Il conferenziere, anzi il conversatore, Paolo Fanciullacci proietta sullo schermo alle sue spalle un cornetto anti-jella alla napoletana, un cornetto Algida, cuore di panna, il gelato che fa ingrassare come gli altri, ma a differenza degli altri garantisce che il sovrappeso sarà romantico, un cornetto acustico all’orecchio di Beethoven.
Il pubblico attratto all’Istituto degli Innocenti dalla conversazione Degli strumenti a fiato il più eccellente è il cornetto, nell’ambito di FloReMus, festival internazionale di musica rinascimentale di Firenze, organizzato da L’Homme Armé, si sente catapultato in un’accolita di gente superstiziosa, golosa e un po’ sorda. Fanciullacci ridacchia perché sa di aver spiazzato chi si aspettava un pomeriggio paludato e sfodera un incantevole disegno di un cornettista del Pontormo, custodito agli Uffizi, poi, mantenendo il tono ironico, racconta del cornetto.
Suonatore e costruttore autodidatta di cornetti, adesso dedito al canto tenorile, così toscano nel volto e nella sveltezza del fisico, che lo si ritrova nei ritratti delle pitture fiorentine (non si accettano guastafeste pronti a giurare di suoi avi provenienti da altri lidi), Fanciullacci spiega che se su Google si cerca la parola “cornetto” bisogna leccare molti gelati e fare molti scongiuri prima che compaiano immagini e notizie dello strumento musicale, in disuso ormai da secoli, ma protagonista della musica rinascimentale e, forse, in procinto di tornare alla ribalta, magari nel Jazz.
Benvenuto Cellini, che nell’autobiografia si glorifica senza ritegno anche come musicista, fu un cornettista abilissimo avviato alla musica da suo padre Giovanni, piffero della Signoria, che lo sognava “gran sonatore” mentre il figlio, il quale si preferiva in versione orafo e scultore insigne, liquidava la faccenda con un “maledetto sonare”.
Girolamo Dalla Casa, udinese, uno dei cornettisti più famosi del Cinquecento aveva pure un fratello trombonista. Una famiglia ingrata a Vincenzo Galilei, che oltre ad aver dato i natali a messer Galileo eppur si muove, fu suonatore di liuto, compositore e teorico della musica: “[…] È il cornetto a mio avviso, uno strumento più da usarsi negli eserciti come già usarono gli Spartani la Tibia, che nelle private camere & il trombone per essere il suono suo molto conforme al mugliar de Tori per non dire Bufoli […]”.
Galilei non era il solo disprezzatore degli strumenti a fiato che, al tempo, non albergavano nei circoli aristocratici. Il gentiluomo, per non parlare della gentildonna, avrebbero mai potuto deformarsi e arrossarsi il viso soffiando come plebei in un bocchino?
Stefano Lorenzetti (L’educazione musicale nel Rinascimento), musicista e intellettuale, conferma che la nobiltà non si piegava a gesti servili tanto che Baldassarre Castiglione nel Cortegiano raccomanda all’uomo di corte e alla dama di palazzo la sprezzatura, dissimulando studio e fatica per porgere all’ascoltatore solo la grazia che, per Annibale Romei, è “una certa facilità ed agilità, che ha il corpo a ubbidir all’anima”. La musica si produceva ex tempore, il che richiedeva capacità e preparazione colossali, e questo fare a meno della scrittura enfatizzava la dissimulazione.
Dissimulare ciò che si è invece di simulare ciò che non si è. Preferibile la prima, no? Purtroppo ora usa molto la seconda.
Lorenzetti spiega che la musica partecipava alla formazione del nobile come virtuoso, per renderlo nobile a prescindere dal casato, insomma. Perché la musica, per Platone costruita analogamente all’anima, stabilisce una relazione profonda con il soggetto, consente di smussare le asperità, è armonizzatrice: ha una funzione nel governo dell’anima. È il fondamento della civiltà, dell’educazione sentimentale. Chissà quanti uomini non ucciderebbero la donna che li lascia, butta lì Lorenzetti, se fossero cresciuti interiormente con le note.
“Nel Cinquecento non ci sono né l’autore né l’opera - sottolinea -. La musica è un agire, il compositore consente che si possa far musica, ma ciò che conta è la situazione. Giannozzo Manetti nella sua cronaca della consacrazione della Cupola del Brunelleschi non ci dice che ha ascoltato Nuper rosarum flores di Guillaume Dufay ma che sembrava ‘che il canto e il suono del paradiso fossero scesi dal cielo sulla terra’ quindi che la musica aveva materializzato il trascendente, reso sensibile la dimensione paradisiaca”.
Degli angeli musicanti dell’empireo raffigurati nei quadri e negli affreschi medievali e rinascimentali, vorrebbe sentire il suono Francesco Gibellini (L’iconografia musicale come forma di rendering), uno di quei personaggi animati da passione incrollabile, e siccome vielle, organi portativi, positivi, clavisymbalum non si trovano più lui se li fa da sé dopo attento studio delle immagini, supplendo anche “col sentimento” quando le proporzioni non sono chiare.
Renato Baldassini e Fabio Lombardo, fondatori dell’Homme Armé, non si sono persi una conversazione, come purtroppo ha fatto la cronista che non può riferire di Isaac, la musica e i potenti di Gabriele Giacomelli, e sono contenti di questa prima edizione di FloReMus che in una settimana ha proposto sette concerti, quattro conversazioni, un corso internazionale di musica rinascimentale alla Scuola di Musica di Fiesole.
Una signora entusiasta del pubblico, accarezzando il suo ciondolo, un cornetto di corallo, aspetta le prossime edizioni del festival. Magari con venditori di cornetti Algida nelle pause.