Jacopo Carrucci, detto dal luogo di origine il Pontormo (1494 - 31 dicembre 1556 o 1° gennaio 1557) è un uomo solitario, scontroso, tormentato, incapace di vivere norme usuali e per questo considerato dai contemporanei un asociale, lo dimostra anche il suo diario scritto negli ultimi anni della vita, tanto da far scrivere a Emilio Cecchi: “è difficile trovare documento più squallido”. Personalmente ritengo invece si tratti di un triste ripiegamento su sé stesso e sui propri infiniti problemi personali.

La difficoltà di vivere insieme agli altri, la paura della morte, la preoccupazione per le proprie malattie, la difficoltà di accettare compromessi e tradimenti, non gli impedirono di realizzare opere sublimi come La Visitazione nella Santissima Annunziata di Firenze; Vertumno e Pomona nella Villa Medicea di Poggio a Caiano; Cristo davanti a Pilato oggi al Museo della Certosa di Galluzzo; La Deposizione nella chiesa di Santa Felicita di Firenze.

Firenze nella prima metà del Cinquecento

Carattere solitario e introverso, sensibile all’estremo, Pontormo vive a Firenze, una città dove politicamente sono accentuati contrasti drammatici dalla esperienza del Savonarola al governo dei Medici, ad una effimera fase repubblicana e poi di nuovo stabilmente con i Medici che lo accolgono e lo stimano come artista, pur non comprendendolo negli ultimi anni.

Jacopo non andrà quasi mai fuori da Firenze, al contrario di molti suoi contemporanei, come Leonardo, Andrea del Sarto e il Rosso che si recheranno anche in Francia, per non parlare di Raffaello e Michelangelo che soggiorneranno per molto tempo a Roma. Partecipa emotivamente al lungo travaglio del suo tempo, ne avverte come propria l’angoscia, l’incertezza e la esprime con la novità della sua arte che, pur ricca di contatti con altre esperienze, è assolutamente autonoma ed originale da parte di un uomo riservato, anche asociale, orgogliosamente dedito all’arte con un solo fidato allievo, Agnolo Bronzino.

Dalla grazia all’ anti-grazia

Pontormo inizia con Leonardo, osserva l’arte surreale di Piero di Cosimo, quella più tradizionalista di Mariotto Albertinelli, guarda il giovane Raffaello a Firenze, e il vecchio Botticelli, entra in una bottega competitiva come quella di Andrea del Sarto insieme al Rosso, scopre il giovane Michelangelo del David e del cartone della Battaglia di Cascina in Palazzo Vecchio. C’è un mondo artistico in fermento. Da fiorentino, il corpo umano diventa, e lo sarà sempre, la sua passione primigenia anche se le emotività, le ombrosità, le dolcezze e le ambiguità di Leonardo saranno presenti nel suo lavoro, insieme all’attenzione verso l’arte del Nord-Europa che circola attraverso incisioni e dipinti.

L’artista si trova all’interno di questo contesto e segue un percorso assolutamente personale. Ne sarà il primo grande interprete. Se quindi nel primo ventennio del secolo la pittura ha raggiunto una forma perfetta esprimendosi in equilibrio (Raffaello) o dramma (Michelangelo), Jacopo rappresenterà la prima incrinatura a Firenze di questo mondo armonioso.

In bottega con Andrea del Sarto ne apprende la compostezza, la dignità, l’impaginazione serena, emotivamente controllata nelle opere e lo segue nei primi lavori come nella Visitazione all’Annunziata. Ma la sua attrazione è per Michelangelo, il suo rovello è la Volta della Cappella Sistina dove deve aver avuto una specie di rivelazione artistica sulla bellezza, oltre che nelle Stanze di Raffaello. Di loro si avverte il fascino nella citata Visitazione e nella Veronica in Santa Maria Novella. Ma nel lunettone a Poggio a Cajano l’uso realistico del corpo, specie nudo, la freschezza delle carni e dei volti, il colore vivace denotano una visione di felicità libera ancora naturalistica, insieme ad un realismo preciso, benché con un fondo impercettibile di nervosismo che sarà la cifra dell’artista. Nella Pala Pucci poi del 1518, Jacopo rompe i freni e impagina uno spazio affollato, sentimentalmente acceso come nei colori: l’equilibrio classico si va incrinando.

