Classe 1938. Giorgio Fasol è uno dei più importanti collezionisti italiani, particolarmente sensibile al sostegno dell’attività dei giovani artisti. Nel 2010 il MART di Rovereto gli ha dedicato una mostra curata da Giorgio Verzotti con l’intervento straordinario di Hans Ulrich Obrist. Da allora sono seguite diverse mostre dedicate alla collezione AGI Verona di Giorgio Fasol e sua moglie Anna. La più recente è Che il vero possa confutare il falso, con la direzione artistica dell' Associazione FuoriCampo di Siena e la curatela di Luigi Fassi e Alberto Salvadori, all'interno del progetto Itinera, promosso in collaborazione all'Associazione Culturing e il Comune di Siena. Come dicono i curatori la citazione di Lucrezio è la chiave di interpretazione prescelta per le opere in mostra “dove l’investigazione di problemi gnoseologici, l’analisi di memorie pubbliche e private, ma anche la riflessione su temi sociali e politici, trovano espressione mediante un approccio di analisi razionale nelle quali emozioni e passioni divengono parte di un più ampio tentativo dell’arte di comprendere il mondo”. Ho avuto modo di incontrare Giorgio Fasol e porgli qualche domanda su questa mostra e più genericamente sulla sua attività di collezionista.
Come e quando nasce la sua passione per l’arte e la collezione AGI Verona Collection?
Sono sempre stato un collezionista: da bambino collezionavo le figurine dei calciatori, poi giornali, francobolli. Con riferimento all'arte ci sono stati tre momenti significativi del mio percorso. Il primo quando il giorno in cui mi diplomai mi recai nell'unica galleria di Verona perché con i miei risparmi volevo acquistare un Morandi. Non avevo idea dei prezzi pertanto quando la gallerista mi disse un milione e mezzo di lire dovetti rinunciare. Pensi che nel 1958 erano davvero tanti soldi: un impiegato infatti guadagnava 50.000 lire al mese. Il secondo momento significativo fu quando a metà anni '60 io e mia moglie eravamo dentro a una galleria in centro a Verona. Guardavamo una mostra quando qualcuno da dietro ci disse “non dovete guardare le croste ma solo le vere opere!”. Mi giro ed era un tipo che non conoscevo. Cominciammo a parlare. Si trattava di Renzo Sommaruga, un pittore, poeta, scultore, musicista e anche stampatore di libri d'arte. Mi invitò a casa sua e quando arrivai aveva appena finito di stampare un libro di Quasimodo, che conteneva la poesia L'uomo del mio tempo, con in allegato 9 litografie. Le sfogliai, c'erano Gentilini, Cantatore... personaggi che all'epoca erano molto considerati. Sfoglio ancora: Capogrossi. Immediatamente ho visto il nuovo, qualcosa di molto diverso rispetto a quello che ero abituato. Il terzo momento è da collocare alla fine degli anni '60. Con Sommaruga andiamo nello studio di Ajmone, un pittore milanese, in quanto Sommaruga voleva stampare un libro di poesie di Blanchard con 5/6 litografie di Ajmone. Dopo una lunga attesa Ajmone compare con un foglio grande come un A4 con un ovale e tre buchi. Era un Fontana. Ne rimasi folgorato. Fu così che iniziai ad andare a Milano regolarmente per visitare mostre. Visitavamo tutto quello che potevamo. C'era tempo solo per un gelato e un caffè. Avevo sempre il desiderio di comprare un Fontana e l'occasione si presentò con una mostra a Brescia. Fontana era morto da poco e la mostra era bellissima, museale. I pezzi erano uno più bello dell'altro. Chiedo il prezzo dell'opera più piccola: 3.000.000 di lire. Io ne avevo solo uno e gli propongo un contratto in base al quale avrei versato degli acconti fino al saldo dell'importo