Alessandro Rovetta Professore Ordinario di Museologia e critica artistica e del restauro all'Università Cattolica scrive di Pino Roveda apprezzando quanto prodotto dall'artista: "...all’impronta ci affascina maggiormente la sua pittura vicina all’astrazione e di tema profano; sull’arte sacra non è mai semplice trovare una via originale". Arte sacra alla quale Pino Roveda ha dedicato molte opere, senza mai allontanarsi dalla ricerca della bellezza e del vero.
Tanto categorico e tanto autorevole, si potrebbe definire persino dissacratorio mettendoci magari le virgolette, quel giudizio ha reso capace il mio sguardo di decriptare quanto contenesse ed esprimesse di singolare e di autentico qualsiasi forma di arte sacra in cui mi sia, da lì in poi, imbattuto. Così quando nel Duomo di Como la dottoressa Roberta Lietti, critica d’arte del ‘900 e consulente per il design di Ico Parisi, ha presentato “Mario Radice, uomo di fede e artista” sono stato facilitato nel lasciarmi sorprendere dai tratti di originalità, dalla novità e dalla genialità emanate dai suoi disegni delle Madonne che sono stati donati dalle signore Francesca e Barbara Radice, figlie del maestro, al costituendo Museo del Duomo di Como, assieme ai bozzetti che poi nel 1952 diventarono gli affreschi della Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Assunta a Carbonate, materiale rimasto esposto per qualche mese nelle teche poste in prossimità della cosiddetta Porta della Rana all'interno del Duomo.
Mario Radice, artista di fama internazionale, è considerato uno dei capiscuola dell'astrattismo italiano geometrico-costruttivista e autorevole esponente del razionalismo e sono indiscutibili nelle sue opere gli spunti d'avanguardia. Nella sua arte sacra, veri e propri capolavori non ancora premiati con la fama che meritano, nelle sue Madonne così originali e così astratte, l'originalità non risiede solo nell'astrazione che a sua volta e altrettanto disinvoltamente sottrae loro quella genuina beltade che invece possiamo gustarci in quelle di Pino Roveda dove il figurativo la fa ancora da padrone. Le Madonne di Mario Radice sarebbero state manna dal cielo, una sorta di quadratura del cerchio per Pino Roveda, che aveva sì sperimentato l'astrazione ma senza avventurarsi fin dentro l'arte sacra, e una sorgente di acqua pura a disposizione del prof. Rovetta a saziare la sua sete di originalità.
Tale vissuto ha fatto riemergere in me l'invito pressante che ricevevo da Pino Roveda: "vieni a casa mia perché ti devo fare l'analisi psicologica di tutti i personaggi raffigurati negli affreschi che ho realizzato nel Santuario" annotando che trattasi della Madonna del Rosario a San Vittore Olona paese natale dell'artista, e anche mio, e che gli affreschi sono tecnicamente dei dipinti su parete muraria. Sta di fatto che, mea culpa, quegli appuntamenti tanto preziosi sono rimasti disattesi facendoci scontare l'odierna inevitabile e tangibile mancanza di una dettagliata descrizione e trattazione.
Quella frase tuttavia vale da sola quanto un libro. È l'artista stesso che si svela e risponde alla provocazione suscitata dal professor Rovetta, ci fornisce il bandolo della matassa, lo spunto di partenza per un auspicato lavoro di recensione e di critica ai suoi affreschi ricercandone gli aspetti specifici e originali. In essi Elio Armiraglio ritrova affinità, la stessa cifra stilistica, lo stesso pathos del Sant'Ambrogio benedicente di Arcumeggia dipinto da Aldo Carpi, maestro di Pino Roveda al Liceo Artistico di Brera, quel pathos che qui nel Santuario di San Vittore Olona si declina nelle svariate scene in cui convivono, oserei dire si muovono, i tanti personaggi che popolano ognuno degli affreschi e che incassano i dividendi della maestria nella ritrattistica, elemento preponderante a spostare verso l'alto l'asticella del livello qualitativo.
Ammirandoli non ci vuole molto a capire quanto sia stato difficile, sofferto, lacerante per Pino Roveda il solo pensiero di staccarsi dal figurativo. Sprigionano una forte vis dinamica, sono fotogrammi congelati all'interno di una sequenza cinematografica, una proiezione in multivisione dove le varie scene che raccontano la vita di Gesù attraverso i misteri del Rosario (Natività del 1980, Crocifissione del 1986 e Resurrezione del 1989) sono sapientemente amalgamate in un continuum spaziale e temporale reso con grande effetto scenografico, teatralità e tridimensionalità grazie al magistrale uso dei piani, della prospettiva e della luce.
I soggetti religiosi entrano a far parte del nostro mondo, ogni personaggio è uno di noi. Le varie figure ci trasmettono delle emozioni. Volti umani, sembianze umane, come fossero dei nostri famigliari. Volti che lasciano trasparire i propri sentimenti ed effettivamente si prestano a un'operazione di analisi anche psicologica. Sembra che parlino, che vogliano dirci qualcosa, quel quid che costituisce l'essenza di un dipinto, il suo messaggio, il suo significato. Affreschi realisti, quasi iperrealisti senza esserlo perché elaborati da un disegno e non da un bozzetto fotografico. Sono in grado di modificare la postura di chi li ammira. Invitano ad avvicinarsi, e questo è possibile, per coglierne la ricchezza di particolari, la perfezione formale, caratteristiche enfatizzate dalla grande dimensione delle pareti, intellegibili da lontano e accattivanti da vicino.
Di fatto la risposta c'è e non c'è, meglio, ce l'avevamo su un piatto d'argento, una tavola già apparecchiata. Ora quel lavoro parte da zero, taglia il cordone ombelicale tra l'opera artistica e il suo autore o il suo committente, diventa adulto, diventa cosa pubblica, patrimonio condiviso, patrimonio dell'umanità. Un compito che tocca a noi, a ogni osservatore, suscitare e portare a termine. Ecco dunque svelatomi un criterio che utilizzerei per catalizzare l'attenzione di ogni critico d'arte che giunga davanti a quegli affreschi insistendo nella pretesa di un riscontro a quanto detto sopra ma facendomi anche da parte per lasciare campo libero alla massima libertà di fruizione e di personale godimento, perché come diceva l'autore "un quadro deve piacere".