Come afferma Kundera nel romanzo L'insostenibile leggerezza dell'essere, la nostra vita quotidiana è bombardata da coincidenze o, per meglio dire, «da incontri fortuiti tra le persone e gli avvenimenti chiamati coincidenze». E proprio da un incontro che potremmo definire fortuito prende avvio la carriera musicale di Roberto Camisasca, in arte Juri, un autore riservato, schivo, un artista che si è brevemente affacciato alla scena musicale italiana degli anni '70 lasciando un'indissolubile traccia di sé. Il fatidico incontro, così importante e gravido di conseguenze, è quello avvenuto tra lui e Franco Battiato durante il rispettivo servizio di leva.
Proprio il cantautore siciliano, infatti, funge da referente durante il provino di Camisasca presso la storica etichetta Bla Bla di Natale Massara, la stessa che aveva già prodotto i suoi primi due lavori, Fetus (1972) e Pollution (1973). Peppo Delconte descrive così l'avvenimento: «La prima volta che Battiato lo portò negli uffici della Bla Bla io c'ero e mi sono goduto (si fa per dire) la sua prima audizione, in un'atmosfera di eccitazione e insieme di disagio che non posso più dimenticare. Juri Camisasca era un ragazzo dell'hinterland milanese, ma sembrava che Franco l'avesse scovato in capo al mondo. Le sue prime foto promozionali mi fecero pensare a un gatto impaurito (e perciò pericoloso). Aveva 22 anni, ma ne dimostrava anche meno, tanto era timido, impacciato, quasi impreparato al contatto con gli altri. Parlava a sprazzi, con un fare schietto e vagamente sognante. Ma quando imbracciava la chitarra si trasformava: una voce sorprendente, dai toni irruenti e allucinati, per trasportare gli ascoltatori dentro i suoi incubi surreali». Superato brillantemente questo primo esame, il giovane di Melegnano (MI) riceve carta bianca per la realizzazione di un primo album: La finestra dentro.
Il 1974 è per certi versi non solo un anno di sconvolgimenti sociali, ma un anno di transizione. Le prime soffuse atmosfere del pop barocco, quelle che nei primissimi anni del decennio avevano fatto la fortuna di molti gruppi, stanno difatti lasciando il posto ai tanti fermenti dell'universo giovanile che di lì a poco porteranno alla frammentazione del rock progressivo non soltanto italiano. Il lavoro di Juri Camisasca si pone dunque a metà strada fra le sonorità di stampo prog e la disinibita irruenza dei nuovi cantautori, in una intercapedine che sta fra la sperimentazione sonora e la forma canzone, tra un sentito intimismo e la denuncia sociale. Ne risulta un album teso e sofferto, fatto di testi crudi, visionari, a tratti anche onirici e persino kafkiani, e di una musica che, a volte scarna a volte complessa, fa da ideale sottofondo a una voce che sembra veicolare l'angoscia e il disincanto di tutta una generazione.
Il brano d'apertura, Un galantuomo, lascia subito intuire quale sia il potenziale di un disco il cui aspro esistenzialismo non conosce paragoni diretti, quanto meno in Italia; la musica è angosciosa, in alcuni punti dissonante, con un testo che racconta dell'ossessione di un uomo nei confronti dei topi (con molta probabilità simbolo e manifestazione del suo invincibile negativismo), un tormento che lo porterà inesorabilmente verso l'autodistruzione. Il tema del disagio esistenziale che si fa malessere e patologia è ripreso dal brano successivo, Ho un grande vuoto nella testa, mentre la musica stavolta è più leggera, quasi sognante, laddove la struttura armonica del pianoforte viene contrappuntata per brevi tratti dalle note di un violoncello.
Metamorfosi, compatibilmente al titolo, è una personalissima riduzione in musica del celebre racconto di Franz Kafka, e forse il brano più allucinato dell'intero disco: «Un fastidioso ronzio mi sveglia. Sono due ali di seta sbocciate stanotte sulla mia schiena. Faccio per muovere le gambe, le guardo, sono tante, sono mille zampette che si muovono velocemente intorno al mio corpo ovale». Scavando col badile, dove l'influenza prog si fa più marcata - complice anche una ensemble d'occasione che, tra gli altri, oltre allo stesso Camisasca, comprende Gianfranco D'Adda alla batteria, Gianni Mocchetti al basso e Battiato al sintetizzatore VCS3 - è una favola deviante e claustrofobica che si trasforma presto in una visione spaventosa, un incubo dal quale non sembra esserci alcuna via di scampo; il protagonista di questa ennesima tormentatissima canzone si ritrova di colpo al centro della terra, in una sorta d'inferno in cui gli uomini sono completamente sottomessi al regno animale, e qui, dentro la voragine, rimane bloccato proprio nel momento in cui tenta di far ritorno nel suo mondo.
John, giocata sul continuo alternarsi di suggestive atmosfere acustiche ed elettroniche, narra dell'incontro grottesco e addolorato con un amico inaspettatamente scoperto nei panni di un transessuale costretto alla prostituzione. Un fiume di luce è il momento più pacato dell'album, una breve divagazione visionaria e surreale che dona qualche bagliore a un disco altrimenti inquieto e inquietante. Il brano di chiusura, Il regno dell'Eden, è invece un lungo farneticamento mistico senza soluzione di continuità, un delirio di elettronica e drammaticità in cui la voce di Camisasca racconta di una folle immedesimazione col divino, sino agli attimi finali di totale pazzia in cui ai cori e alle saltuarie note del pianoforte si mescola un canto infantile che mette a disagio e affascina allo stesso tempo. Un lavoro unico, irripetibile, un viaggio coraggioso e senza ritorno nei labirinti dell'Unbewußt, dell'inconscio, di una psiche lacerata e mai più redenta.
Una doverosa nota di merito va ai due singoli apparsi l'anno dopo sempre per la Bla Bla, La musica muore e Himalaya, inaspettatamente melodica e grintosa la prima, più sperimentale e sfuggente la seconda, entrambe fascinose, ammalianti e inclassificabili come le sette tracce che fanno parte dell'album. Dopo questi due lampi discografici, però, più nulla: nello stesso anno, dopo una breve partecipazione al progetto del Telaio Magnetico, Juri Camisasca si ritirerà in un monastero di frati benedettini rimanendovi per undici lunghissimi anni durante i quali collaborerà saltuariamente con alcuni artisti d'avanguardia, tra cui lo stesso Battiato e Lino Capra Vaccina per le registrazioni dell'album Antico adagio.