concordato. E così facemmo. Il gallerista però mi disse “ tu fai bene a prendere Fontana ma io ti faccio vedere un'opera di un giovane artista che sarà altrettanto famoso”. Va in magazzino e prende una tela bianca di 180 x 250 cm circa con delle “S” e con delle frecce nere: era un Kounellis. Non conoscevo l'artista però l'opera era interessantissima, ma avevo appena fatto un notevole debito e ho rinunciato. Negli anni '80 comincio a rivolgermi esclusivamente ai giovani o giovanissimi. Acquistai Arienti, Cattelan, Eva Marisaldi e altri giovani. Per scegliere occorre intuito ma prima di tutto occorre conoscenza. Se non hai conoscenza ti andrà bene una volta ma dieci volte ti andrà male. Se invece hai conoscenza e aggiungi intuito e fortuna allora ci saranno maggiori occasioni di successo. Quando compri un giovane corri sempre un rischio. La mia è una sfida contro il tempo. Ho acquistato nel 1999 Jim Lambie e Adel Abdessemed; Tino Segal nel 2004 quando era ancora giovanissimo. Eravamo andati a Brescia a una mostra da Minini. Appena lo vidi lo considerai il prosieguo di Duchamp: uno aveva messo l'orinatoio, questo non metteva nulla. Solo l'idea, il concetto, andando oltre Duchamp. AGI Verona nasce in occasione della Fiera di Bologna del 1988 quando assieme ad altri 4 collezionisti fummo invitati a presentare ognuno 5 artisti. Non volevamo presentarci con il nostro nome. Nacque così AGI (Anna e Giorgio) Verona (per la città). Costituimmo un'associazione culturale che solo di recente stiamo utilizzando con continuità. La collezione comprende più di 150 opere e negli ultimi 5 anni ha partecipato a 5 mostre.
Ha definito il suo percorso nel mondo dell’arte attraverso tre concetti (ignoranza, consapevolezza e ricerca) che ne hanno rappresentato le fasi. Quanto è importante per un collezionista la passione? Quanto è importante lo spirito di distinzione? Quanto è importante il capitale da poter investire?
Tra tutti questi fattori che ha citato io credo che il più importante sia la passione. Io facevo il commercialista e molti miei clienti mi dicevano “Investiamo in arte!” Io ho sempre risposto “investi dove vuoi ma non in arte perché occorre una certa passione e conoscenza”. Secondo lei chi può venire dietro di me seguendo il percorso che le ho appena raccontato? Uno si ferma alla prima tappa. La mia non è una gara con nessuno. Io voglio arrivare primo con me stesso. Non è una competizione con altri. Sono consapevole di essere un piccolo collezionista perché non ho ingenti risorse finanziarie. Per proseguire nella collezione ogni tanto devo vendere. Ogni volta sono di fronte a un bivio: smetto oppure vendo? Quindi è fuori dubbio che per operare nell'arte occorre un po' di disponibilità finanziaria. Ho un amore particolare per il Fontana che spero di non vendere mai. Ripeto il denaro occorre però quando per esempio mi invitano a parlare nei vari talk dico sempre: perché non comprate la grafica, i multipli? Io ho cominciato da lì e ho un bellissimo Frank Stella. D'altra parte non avevo grosse possibilità economiche e soprattutto all'inizio sono andato su nomi sicuri. Non avevo ancora l'ardire che poi è saltato fuori quando ho iniziato a collezionare giovani. È vero che anche i multipli costano. Tutto ha un prezzo. Anche se devi comprare un gelato devi avere i soldi per poterlo pagare. Occorre una base ma questa è proporzionata alle proprie possibilità. In Italia ci sono almeno 50.000 persone che si definiscono artisti. Io ne considero validi 250 sapendo già che di questi ne rimarranno 4 o 5. Dico allora scegliamo 1 di questi 250.
