Per i romani un modo per celebrare la vittoria di un generale vittorioso era la costruzione di un arco trionfale. L’eroe doveva sfilare vestito da Dio e arrivare nella capitale per coprirsi di gloria e passare sotto l’arco a lui dedicato.

L’arco trionfale era una costruzione monumentale che doveva elevare dalla terra al cielo il mortale a cui era intitolato. Inizialmente questi archi avevano un carattere temporaneo per onorare il generale durante le parate e dopodiché venivano smontati. Per decreto del Senato solo gli archi eretti a Roma potevano esser definiti “trionfali” perché solo lì potevano esser celebrati i trionfi.

Gli archi esterni alla capitale erano archi onorari e anche loro avevano una funzione celebrativa e dovevano rendere immortale il condottiero al quale era dedicato. L’erezione deli Archi rendeva la gloria dei condottieri eterna.

Uno degli archi che lascia intravedere quanto fossero imponenti queste costruzioni architettoniche è l’Arco di Traiano a Benevento. Costruito tra il 114 e il 117 d.C. forse dal successore di Traiano l’imperatore Adriano anche se viene comunemente attribuito all’imperatore Traiano. Una faccia è rivolta verso Brindisi da dove l’imperatore Traiano veniva dopo la conquista dei Daci e l’altra verso Roma dove era atteso per essere festeggiato dai Senatori.

Il primo ad analizzare l’arco fu Sebastiano Serlio, architetto e teorico dell’architettura che scrisse I Sette Libri dell’Architettura, lo studiò da disegni o schizzi e non dal vero, forse questo non gli consentì di apprezzarne il pregio considerandolo un arco di minore importanza. Ma sono molti gli architetti e storici dell’arte che lo hanno analizzano e ne hanno tessuto le lodi.

L’arco probabilmente era opera di Apollodoro, architetto, ingegnere militare e scrittore romano, considerato uno degli artisti di maggior pregio dell’antichità. Le sculture dell’Arco esaltano l’imperatore e mettono in evidenza non solo il suo valore militare ma anche le sue virtù civili.

L’arco ha un’altezza di circa quindici metri e un solo fornice che arriva a misurarne otto. L’apertura poggia su pilasti angolari con un sottozoccolo sorretto da paraste. Al di sopra c’è la trabeazione e l’attico sul quale presumibilmente era presente il cocchio trionfale e le statue delle vittorie con i trofei agli angoli. È visibile l’iscrizione così tradotta:

All'imperatore Cesare, figlio del divo Nerva, Nerva Traiano Ottimo Augusto Germanico Dacico, pontefice massimo, (rivestito della) potestà tribunizia diciotto (volte), (acclamato) imperatore sette (volte), console sei (volte), padre della patria, fortissimo principe, il Senato e il Popolo romano (posero).

Sull’arco a differenza della colonna traiana, collocata a Roma, non vengono raffigurati solo le gesta militari ma anche la vita civile, sacra, pubblica e privata dell’imperatore. Il ricordo non solo del conquistatore ma anche dell’uomo attento al suo popolo.

La tecnica scultorea utilizzata va dall’alto rilievo al basso rilievo per dare la tridimensionalità e imprimere pathos nell’opera. Sulla facciata verso Roma le scene raffigurate fanno riferimento alla pace e alle opere fatte per i cittadini, sulla facciata rivolta verso Brindisi sono scolpite le opere fatte per le province.

Le colonne angolari hanno una base corinzia e poggiano su uno zoccolo liscio, il fusto è rastremato conferendole slancio e snellezza e il capitello su di essa è romano e presenta foglie d’ulivo come segno di pace. Sul capitello non poggia direttamente la trabeazione ma c’è un dado che libera il capitello e lo rende leggibile all’osservatore.

I gruppi scultorei presenti sulle facciate rappresentano i voti decennali, le corse alate e i giochi che si tenevano per celebrare la festa e il trionfo dell’imperatore. Mentre le statue che si vedono con mani giunte e che sostengono il candelabro rappresentano i Tribunali militari.

Nell’osservare l’arco l’occhio non trova pace è un susseguirsi di linee in continuo movimento e di continue allegorie e richiami alla magnificenza dell’opera romana.

Fortunatamente l’arco non è stato spogliato delle sue magnifiche sculture ed è testimonianza della grandezza e dell’importanza che la città aveva ai tempi dei romani. L ’Arco Traiano ha subito delle modifiche e con l’arrivo dei Goti non venne distrutto ma inglobato nelle mura di difesa cittadine e prese il nome di Porta Aurea.

Il suo carattere commemorativo la differenziava da un “semplice” porta urbica anche se era circondata da costruzioni che gli si addossavano prepotentemente. La nuova funzione dell’Arco comportò delle modifiche che lasciano il segno sulla sua “pelle” come i fori che ospitavano il cancello d’ingresso alla città.

Sono diverse le vedute che hanno come protagonista l’Arco Traiano a cui sono state addossate le mura cittadine. Oggi risulta isolato dalle costruzioni grazie al primo intervento operato da Pio IX nel 1854, a questo restauro non si deve solo lo smantellamento degli edifici a lui addossati ma anche la sostituzione dei pezzi mancanti della cornice. L’iconografia della città ci riporta le testimonianze di come l’arco sia stato al centro dell’interesse di tutti i visitatori o turisti che trascorrevano del tempo in città.

Durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale l’arco è stato protetto con sacchi di sabbia e grazie a questo è rimasto illeso e resta un documento importante per la storia, non solo della città di Benevento ma della grandezza dell’Impero Romano. Ha resistito ai diversi terremoti che hanno colpito la città di Benevento ed è stato oggetto di un restauro finito nel 1999.

Resta un punto di riferimento per la città e per la sua storia ed è un orgoglio potersi immergere nella magica atmosfera che questo gigante buono crea. Da esso si può partire per un viaggio nella storia di una città che cerca in tutti i modi di fa capire la sua strategica importanza e che vuole a tutti i costi essere valorizzata.

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