A molti dei graffitari le città imbrattate sembrano belle, ci vivono volentieri. Il che rende la questione ancora più complicata.
Che ai graffitari piaccia imbrattare è lampante, che il loro desiderio di eternità, elevato all’ennesima potenza, sia del tipo che fa incidere cuori infranti sulle cortecce e sulle statue, così piangono pure gli alberi, i marmi e mal comune mezzo gaudio, fosse molto accentuato, anche. Poi naturalmente ci sono tutte le materie di indagine di decine di università riunite: il disagio sociale, la mancanza di prospettive, l’emarginazione, le famiglie che non danno risposte, cioè quasi tutte, i troppi insegnanti che insegnano solo la propria frustrazione, l’integrazione difficile, la tragedia delle periferie, la perdizione innata di alcuni. Tutti fattori che non perdono importanza né vanno in prescrizione solo perché sono risaputi ed è noioso rielencarli. Ma che il godimento nel rimirare le proprie opere notturne fosse estetico e non trasgressivo da vandalo “impegnato” o da vandalo tout court rende davvero la questione ancora più complicata.
Il sospetto era già venuto nel vedere le stanze da letto dei graffitari a casa di mamma e papà, molti infatti hanno meno di venticinque anni e vivono con i genitori: pareti e mobili ricoperte di scritte, tag (la firma dell’autore), slogan e ghirigori, ma uno di loro H.K., attivo da tempo a Firenze, ben conosciuto dalle forze dell’ordine e colto sul fatto, eppure sempre a piede e bomboletta spray liberi, nonostante straziare di vernice la città sia un reato, parla e conferma: “Siamo decoratori, amiamo il colore. Il problema è vostro, se avete gusti diversi”. De gustibus non est disputandum.
Infatti non è disputandum e il problema è nostro perché siamo costretti a sciropparci le manate di vernice sulle ringhiere, gli scarabocchi sui muri, sulle saracinesche e sui monumenti, a subire terremoti della nostra identità culturale che attinge di continuo alla bellezza nella quale siamo nati, una bellezza che per un italiano è fondante.
Certo l’aggettivo culturale è un po’ desueto laddove si governa. “La classe politica italiana non è molto acculturata - spiega deciso e amabile, come da cognome, Andrea Amato, presidente di Associazione nazionale antigraffiti Retake Milano che è guardata da tutta Italia come un esempio positivo di concepire il territorio, anche se a Roma, sennò che capitale sarebbe, il gruppo di volontari è il più folto del Paese -. E senza la cultura non è comprensibile quello che facciamo”. L’amministratore comunale pensa il “ripulitore” un concorrente e si chiede smarrito: cerca consensi? Vorrà fare il politico? Mi soffierà la poltrona (peraltro spesso imbrattata dalla pittura trasparente dell’incapacità e della slealtà)? Amato racconta anche lo stupore del passante che li guarda e si domanda: a questi chi glielo fa fare?
Glielo fa fare l’idea che la strada sia un’abitazione collettiva, glielo fa fare la convinzione “che degrado chiama degrado, che reagire serve, che pulire serve”. Amato spiega che “Retake è apolitica, crede nel principio di sussidiarietà e chiede che l’amministrazione comunale si metta a disposizione del cittadino se questo vuole fare qualcosa. Noi siamo cittadini normali, l’importante sarebbe che tutti i cittadini normali si rendessero conto di quello che abbiamo, non solo come patrimonio artistico. Ci sono anche i parchi, le scuole, le stazioni del metrò, le pensiline degli autobus. E le prigioni. Retake ha progetti perfino per la riqualificazione del carcere di San Vittore, “è in centro a Milano, non si può fare finta che non esista”. A proposito di galera: imbrattare è un reato, articolo 639 del Codice Penale. Sono previste ammende e reclusione fino a un anno nei casi più gravi. Previste.
I volontari sono instancabili, c’è perfino una formidabile nonna dai capelli rossi che porta sul campo le nipotine, una specie di Libertà che guida il popolo in tuta da lavoro che alleva le pasionarie di domani, e certo non sono maniaci della casalinghitudine su vasta scala, ma persone ben consapevoli dell’importanza di contrastare un fenomeno che è dannoso per i conti e la salute pubblica. Pulire un metro di muro costa 15 euro, ripulire l’Italia ogni anno costa 800 milioni di euro e i graffitari usano anche un acido cancerogeno mentre gli anti-graffitari stanno utilizzando una vernice che purifica l’aria, usata all’estero negli ospedali. “L’unico elemento che ci vuole per diventare un volontario è l’amore per la propria terra dalla Sicilia al Trentino Alto Adige. Ed io sono molto soddisfatto di incasellare tutte queste positive energie nella casella giusta”.
Affinché non ci siano equivoci Amato chiarisce che la Street Art non c’entra niente con il vandalismo e che nessuno vuole soffocare l’estro: “Se esiste l’autorizzazione, si possono dipingere tutti i muri del mondo, senza nascondersi”. Allora, forse, si potrebbe parlare di gusti. E, soprattutto, evitare che un treno falci un ragazzo. Accade. L’ultima volta è accaduto la sera del 13 aprile, scalo ferroviario di Greco Pirelli, Milano.