Ci sono cose che, chi aspira ad entrare in politica, dovrebbe cominciare ad imparare sin dall'inizio. La prima che mi viene in mente (in queste giornate che stanno seguendo la sbornia elettorale europea e il Barnum di dichiarazioni, note e analisi che ne hanno fatto da corollario) è l'assoluto rispetto della regola aurea che dice che è soprattutto l'oblio a cancellare i vecchi nemici, non il menzionarli attaccandoli, quasi a volere esorcizzare il loro ricordo. Lo dico perché è questo quello che sta accadendo su, intorno e magari anche accanto, Umberto Bossi che, pur se malato, pur se incatenato ad un corpo che non lo aiuta, ha fatto sentire la sua voce. E quel che forse è stato un sussurro, poco più che un respiro profondo e rauco (ah, quei maledetti sigari...), si è tramutato in un tuono che ha squassato la Lega, portandola a confrontarsi con la sua storia, riaprendo vecchie ferite e allargando diversità di vedute.

Cos'è che ha fatto o detto Bossi e in cosa gli amici/adoratori/vassalli di un tempo - oggi scopertisi suoi nemici - hanno sbagliato? Lui ha detto (meglio, ha fatto dire) che, non riconoscendosi nella ''nuova'' lega turbosalviniana, questa volta, dopo quarant'anni, avrebbe votato Forza Italia o, meglio, un candidato di Forza Italia, in virtù di vecchie stima e amicizia.
E quelli che un tempo lo idolatravano? Piuttosto che ignorarlo, come si farebbe con l'ultima sparata di un vecchio zio o di un nonno strambo (ne esistono in tutte le famiglie), hanno dilatato la portata del gesto - che resta comunque deflagrante - per reggere lo strascico a chi non vedeva l'ora di giubilare anche la riconoscenza verso il Senatore. Ottenendo l'esatto contrario di quello che si sarebbe fare, cioè lasciare decantare la situazione e cercare di ricucire il rapporto con chi resta comunque il fondatore del Movimento. Ma la polvere della mancanza di gratitudine che circonda la casa di Bossi, a Gemonio, non porta da tempo le impronte dell'attuale direttorio della Lega.

Nel partito, evidentemente, Bossi non si riconosce più, né nel disegno di fare un partito nazionale (una bestemmia per chi credeva e forse crede ancora che di Italia non ce n'è solo una e che la Padania è un progetto, non un'utopia), né nel progressivo e definitivo allontanamento da quella matrice di sinistra che, come un'impronta sulla roccia, ha connotato il movimento, sin dagli albori (''mai con i fascisti!'', disse lui, il Senatore).

Ma questa Lega è evaporata, cedendo il posto a una entità politica diversa che in Europa flirta con la destra estrema e in Italia, dovendosi difendere dalla campagna espansionistica di Fratelli d'Italia, deve aggrapparsi a personaggi politicamente ambigui, che fanno appello ad una postura muscolare, che non è quella della Lega che ''ce l'aveva duro'', ma fa peggio, portando avanti idee che discriminano. Perché la vecchia Lega mai avrebbe bollato come ''non normali'' quelli che hanno orientamenti sessuali non ''ortodossi'' o avrebbe sostenuto che il colore della pelle diventa una discriminante, anche se si è nati in Italia, si è studiato in Italia, magari si è figli di persone che la nostra cittadinanza se la sono conquistata piegando la schiena su un tornio o esercitando professioni.

Lui, il Senatore, nella sua Gemonio, ultima ridotta della Lega dei puri e forti, sembra guardare con distacco, ma chissà anche con quanto dolore, a quel che gli accade attorno, sebbene ormai la distanza che lo separa da quella che era la sua utopica creatura non è segnata solo dai chilometri che dividono la sua casa da via Bellerio. A marcare la distanza è quello che per lui è forse il tradimento di valori che ha portato avanti, non certo per lasciarli alla mercé di chi strizza l'occhio ai neo-nazisti tedeschi.