 novembre 1980 era stata la volta di Ferentino. Partiti di buon'ora con la mia famiglia e con l'arch. Giangiacomo Martines, arrivammo in paese che già Zeri, nella piazza principale, aveva avuto una conversazione con gli studenti delle scuole superiori; doveva essergli andata molto bene, poiché era in vena di giocherellare. Andato poi al tavolo della presidenza, iniziò subito a parlare senza attendere che l'avesse presentato la signora Assessore alla Cultura: si vedeva lontano un miglio che lei era adirata per non avere potuto fare una presentazione per la quale certamente si preparava da mesi! Il podio era preparato su un palcoscenico con le quinte e lo sfondo … per una “cerimonia da cappuccetto rosso”, sicché Zeri iniziò la conversazione celiando:
L'ambientazione mi aveva suggerito l’idea di entrare a passo di danza e tutù: peccato che l'avevo dimenticato a casa [11].
Poi affascinò l’uditorio con la solita conferenza-bomba sul tema “arte popolare”; fu sempre un piacere l'ascolto dei suoi interventi. Fu ancora più effervescente nel pomeriggio, presso la “sala notarile” del vecchio palazzo comunale restaurato, per la relazione sul saggio e il dibattito. Quando non parlava lui, stava sempre a fare il giocherellone: era uno dei suoi giorni allegri. Degli argomenti più interessanti di cui fui testimone tramando qui schegge estemporanee che trascrivo come le vergai o come le registrai al tempo. Molte notizie sono davvero di prima mano poiché Zeri fu molto introdotto nei “salotti bene” della città e solo da lui potevo apprenderle. Verrà il tempo perché possano essere offerte alla cultura?
Note
[1] Poi, soddisfatto, commentò: Pensi all’arrabbiatura che si prenderà Recupero… ma certe cose non le posso sopportare.
[2] Mi fece dono della ciotola in metallo argentato che la società offriva ai suoi viaggiatori.
[3] Andrea Bacchi (a cura di), Il conoscitore d’arte, Sculture dal XV al XIX secolo della collezione di Federico Zeri, Electa ed., Milano 1989.
[4] Salvatore G. Vicario, Colle del Forno. Una necropoli tutta maschile, Bonanno ed., Acireale-Roma, 2017, p. 44, 52n.
[5] I due autori, al termine del lavoro, mi lasciarono come ricordo una copia del dattiloscritto inviato alla casa editrice, dedicato e firmato.
[6] Nell’occasione mi parlò poi di un giovane di Milazzo, Gioacchino Barbera, molto bravo, che gli chiedeva una mano all'inizio della professione; gli era stato raccomandato dalla prof. Teresa Pugliatti di Messina, figlia del Magnifico Rettore dell'Università di Messina, che fu pure grande collezionista di xilografie cinesi. Tali opere, successivamente, furono acquisite dal Museo annesso all'Istituto di cultura cino-italiano di Roma, furono catalogate e raccolte in schede da Daniela Maimone di Mentana, una studiosa di grande ingegno, successivamente emigrata in Messico, con il marito conosciuto in Cina, ove si erano recati entrambi per studio. Al Barbera, quando lo incontrò, gli consigliò - era tipico di Zeri - di infischiarsene dell'università e di guardarsi intorno. La Sicilia è un pozzo inesplorato, gli diceva e gli faceva notare: Ma non vede quel che è venuto fuori a Galati Mamertino? E il Barbera commentò: È stata una scoperta anche per noi.
[7] Vincenzo Orlando, Federico Zeri a Galati Mamertino, in S. G. Vicario (a cura di), Quaderno Mamertino 2010, Zuccarello ed., S. Agata Militello 2010, pp. 71-73.
[8] F. Z., Lettere alla Casa editrice, Einaudi, Torino 2008, p. 124.
[9] L’epistolario porta in nota (p. 124 1n): “Si trattò di una donazione di ben duemila volumi, inizialmente destinati al Comune di Mentana (che vi rinunciò), poi donati a Galati. Grazie anche all'interessamento di Salvatore G. Vicario, medico personale di Zeri, nativo di Galati e appassionato cultore di storia dell'arte, il paese in provincia di Messina divenne oggetto di una trattazione specifica nella Storia dell'arte Einaudi (Giangiacomo Martines, Galati Ma-mertino, in III, I, Inchieste su centri minori, a cura di Enrico Guidoni, pp. 367-403)”.
[10] F. Z., Federico Zeri e la Sicilia, in “Kalós”, arte in Sicilia, a. 7, n. 6, nov.-dic. 1995, pp. 10-11. Di ritorno dalla Sicilia, dopo la presentazione del vol. 8 della Storia dell’arte italiana, il 14 luglio 1981, Zeri mi ringraziò per la bella accoglienza ricevuta a Galati Mamertino; decantò la bellezza incomparabile della vallata dello Zappulla: forse tornerà. Mi parlò anche di Strinati: lo scorso anno questi lo aveva defraudato di una attribuzione su un lavoro pubblicato su una rivista d'arte, facendogli credere che fosse stato un errore tipografico. Allorché Zeri aveva incaricato il legale di incriminare la casa editrice, egli aveva dovuto confessare che, in realtà, era stato lui a non citare volutamente la fonte. La sua ira era irrefrenabile e ciò nonostante non gli aveva voluto fare del male. Ora lo Strinati aveva preparato un saggio su Le pale d'altare da inserire nella Storia dell'arte italiana di Einaudi, giudicato molto carente in tante parti e quindi respinto. Zeri ha commentato: Crederà a una vendetta postuma; invece quel saggio era proprio impresentabile.
[11] Sghignazzi degli alunni e avvampamento dell'Assessora.