Una svolta avviene decisamente dopo gli anni Venti del secolo in senso anti-classico nel ciclo alla Certosa del Galluzzo dove il contatto con l’arte e la spiritualità nordica romperanno ogni classico equilibrio costruttivo in favore di un pathos costante, di tinte “macchiate” e forti, con una visionarietà sconvolgente ed una bellezza non più armoniosa, ma “altra”, quasi astratta in spazi-non-spazi affollati di struggente novità come la surreale, mistica Resurrezione. Partito il Rosso per Roma, Pontormo rimane il principale artista della nuova generazione, quella della “maniera moderna”, che gli storici del secolo XIX sprezzantemente chiameranno “manierismo”.

Il ciclo prepara il capolavoro assoluto quale è la decorazione della Cappella Capponi in Santa Felicita (1526-1528). Pontormo innalza il pathos elegiaco a personaggio dominante. È una bellezza trasfigurata in tinte cangianti e irreali nella luce nitida, in figure slanciate dai grandi occhi e dalle mani intrecciate intorno al pallido Cristo sorretto da efebi angelici quasi danzanti. Una visione trasparente, di una religiosità commossa e silenziosa, fra ombre luminose. Questo canto libero è l’emozionante voce di un capolavoro del primo Manierismo fiorentino che oltrepassa una armonia e crea una nuova “grazia”, emotiva, visionaria, un sogno.

Pontormo non si ferma: è un ricercatore inesausto benché incompreso. E giunge alla Visitazione di Carmignano (1528- 1529): visione metafisica di due figure che diventano quattro in tinte mentali, luci elettriche, panneggi gonfiati e arricciati all’inverosimile, nel silenzio surreale di una atmosfera quasi onirica.

I temi mitologici

È un peccato che le decorazioni dell’artista nelle Ville Medicee di Careggi e Castello siano andate perdute è rimasto solo il lunettone di Poggio a Cajano affrescato in concomitanza, e concorrenza, con i lavori di Andrea del Sarto e del Franciabigio. È un momento di giovinezza libera dove è chiara l’influenza della Volta Sistina ma che Pontormo esprime con uno stile ed una freschezza tutta sua, inneggiando alla natura, identificata nelle figure di Vertumno e Pomona con corpi felici in un luogo destinato al riposo.

Nell’anno 1520-21 dunque il pittore, come fossimo in un rinascimento disinvolto e gioioso affresca il lunettone (cm 461 x 990), opera colma di ridondante vitalità, commissionata da Ottaviano de’ Medici che sembra abbia lasciato libero l’artista, al contrario delle altre opere celebrative dei Medici ora che era papa Leone X.

Una freschezza percorre il dipinto attorno al grande oculo centrale dove si pongono amorini-bambini vivaci e coloriti. Pomona siede sul muricciolo accanto a due donne, che sarebbero contadine ma i cui abiti serici le fanno apparire tutt’altro: ritratti veri, colori scintillanti, corpi belli, espressioni gioiose. Sul lato opposto sta seduto un vecchio con un cesto in giubba gialla, un cane che alza la gobba irritato, un giovane seduto tranquillo ed un altro, nudo a prendere il sole, proteggendosi con i lunghi rami.

L’insieme emana una tranquilla volontà di stare al mondo, belli, sereni e sani. Il colore è ricco, la luce si sparge estiva ad esaltare le tinte squillanti – rossi verdi violetti – e la pienezza di energia che si espande ben cadenzata fra gli spazi con un tocco compresso, ma reale, di sfrenatezza, ben individuabile nei ragazzini sul muretto che prendono il sole con totale naturalezza.