Quando vai a una fiera, anche se è quella di Basilea, non puoi visitare tutti gli stand. Anche se conosci il gallerista e ti fidi, tra le sue proposte devi scegliere l'artista che tu ritieni migliore e delle opere di questo devi scegliere la migliore. È questo il meccanismo che dovrebbe essere alla base del processo. Vede lì c'è un quadro del '600 l'ho messo lì perché una volta venne un mio cliente (amico tra l'altro) che dopo essersi guardato intorno mi disse “pensavo di avere un commercialista serio finché non ho visto quello che hai attaccato sulle pareti!”. Così misi lì quell'opera e quando ritornò disse “questa è vera arte!” Allora gli chiesi perché fosse vera arte e lui mi rispose “per la precisione con cui era realizzata l'opera”. È allora gli dissi “vedi quello là è catrame (un'opera di Manzoni) e la differenza tra i due è di quattro secoli di storia, questo vuol dire che tu sei indietro di quattro secoli (avevamo una certa confidenza!). Racconto anche questo aneddoto: mi dicono che ci sono delle poesie arabe bellissime ma io non conosco l'arabo quindi come posso comprenderle? Se ho la passione devo mettermi a studiare l'arabo cominciando dall'alfabeto, la grammatica e poi la lettura di articoli, libri, giornali. Ad un certo punto sarò arrivato a poter leggere e comprendere le poesie arabe; così sarò in grado di scegliere il miglior poeta e le sue poesie migliori.
Credo che ci sia una ragione prettamente italiana in base alla quale decidiamo se un'opera è più o meno arte. La ragione sta in due nostri gap, uno positivo e uno negativo. Il positivo è che abbiamo il 65% dell'arte mondiale fino all'800. Noi non ci rendiamo conto del patrimonio che abbiamo perché guardiamo solo il PIL. Non sappiamo valorizzare il patrimonio artistico invidiato da tutto il mondo. Quello negativo è che il grande pubblico non ha possibilità di avvicinarsi all'arte contemporanea. Sono restio al fatto che ogni città debba avere un museo di arte contemporanea perché mi rendo conto che è un costo incredibile. Quindi ritornando alla domanda iniziale, ripeto che il fattore più importante è la passione. È per questo che non sono mai stanco e che mi da una soddisfazione incredibile. Sono in pensione da tre anni e molti mi chiedono “adesso che sei in pensione ti annoi?” La risposta è che oggi ho meno tempo di prima.
C’è qualcosa che un collezionista dovrebbe sempre fare e qualcosa invece che non dovrebbe fare mai?
La cosa che dovrebbe fare è essere sempre informato apprendendo non solo l'arte contemporanea ma anche l'arte antica perché l'arte antica ti aiuta molto a comprendere il presente. Soprattutto la storia dell'arte. Se guardi certi film le cose che diciamo noi adesso le dicevano nel '600 o ancora prima. Quindi la cosa che uno deve sempre fare è essere sempre aggiornato; la cosa da non fare è acquistare solo d'istinto perché ci sono molte probabilità di fare un errore. Io se vedo un'opera che mi colpisce la prendo senza indugi perché ho un bagaglio di 50 anni di esperienza. Sa quanti km abbiamo percorso io e mia moglie? Sa che mia moglie ha visto il centro di Basilea dopo 5 anni che ci andavamo? Arrivavamo in macchina verso le 11, il tempo di parcheggiare e poi subito in fiera fino all'orario di chiusura.
