Lucio Battisti non era divertente, pare nemmeno cordialissimo, sprofondato in una riservatezza abissale d’impronta misteriosa. Con le sue canzoni, scritte a lungo insieme con l’inseparabile (in seguito separato) Mogol, tanto che Mogol-Battisti negli anni Settanta era un ritornello, ha commosso, ha capovolto orizzonti, ha fatto comprare la chitarra a quasi chiunque perché quasi chiunque voleva strimpellare i pochi accordi per intonare o stonare La canzone del sole (“Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi, le labbra ancor più rosse […]. Ma quante braccia ti hanno stretto tu lo sai, per diventar quel che sei […]). Infine si è fatto piangere perché è pure morto, cinquantacinquenne nel 1998.
Adesso, grazie a Maria Cassi, fa lacrimare dalle risate. L’attrice e regista fiorentina ha appena concluso le recite al Teatro del Sale di Firenze per il decennale di Suoniemozioni, spettacolo dedicato a Battisti nel quale, non se ne abbia a male Mina che gioca a carte a Lugano e ripudiò la ribalta, forse anche per la seccatura di rimanere snella, “castiga” Mina canta Lucio, disco terribilmente serio del 1975, tributo della tigre di Cremona al cantautore di successo. Aveva già inciso La canzone di Marinella di Fabrizio De André, Anna Maria Mazzini in arte Mina.
Al Teatro del Sale, invece, Maria canta Lucio ed è la rivoluzione. Rivoluzione è una parola abituale della Cassi che ringrazia sempre il pubblico alzando un mazzo di rose rosse legate con un nastro, senza cellophane a interferire con il velluto dei petali, omaggio del marito e spettatore entusiasta Fabio Picchi, dicendo, fra l’altro, che “il teatro è rivoluzione”. Rivoluzione perché la Cassi, che ha studiato musica a Salisburgo e quindi sa cantare davvero, interpreta alcuni fra i super classici di Battisti, La Canzone del sole, appunto, 29 settembre, Dieci ragazze, I giardini di marzo, Innocenti evasioni e li trasforma in pezzi di bravura comica. Anche per te è una pausa di solo sentimento: nessun rida.
Irriverente nei confronti del Battisti scomparso e di milioni di devoti che hanno fantasticato su quei brani? Proustiana piuttosto, ripercorre decenni della propria vita: dai goffi balli a distanza delle “feste in casa”, con le mani di lei sulle spalle di lui, di solito un “torsolo” con le dita nel naso o impegnate nella sistemazione dei genitali, e la lunghezza delle braccia a separarli affinché le ossa pelviche, peraltro vestite, non si sfiorassero, all’esperienza dell’amore vero. Dall’incubo, in un certo senso, dell’infanzia all’incubo, in un altro senso, della vecchiaia, passando per l’incubo, in tutti i sensi, della… cellulite. E l’ebbrezza di sentirsi immortali, in un momento unico della giovinezza (tu chiamale, se vuoi: emozioni…). E la psicosi delle vipere che ha crocefisso l’adolescenza di molti (tu chiamale, se vuoi: emozioni…). Sembrava che in un certo periodo in Italia non si morisse che di morso di vipera e che si dovesse girare con l’antidoto “anche in piazza del Duomo”. Strano che gli stilisti non abbiamo pensato a un astuccio porta-siero firmato.
Mentre sbeffeggia affettuosamente le canzoni, con una giravolta del fisico agile, con un cambio di registro della voce, con il distendersi nella malinconia di un volto capace di ogni distorsione la Cassi distilla la poesia che permea quei versi e ci fa scoprire che Battisti era più abile ancora di quello che credevamo: sopravvive anche allo sbertucciamento e scuote ancora.
Ad agosto, il Teatro del Sale chiuderà per la villeggiatura dei padroni di casa e dei loro efficienti famigli che tutto l’anno accolgono e cucinano, e a fine luglio Maria Cassi presenterà la sua nuova produzione. Fa sempre così, presenta la nuova produzione quando questa già un po’ la convince: poi la lascia lievitare, la rimpasta, la cesella e nei mesi a seguire la ripropone. Si chiamerà Mamma mia, il prossimo spettacolo. Gli Abba c’entrano? Non si sa che augurarsi, conoscendoli. Ma si sa che la Cassi può tutto. La sua collega Meryl Streep con il gruppo pop svedese se l’era spassata, nel film che Tullio Kezich definì, in fondo senza troppa disapprovazione, “una carnevalata mediterranea”. Si sa che la Cassi può tutto: oh vediamo se ci svela che gli Abba erano un cenacolo di intellettuali. Magari, poi, gli Abba non c’entran nulla. Mamma mia, che curiosità.
Marco Poggiolesi suona la chitarra in Suoniemozioni ed è scenicamente innamorato della sua star, la guarda con un’ammirazione e una complicità toccanti; non è un accompagnatore , ma un coprotagonista, come sempre accade quando gli artisti mettono in scena l’arte che nutre l’ego misurato e doma quello smisurato. Bravo giovane bello (non si sa se in quest’ordine n.d.r.), dice lei. Tutti d’accordo, a giudicare dagli applausi.