La ritrattistica

La capacità di penetrazione psicologica del Pontormo è unica e lo avvicina ad un grande contemporaneo veneto come Lorenzo Lotto. Entrambi cercano un dialogo con l’osservatore ed entrambi manifestano una chiara inquietudine, in particolare nel veneziano. Pontormo è ben conscio della ritrattistica contemporanea, toscana, romana e nordica. Egli vi si inserisce con un tocco originale che viene apprezzato perché i suoi personaggi sono vivi e naturali. Ma non sono nemmeno tranquilli o nobilmente dignitosi come quelli di Andrea del Sarto. Egli vi legge l’anima e la presenta così come essa è.

Quasi tutti si rivolgono all’osservatore, tentando un dialogo con lui, con gli occhi grandi e quella poetica dello sguardo così caratteristica del pittore. Umani e non diamantini come saranno invece quelli dell’allievo Bronzino e ben diversi dalla prepotente aggressività di Tiziano. È anche nei ritratti che Pontormo crea un nuovo tipo di bellezza, che va oltre i modelli di Michelangelo e Raffaello, e si dirige verso una dimensione di purità, di astrazione, di presenza-assenza che supera il suo tempo, in un crescendo di intensità stupefacente.

A Firenze governano i Medici ed ecco il Ritratto di Cosimo il Vecchio (olio su tavola, cm 87 x 67, Firenze, Uffizi, 1518-1519). Il grande banchiere, nonno di Lorenzo il Magnifico è ritratto di profilo, come fosse una medaglia del Pisanello, seduto contro una fronda di alloro. La forza del personaggio è sottolineata dalla mascella aggressiva nel volto muscoloso, dalle mani strette fra loro, dal corpo asciutto chiuso dentro il robone rosso cupo. Immagine di energia solenne, grandiosa e incisiva come fosse un condottiero romano, l’uomo anziano e rinsecchito brilla pallido sul rosso dell’abito in quel contrasto voluto dei colori che Pontormo ama. È il pater patriae concentrato sul suo scranno. Nel cartiglio attorno al lauro si svolge il motto “uno avulso non deficit alter” (Eneide, VI, 143), cioè “eliminato uno non manca chi lo sostituisca” con allusione al rinnovarsi della casata.

La pittura sacra

L’emotività che caratterizza Jacopo, lo struggente desiderio di bellezza percorre la notevole produzione di soggetti religiosi, tipica del suo tempo. Pontormo si dedica all’affresco e alla tavola, ha ben presente i modelli artistici dei soggetti, e alcuni legami con Leonardo, Raffaello e Andrea del Sarto persistono, per non parlare di Michelangelo. Ma Pontormo andrà anche oltre, sarà lontanissimo dal Perugino e sempre più da Andrea, creando una sua “immagine sacra” ben riconoscibile. Talora sembra “forzare” il soggetto per esprimere un sentimento religioso anche personale acuto, coinvolgente, da uomo attento ai messaggi contemporanei della Riforma della Chiesa, risolvendo le opere in un clima di lirismo patetico spinto, “incrinato” verso soluzioni di pura spiritualità – la Certosa, la Cappella Capponi – fino alla visione metafisica delle ultime opere.

Fra le opere più significative troviamo La Veronica tra gli angeli (affresco, cm 307 x 413, Firenze, Convento di santa Maria Novella, 1514-1516) eseguita per l’ingresso nel 1515 di Giovanni de’ Medici ora papa Leone X. Lavoro scattante con la posa della santa in una violenta torsione “michelangiolesca”, vestita di un arancione carico che mostra il telo bianco delicato su cui è impressa l’effigie di Cristo: uno scatto eroico che ricorda la “terribilità” del Buonarroti.

Il libro Pontormo lo sguardo dell’anima

È stato appena pubblicato dalla Timia edizioni questo volume, dovuto alla competenza di Mario Dal Bello, che ricostruisce in maniera scientifica l’attività nota e poco nota del pittore rinascimentale. Non è un semplice testo d’arte ma è il racconto di un incontro personale, della scoperta di un’artista che si è rivelato essere un grande. Un creatore meraviglioso di un mondo interiore che ancora ci parla con le sue mani e i suoi occhi, che vuole interagire con noi e portarci là dove egli vive, ossia in una bellezza “altra”.