Secondo me il collezionista italiano è più che valido. Ci sono giovani molto più aggiornati di me. Forse dovrei imparare io da loro. Il problema è che si vede più arte di artisti stranieri che di artisti italiani. Ma ci siamo chiesti perché? Secondo me questa situazione è solo minimamente attribuibile ai collezionisti, direi solo un 20%. Per il restante 30% è per me attribuibile agli artisti, un altro 30% ai galleristi e un 20% ai critici e ai curatori. L'artista italiano non ha abbastanza curiosità, ha paura del confronto. Ma se io fossi un artista vorrei confrontarmi con i migliori non con quelli della mia cerchia. Inoltre il gallerista quando propone un artista lo deve difendere, lo deve promuovere e anche spronare ad andare fuori come fanno i genitori con i figli quando raggiungono una certa età. Si dovrebbero tutelare gli artisti dalle aste ricomprandoli ad almeno il 10% in più del prezzo proposto. Io acquisto sempre dal gallerista perché voglio rispettare il meccanismo del sistema dell'arte composto da cinque ingranaggi: l'artista, la galleria, il critico-curatore, i musei, il collezionista. Se acquisto direttamente dall'artista metto in discussione questo sistema. Chi proporrà quell'artista in giro? Anche i curatori hanno le loro colpe: perché non propongono mai artisti italiani all'estero? Ha visto le ultime Biennali di Venezia? Perché non facciamo come le altre nazioni che propongono uno o al massimo due artisti nel padiglione nazionale? Sono consapevole che il mondo dell'arte non è un mondo difficile ma difficilissimo, dove ci sono regole non scritte o le sai e le applichi altrimenti sei spacciato.
Per la mostra Che il vero possa confutare il falso ha scelto insieme ai curatori e gli organizzatori alcune opere della collezione. Pensando però alla sua intera collezione c’è un fil rouge che lega tutte le opere presenti? Quale titolo potrebbe dare alla sua collezione e perché?
Ciò che lega tutte le mie opere è lo “scatto della scintilla”, è il colpo di fulmine. Senza quella scintilla non acquisto opere. Io amo tutte le mie opere anche quelle realizzate da coloro che poi non hanno raggiunto il successo. Per me sono tutte meritevoli e lo dico perché ho creduto in quegli artisti. È per questo che me la prendo con quei galleristi che non credendo fino in fondo nei loro artisti non li promuovono, o i curatori che non li propongono o i musei che non li espongono o i collezionisti che comprano direttamente dagli artisti. Ad un certo punto il sistema non funziona più. La passione dovrebbe ispirare tutti i soggetti che agiscono nel mondo dell'arte e che sono tutti importanti ingranaggi di un sistema. Io acquisto sempre dalla galleria perché con i miei acquisti, piccoli o grandi che siano, lubrifico il motore, il sistema.
L’associazione (AGI Verona) creata da lei e sua moglie si è data come obiettivo la promozione dell’arte contemporanea e dei giovani artisti internazionali. Lo scopo a lungo termine dell’associazione è quello di finanziare l’apertura di uno spazio di fruizione e formazione culturale legato all’arte contemporanea. Molti esperti d’arte guardando a esperienze similari create da collezionisti anche internazionali hanno coniato il neologismo EGOseums per definire i musei nati per accogliere la collezione di un collezionista privato. In altri termini il collezionista contemporaneo non vuole più donare al museo pubblico la propria collezione con il rischio che parte della stessa resti nascosta in un deposito. Non si accontenta più di una targa all’entrata della sala ma vuole il suo museo personale. Nel suo caso e nel progetto che immagina con la sua associazione quanto è vera questa definizione? Nel futuro sarà il privato che farà il pubblico?
Io credo che ci sia la totale mancanza dell'ente pubblico. Ci sono pochi musei interessati ad acquisire una collezione intera perché sono già completamente saturi e non hanno disponibilità. Il motivo per cui nascono i musei privati è perché il pubblico che non funziona. Il museo privato anche se lavora con finanziamenti pubblici non è mai una spesa come quello pubblico. Non vedo una prevaricazione o una competizione, piuttosto manca proprio la competizione. In altre nazioni non importa a nessuno se dietro quella mostra c'è la tale galleria. Qui da noi succede la fine del mondo. A me fa piacere quando mi chiedono di esporre la mia collezione. È normale che lo sia. Mi fa piacere condividere la collezione con il grande pubblico che altrimenti non avrebbe occasione di vedere quelle opere. Vorrei anche che accanto alle mie opere ce ne fossero altre perché mi piace sempre creare occasioni di confronto. È vero che in Italia ci sono grandi collezionisti. Loro sono l'Everest e io sono una collina ma anche da una collina è possibile vedere un bel panorama.