Non mi è facile ricordare come la copia di una lettera di Curzio Malaparte sia potuta capitare fra le carte che accumulo da oltre mezzo secolo ma confesso che, trovata, l’abbia letta con tanta curiosità: mi ha spalancato una pagina di storia del XX secolo fra le più drammatiche.

Nel 1942 questa lettera fu scritta da Malaparte a Gherardo Casini: due nomi che parteciparono in prima persona al dipanarsi della storia italiana del tempo. Malaparte, pseudonimo del giornalista e scrittore italiano Curzio Suckert, fu personalità poliedrica, indipendente e controversa, che passò dall'adesione al fascismo, all'antifascismo che gli procurò nel 1933 il confino [1] e al filo-comunismo: scrisse testi politico-letterari acuti, tra cui Italia barbara (1925), e romanzi quali Kaputt (1944) e La pelle (1950), testimonianze crude sulle atrocità della guerra. Di questa, soprattutto, fu testimone perché inviato di guerra in Russia durante l’assedio di Leningrado.

Gherardo Casini, giornalista e editore, cominciò a lavorare nel giornalismo a 25 anni come redattore politico del Resto del Carlino a Bologna, aderì al fascismo e fu legato ad esponenti in vista del regime. Fu segretario del presidente dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni, Costanzo Ciano, e amico del figlio Galeazzo. Culturalmente fu vicino a Bottai e fece parte di quel gruppo di intellettuali che raccoglieva Leo Longanesi, Mino Maccari, Camillo Pellizzi... Nel 1942, per pochi mesi diresse Il Mattino di Napoli, dove ad articoli di propaganda di guerra affiancò comunque una "terza pagina" di buon livello chiamando a collaborarvi gente come Giovanni Battista Angioletti, Achille Vesce, Giuseppe Ravegnani, Mario Stefanile, Giancarlo Vigorelli, Edilio Rusconi. Nel dopoguerra fondò la Gherardo Casini editore: la collana più importante fu quella dei Grandi maestri, in cui pubblicò opere di Stendhal, Tolstoi, Kipling, Dostojevskij, Stevenson, mentre negli anni Settanta ebbero successo i tascabili Libri del sabato. Malaparte scrisse al Casini:

Torno dal fronte di Leningrado, dove tornerò fra tre giorni, non appena avrò finito di scrivere la seconda serie dei miei articoli su questo terribile assedio, e trovo la notizia della tua nomina a direttore del “Mattino”. Ne sono, come immagini, felicissimo.

Il giornale per il quale Malaparte fu inviato di guerra, il Corriere della sera, intanto aveva riempito colonne su colonne per documentare come nel volgere di un solo anno, il 1940, l’Europa fosse stata piegata all’ordine nuovo. Tutte le più importanti nazioni caddero nella morsa dell’esercito tedesco. Si contrappose alla Germania solo la resistenza della Gran Bretagna rimasta sola a combattere sino a che l’attacco tedesco contro l’Unione Sovietica e l’aggressione giapponese contro gli Stati Uniti dì America allinearono al suo fianco queste due nazioni. Accaddero infatti nel 1941, contro ogni norma di guerra, due operazioni belliche sconvolgenti.

La notte tra il 21 e il 22 giugno 1941 la Germania, senza dichiarazione di guerra, scagliò un colpo di enorme potenza contro l’Unione Sovietica. Verso le quattro del mattino migliaia di cannoni tedeschi aprirono il fuoco contro gli avamposti di confine e le frontiere del territorio sovietico, che comprendevano i territori che andavano dalle repubbliche Baltiche fino alla Crimea. Nello stesso momento l’aviazione tedesca, con 3900 aeroplani impegnati nell’operazione, penetrò nello spazio aereo dell’URSS bombardando le tre repubbliche baltiche, Lituania, Lettonia, Estonia, la Bielorussia, l’Ukraina, la Moldavia e la Crimea [2].

Sei mesi dopo anche il Giappone usò lo stesso metodo non convenzionale: l'attacco di Pearl Harbor avvenne il 7 dicembre 1941. Le forze aeronavali giapponesi attaccarono la flotta e le installazioni militari statunitensi in assenza della dichiarazione di guerra. Il presidente Roosevelt parlò di giorno dell'infamia. Furono queste alcune delle tante facce di quel prisma dalla vita che torturò l’intera generazione che ebbe la sventura di vivere gli anni Quaranta del secolo XX. In quel 1942, mentre si svolgevano gli scontri anglo-americani contro i giapponesi nell’Oceano Pacifico, incombeva in Europa, tragico, l’assedio contro Leningrado. Né vi fu nazione negli anni Quaranta, nelle mille facce di quel tragico prisma, che non abbia avuto l’obbligo di dover curare ferite, piccole o grandi.

Malaparte, per suo conto, sentì come un dovere il dare un sostegno a un amico, Gherardo Casini, che era stato chiamato dal regime (gli fu ordinato?) a tamponare la falla del rischio di chiusura del giornale Il Mattino di Napoli. Gli scrisse, infatti, in uno slancio di amicizia, pericoloso pure per lui; per molto meno, al tempo, si rischiava il confino:

Potrai far benissimo: la materia è interessantissima e sono certo che riporterai quel disgraziato giornale al suo antico splendore, o, se non altro, alla sua antica fortuna, che non è esattamente la stessa cosa.
Non ti sarà difficile, spero. Tutto “Il Mattino” si basa sull’articolo di fondo: che deve essere quotidiano, e scritto bene. Ma scritto proprio bene, in quel tono che piace a quel pubblico sensibilissimo e ghiottissimo di buona prosa.

