Ci sono tempi in cui possiamo godere i frutti di ciò che fu piantato con lacrime e sangue dai nostri padri e tempi in cui tocca a noi seminare con fatica e pazienza. Sono periodi di transizione dove cambiamenti epocali sconvolgono equilibri che sembravano stabiliti per sempre e rimettono in discussione conquiste che sembravano oramai acquisite per le generazioni future. Dopo due funesti conflitti mondiali con stragi inimmaginabili compiute nel nome di terribili ideologie, sembrava che la vecchia Europa, culla della civiltà, resa saggia ed accorta dagli errori compiuti e dall'alto di una cultura millenaria si fosse stabilmente posta alla guida di un nuovo rinascimento di pace e di tolleranza. Associazioni pompose con nomi rassicuranti sembravano tutelare diritti naturali indiscutibili e concetti come collaborazione solidarietà e fratellanza sembravano moloch inattaccabili. Un vento inarrestabile di progresso umano e civile faceva garrire le bandiere di un Europa finalmente unita e benedetta dall'inno alla Gioia di Schiller preso in prestito dalla nona sinfonia di un perplesso Beethoven.
Infatti, il povero compositore si sarebbe sicuramente strappato la celebre criniera leonina se avesse potuto assistere alle miserabili figure che l'organizzazione da lui involontariamente patrocinata sarebbe andata collezionando, dopo qualche decennio di illusioni e fanfare, in occasione del crollo dell' ex Yugoslavia prima e delle grandi ondate migratorie dell’inizio XXI secolo poi. Perché gli ideali salottieri degli eleganti burocrati che avevano concepito quelle istituzioni, e le politiche economiche degli stati che li promuovevano, potevano reggere a malapena la sfida di un mondo postindustriale con inerzia da motore a scoppio e non avevano fatto i conti con la globalizzazione, la rivoluzione informatica che una rete social -cibernetica aveva messo in moto alla velocità della luce. Infatti, fu soprattutto grazie a internet che masse umane, a sud e ad est del Mediterraneo, vennero rese edotte riguardo l' esistenza di un mondo opulento e tollerante, dove tutto era permesso e che poteva essere raggiunto in modo relativamente facile e veloce incrementando a dismisura il numero dei migranti che aspiravano a migliorare le condizioni di vita per sé e per i propri cari.
Poi, nel decennio seguente e fino ai giorni nostri, si assiste alla comparsa di un incubo che nemmeno gli scenari di fantapolitica più foschi e deliranti avevano previsto: l' integralismo islamico e il terrorismo internazionale che da esso nasce e che proprio grazie alla Rete cresce e si organizza innescando conflitti che accelerano un esodo che, se prima aveva moventi economici che potevano anche essere messi in discussione, ora preme con l'urgenza della vita o della morte di chi fugge e che non può e non deve essere respinto se non rinnegando gli stessi principi fondanti dell'Europa.
Questa migrazione coinvolge milioni di uomini e, che lo si voglia o no, è inarrestabile e si verificherà comunque aggirando muri, reticolati o mari che la geografia o le scomposte isterie delle nazioni oppongono per arginarla. In questo drammatico scenario assistiamo attoniti alle quotidiane assurde tragedie di chi fugge per mare e per terra spesso senza alcun criterio affrontando viaggi disperati con poche o nulle probabilità di salvezza.
Tra le innumerevoli storie nate attorno a questo tema di stringente attualità spicca quella narrata nel racconto Ismail e il grande coccodrillo del mare di Costanza Savini. L'autrice permea di realismo magico, essenza della sua poetica, una vicenda che altrimenti rimarrebbe tragicamente anonima persa tra altre mille, e ce ne offre una lettura diversa fornendo così un senso ed una valenza iniziatica al viaggio di questo piccolo Ulisse dei nostri giorni.
Ismail, così si chiama il protagonista di questa favola contemporanea, lo scopriamo su uno di quei barconi di disperati che affrontano il mare con impeto demente e si trova, piccolo come è, ad essere incolpevole dispensatore di un terribile destino di morte ad una fanciullina che, durante una tempesta, la sorte gli getta tra le mani e che lui si lascia sfuggire. Quelle sue mani col segno magico che le contraddistingue non hanno la forza di salvare quella piccola vita e così il rimorso lo segnerà per sempre. Lo seguiamo poi nell'incontro con una strana Circe, donna - madre- strega, prima che la carretta del mare giunga nella terra di lestrigoni e ciclopi in divisa da poliziotti da cui sfugge a fatica. Poi un treno, una tenda meravigliosa, bolla di luce nella notte, dove incontra altri piccoli fuggiaschi come lui salvati da una grande Magia: l'eterna Magia del Circo.
Alla fine egli, come l'Ismaele di Melville, sopravvive alla furia del Leviatano per raccontare la sua storia e come Odisseo scopre la nostalgia nel suo profondo significato ancestrale di nostos -algos, il dolore per il ritorno inteso qui come l'aspirazione a una magica riconquista della indimenticata Terra-madre.