Riappropriazione. L'enciclopedia Treccani definisce riappropriazione il riacquistare la disponibilità di qualcosa che si è perduto. Un concetto quindi che presuppone la volontà di recuperare qualcosa che si è perso per un motivo qualsiasi, non è importante infatti per quale motivo abbiamo perso qualcosa ma che vogliamo recuperarla. Un concetto questo molto diffuso nella contemporaneità.
Per il movimento ambientalista, per esempio, per migliorare la qualità della nostra vita, per renderla più sostenibile, la società deve riappropriarsi della natura, deve ricomporre quella frattura che si è creata tra cultura e natura, tra culturale e naturale, tra ciò che è creato dall'uomo e ciò che non lo è. Bisogna recuperare un dialogo interrotto che nel tempo si è trasformato in un monologo dell'uomo che si considera presuntuosamente superiore, privo di rivali degni del suo sapere, della sua storia.
Il concetto di riappropriazione è molto diffuso anche in politica dove significa riappropriarsi degli spazi comuni. Sicuri di non aver mai sentito parlare di “partecipazione”? Impossibile, è una delle parole più diffuse della contemporaneità e indica il ritorno dell'individuo alla capacità di farsi coinvolgere nella politica cessando di delegare senza alcun tipo di controllo il potere agli altri. Pensiamo per esempio al ritorno di molti partiti populisti negli ultimi decenni.
Questo processo è presente anche nel mondo dell'arte, e uno dei suoi più grandi esponenti è Glenn Brown, che ha di recente concluso una straordinaria mostra alla Galleria Gagosian di Londra. Brown è un grande conoscitore non solo della storia dell'arte ma anche della letteratura, della musica e della cultura popolare, e nel momento in cui visitiamo una sua mostra o ci troviamo di fronte a una sua opera, oltre a godere del segno unico e inimitabile che caratterizza la sua pratica artistica, non possiamo non porci delle domande sui riferimenti delle sue opere. Brown infatti si riappropria di immagini provenienti dalla storia dell’arte e con l’aiuto delle nuove tecnologia le distorce, le modifica, le “destruttura” creandone a tutti gli effetti di nuove. Il filosofo francese Derrida ci insegna che destrutturare significa rompere la struttura classica di qualcosa di consolidato addizionando e sottraendo cioè esasperando o scarnificando alcune caratteristiche portanti, e questa è un po’ la caratteristica della pratica di Brown.
La mostra Come to Dust, partendo da una citazione del Cymbeline di Shakespeare, riflette sull’ineluttabilità della morte. Ci sono dipinti ad olio, disegni, incisioni e sculture che danno prova dello straordinario virtuosismo di Brown: i dipinti danno l’illusione di volumi pieni, materici, ma a un esame più attento quelle superfici sono lisce e piatte. Particolare la sala dove sono stati allestiti disegni incorniciati in cornici rinascimentali dorate e intagliate. Particolare non è solo l’allestimento di questi disegni ma, anche qui, il processo mediante il quale sono stati creati. Brown infatti inverte il consueto ordine che porta a realizzare una determinata cornice sulla base dell’opera che deve incorniciare. Qui le cornici sono trattate come ready-made e i disegni vengono realizzati in risposta al colore, alla dimensione e al design delle cornici.
In Come to Dust c’è tutto il meglio della pratica artistica di Glenn Brown. Il bello e il brutto, l’affascinante e il ripugnante. Brown racconta il viaggio di alcune opere che ha scelto all’interno della storia dell’arte, fino ai giorni nostri. Opere trasformate dal tempo e dalla nostra memoria, opere leggere come ricordi o sogni, pesanti e oscure come incubi. Brown ci invita a riappropriarci della nostra storia, della nostra cultura, che ci spaventa ma che allo stesso tempo ci affascina, e a dare loro nuova linfa, un nuovo soffio vitale che vivifica e rigenera.