Chi?
Tra il Re e la Sibilla Cumana.
Che cosa?
La sibilla Cumana è interpellata dal Re.
Perché?
Il Re chiede alla Sibilla il motivo per cui l’amuleto magico non ha funzionato.
Quando?
Nell’antica Roma.
Dove?
Nella cripta dell’Antro della Sibilla Cumana.
Il sole digradava sul panorama di Cuma sulla parte orientale del territorio di Posillipo. In poche ore, la notte l’avrebbe ammantata nelle incerte ombre buie. Attraverso lo spazio rado della pianura - una grossa nube di polvere - si dirigeva in maniera frettolosa in direzione dei Campi Flegrei, verso il tempio sacro dell’Antro della Sibilla:
1- La Sibilla Cumana romana;
2- L’oracolo di Apollo;
3- Il filo conduttore tra le divinità e gli uomini.
Quella lunga nube di polvere che procedeva con celere velocità era provocata da una fila di pretoriani a cavallo. In testa alla fila c’era il monarca Tiberio. Dietro a lui tutti i pretoriani della sua scorta. Il sovrano Tiberio, preoccupato per le precarie condizioni del figlio, voleva consultare la Sibilla Cumana. Quando entrò nel tempio, tuonò energico: “devo consultare la Sibilla Cumana. Voglio essere condotto da lei: adesso; subito!”
Tutti gli uomini presenti nella vasta sala, religiosi e semplici pellegrini, guardarono in volto il sovrano Tiberio. Tutti lo riconobbero. Tutti compresero le urgenti ragioni celate nella brusca richiesta. Perciò nessuno dei presenti reputò opportuno opporsi a tale pretesa. Un uomo di culto - un sacerdote del tempio - condusse Tiberio verso una lunga scalinata di pietra che conduceva a una cripta sotterranea. All’interno la Sibilla Cumana era raccolta in ascetica contemplazione. Dal soffitto pendevano molte lanterne a forma di vasi traforati, che proiettavano sulle pareti, un curioso gioco di luci e di ombre come cento soli a mezzogiorno. Tutto nella cripta aveva quattro ombre intorno. Le stesse che si formano durante le eclissi solari. Le stesse che rimpiccioliscono il pavimento e allargano le pareti.
Tiberio si avvicinò alla profetessa. La sacerdotessa girò il capo verso di lui e lo salutò:
“Ave a te Re Tiberio”.
“Re Tiberio ti saluta sacerdotessa di Apollo”.
La Sibilla Cumana unì le mani e replicò:
“Molti anni sono trascorsi dall’ultima volta che ti vidi”.
Tiberio la guardò con gli occhi del passato. Un doloroso ricordo ebbe presa su di lui in una dimensione da sogni ad occhi aperti. Quindi proferì:
“Pressappoco vent’anni!”
“Se non ricordo male in quell’occasione parlammo degli strani eventi, legati alla nascita di tuo figlio!”
“Ricordi bene Sibilla Cumana!”
“Ti detti un amuleto quella volta!”
“Sì... e per ben due volte l’ha salvato da una morte certa!”
E con le lacrime che gli bagnavano il viso aggiunse:
“È stato pugnalato ieri sera. Versa in condizioni sempre peggiori e a poco a poco, la sua ferita all’addome butta via dal corpo vitalità. Pochi giorni ancora e perirà per mancanza di sangue”. Dopo quel resoconto ci fu un placido ovattato silenzio. Alla fine la Sibilla Cumana, con un’azione notevolmente plateale, capovolse le pupille all’insù ed esibì il bianco degli occhi emettendo dei rantoli monotoni con voce bassa e roca. Quando, dopo un lungo intervallo, la Sibilla tornò in lei squadrò il sovrano e gli chiese:
“Ma l’amuleto magico non l’ha protetto?”
“No: ieri sera no!”
La Sibilla abbassò le palpebre degli occhi e proferì ancora:
“Se in passato ha funzionato per ben due volte...”
Indugiò rimuginando sull’accaduto:
“...perché ieri sera non ha operato la sua magia?”
Il sovrano non replicò, non sapeva cosa dire.
“Qual è la differenza tra ieri sera e le altre due volte?”
Il sovrano non rispose nemmeno quella volta.