Io non so come provarti la mia amicizia. E se può esserti utile, conta pure sulla mia collaborazione per degli articoli di fondo, firmati però con uno pseudonimo da scegliere di comune accordo, su argomenti generali, internazionali: ritratti di uomini, di cose, di fatti, pieni di colore, di spirito, di riferimenti culturali. Insomma, come presumo di poterli fare, quando mi ci metto. (Sul tipo di quelli che mandavo al “Corriere” dall’Inghilterra, o di quelli che scrivevo nella “Stampa”).

Ma la mia collaborazione non dovrebbe essere risaputa da nessuno. Deve rimane tra noi due. Tu capisci il perché: Borelli è gelosissimo e suscettibilissimo. In quanto al pagamento, fai tu. S’intende che non mi tratteresti come mi tratta il “Corriere” (per gli articoli che gli mando dall’Italia, elzeviri, mi paga 1250 lire l’uno) ma neppure come il “Mattino” tratta i suoi migliori collaboratori (che non esistono). Fammi tu una proposta. Io ti ho fatto la mia e credo che possa interessarti: unica condizione, assoluta, è la riservatezza. Ma una riservatezza al 100%. Neppure un accenno. Tu sai come è Napoli: certe cose si risanno immediatamente.
Ti manderei volentieri degli articoli su Leningrado, ma non posso per correttezza verso Borelli. E per prudenza: mangerebbe subito la foglia. S’intende che dovrebbero essere pubblicati di fondo. Se no, non c’è più sugo.
Il mio parere è che puoi tirar su il giornale unicamente con gli articoli di fondo. E guarda che credo di non sbagliarmi.

Ciao, caro Casini. Ti ho scritto il 24 o il 25 marzo appena ho saputo la notizia del tuo cambiamento. Hai ricevuto la lettera? Te l’ho fatta portare a casa, a Roma.

Non so quando tornerò, spero presto. Ad ogni modo, comincerei a mandarti i primi articoli di qui, in busta chiusa per mezzo di Bellia (corriere diplomatico). Telegrafami se accetti, a questo indirizzo: MALAPARTE ITALDPL HELSINKI.

Basta così. In due o tre ore ricevo il telegramma. Fammelo “ELT” così spendi la metà. Con un affettuoso abbraccio, Malaparte.

Gli offrì, in altri termini, un sostegno con "tradimento dell’etica professionale": e in "regime", scoperto, ne avrebbe certamente pagato le conseguenze. Del martirio di Leningrado, per il quale Malaparte era in Russia, fu trovato un documento fedele, il Diario di Lena [3], un’introversa ragazza russa sedicenne. Alcuni brani del diario, al di là di ogni commento, danno il quadro di quanto soffrì l’intera città, peraltro impreparata, come impreparato all’attacco fu trovato l’intero governo russo:

A dire la verità, né noi né le altre persone del condominio sono pronte ad affrontare un attacco: non sappiamo dove trovare un centro di assistenza medica, un sito di decontaminazione, un rifugio antiaereo. Non sappiamo dove sono le unità di difesa antiaerea, né come dovremmo reagire ai bombardamenti” [4].

Sono ancora viva, ed in grado di scrivere nel mio diario. Non sono affatto convinta che Leningrado non sarà abbandonata. Sono state dette tante cose, abbiamo ascoltato tante belle parole e tanti bei discorsi: “ …Kiev e Leningrado sono fortezze inespugnabili!!! … nessun fascista metterà piede nella fiorente capitale dell’Ucraina… nessuno potrà entrare nella ‘perla del nord’ del nostro paese, Leningrado. Ma oggi la radio ha detto che, dopo diversi giorni di aspra lotta, il nostro esercito si è ritirato da Kiev! Cosa significa tutto questo? Nessuno può saperlo” [5].

Stiamo morendo come mosche a causa della fame, ma ieri Stalin ha dato un’altra cena a Mosca in onore di Eden [6]. Questo è scandaloso. Loro riempiono le loro pance, mentre noi non abbiamo nemmeno un pezzo di pane. Organizzano per i loro ospiti ogni sorta di ricevimento brillante, mentre noi viviamo come uomini delle caverne, come delle talpe cieche” [7].

Vennero poi, per Italia, Germania e Giappone, le sanguinose disfatte di El Alamein, della Tunisia, gli sbarchi in Sicilia e in Normandia e, per il Giappone, le sconfitte su tutti i fronti asiatici e la bomba atomica. E tornò la pace. Il 27 dicembre 2016 il primo ministro giapponese, il conservatore Shinzo Abe, ha visitato Pearl Harbor, nelle Hawaii, a 75 anni di distanza dal famoso e micidiale attacco a sorpresa della Marina Imperiale giapponese alla base militare americana, compiuto il 7 dicembre 1941. Barack Obama a sua volta aveva fatto una visita storica il 27 maggio 2016 a Hiroshima, la città giapponese dove nel 1945 gli americani usarono per la prima volta nella loro storia la bomba atomica.

Ferite profonde che hanno impiegato tre generazioni per cicatrizzare. Chissà perché tutte e due le visite nel giorno 27 del mese…

Note:
[1] Pena restrittiva della libertà personale consistente nell’obbligo di dimorare in un luogo appartato e lontano.
[2] I 900 giorni di assedio di Leningrado, la storia, raccontata dalla Fondazione Lermontov.
[3] Il Diario di Lena Mukhina, diario sull’assedio di Leningrado da parte della Wehrmacht tedesca (1941-1944), cominciò nel Maggio del 1941 e terminò a fine Maggio del 1942, quando riuscì a fuggire da Leningrado.
[4] Id., p. 53.
[5] Id., pp. 115-116.
[6] Era il Ministro degli Esteri britannico del tempo, Anthony Eden.
[7] Id., pp. 187-188.