“Come sono avvenuti i tre tentativi?”
“La prima volta un sicario ha tentato di ucciderlo con una freccia, ma accecato dal sole riflesso dall’amuleto l’ha mancato”.
“La seconda volta, invece?”, domandò la Sibilla.
“Un altro sicario ha tentato con una fionda, ma il metallo dell’amuleto l’ha protetto dal sasso come uno scudo”.
“E ieri sera, invece?”
“La sua guardia pretoriana, a quanto crediamo, l’ha pugnalato ferendolo!”
La Sibilla Cumana riaprì gli occhi e gli domandò:
“Ce l’hai qui quel pugnale?”
“Certo!”
“Dammelo, allora, voglio esaminarlo!”
Il sovrano infilò il braccio sotto la clamide e ne estrasse il pugnale. Lo dette alla Sibilla, che lo studiò in modo molto accurato. Sul metallo della lunga lama era raffigurata un’aquila. L’aquila aveva:
1- Gli occhi di diamanti;
2- Dei fulmini tra gli artigli.
L’aquila si lanciava nel vuoto per ghermire una lepre.
“L’Aquila è l’animale prediletto dal sommo Giove!”
Disse la Sibilla Cumana che aggiunse:
“È la portatrice dei fulmini di Giove. Non credo che sia una coincidenza”.
Perciò continuò:
“Giove è all’origine di tutta questa faccenda!”
Tiberio annuì a quelle parole e con tono secco domandò:
“Se fosse vero, allora, il pugnale rappresenta il fulmine di Giove, no?”
“Già!”, rispose laconica la Sibilla.
“Quindi...”
Riprese la Sibilla Cumana:
“...il coltello deve avere una magia”.
“Questo spiegherebbe molte cose!”
“Spiegherebbe perché la ferita continua a sanguinare senza sosta!”
La Sibilla Cumana guardò il pugnale di cui si parlava. Il sovrano si fece scuro in volto e inspirò tutto il fiato che aveva trattenuto:
“Ma perché Giove vuole la morte di mio figlio?”
“Non so rispondere a questa domanda!”
Tiberio - meditabondo - pensò e ripensò a tutta quella faccenda:
“E allora, io che cosa dovrei fare?”
“Due cose!”, disse con risolutezza la Sibilla Cumana:
“Buttare il pugnale dentro il Vesuvio!”
“E perché?”
“Per sciogliere l’incantesimo!”
“E la seconda cosa?”
“Sperare che non sia troppo tardi!”
Il cavallo di Tiberio lanciato al galoppo, filava rapido verso il Vesuvio di Posillipo. I rumori martellanti degli zoccoli - nei flebili raggi del giorno quasi finito - sembravano tuoni assordanti. Le parole della Sibilla Cumana si ripetevano nella testa di Tiberio come un disco rotto. Iniziarono a scorrere dentro di lui, come un fiume implacabile che nuota dentro i pensieri. Il sovrano continuò la forsennata corsa, infine, giunse davanti a un enorme vulcano. Era il Vesuvio. Lo fissò incantato nello strano silenzio che gravava su tutta la zona.
Un’immensa nuvola di fumo usciva dal cratere in volute incandescenti. Una fitta foschia appestava l’intero luogo. Tiberio smontò da cavallo. Il più velocemente possibile si precipitò verso la vetta del vulcano. Quando giunse sulla sommità, osservò l’antro buio del vulcano. Le dense colonne di vapore - senza forma e senza colore - salivano verso il cielo divenuto ormai quasi buio. Tiberio si frugò sotto la clamide ed estrasse il coltello:
“Giove, eccolo, il tuo diabolico strumento!”
Alzò il coltello al cielo. Gli occhi di diamanti dell’aquila brillarono. Tiberio spostò la mano in direzione dell’immenso cratere. Stava per gettarlo dentro. Un tremore scosse per un istante l’imperturbabilità della terra. Il monarca urlò al cielo:
“Ti avverto Giove: lascia stare mio figlio!”
Tiberio aprì la mano. Il pugnale cadde dentro il vulcano.
“Lascia stare mio figlio!” ripeté mentre con lo sguardo seguiva il pugnale cadere inghiottito nella cavità.
Anteprima tratto dal romanzo Il principe e l’Amuleto magico