Da quando ho iniziato a interessarmi di arte contemporanea ho sempre letto e sentito parlare di “fine della pittura”, in particolare di quella di tipo realistico o iper-realistico in quanto soppiantata dalla fotografia. Per questa ragione ogni volta che vedo dei quadri iper-realistici di grande qualità penso a quei critici e curatori che sono soliti giudicare prima ancora di vedere e sorrido! Ne è un esempio la pratica artistica dello spagnolo Kepa Garraza.
Molto conosciuto in Europa per i suoi dipinti raffiguranti le gesta di un immaginario gruppo di terroristi conosciuti con il nome di IBDA (International Brigades for the Destruction of Art) Garraza utilizza un mezzo tradizionale come la pittura ad olio per dare voce all’idea estremistica e rivoluzionaria di distruzione del mondo dell’arte contemporanea dominato dal mercato e da una logica economica. I suoi progetti risultano molto interessanti anche perché concepiti come veri e propri work in progress sviluppati negli anni e comprendenti diversi lavori.
Il suo ultimo progetto This is the end of the world as you know it è iniziato nel 2013 ed è tuttora in fase di sviluppo. Utilizzando le parole dell’autore è “una narrazione composta da diverse scene, presentate in ordine cronologico, in modo tale da creare una storia che ci mostra un futuro distopico. Una sorta di utopia negativa, una conseguenza futura della società moderna i cui risultati sono completamente indesiderabili. Questo progetto vuole riflettere sulla crisi economica e sulle sue conseguenze sociali. Tenta inoltre di mostrare la percezione costante che non ci sia nessun futuro così come emerge nelle società contemporanee”.
Ho avuto modo di incontrare Kepa Garraza a Barcellona in occasione della sua personale alla Galeria Vitor Lope per parlare con lui di questo nuovo progetto, della sua pratica artistica e dei progetti futuri.
Puoi parlarmi del tuo nuovo progetto e di questi nuovi lavori?
Questo nuovo progetto è direttamente ispirato alla fantascienza, in particolar modo a quei film catastrofici e apocalittici molto in voga negli ultimi anni. Basandomi su questo genere, ho cercato di creare un progetto che prendesse in prestito alcune caratteristiche dal linguaggio utilizzato nei film su disastri contemporanei mescolandolo a dipinti storici e linguaggio giornalistico. Potrebbe sembrare confuso, ma la mia intenzione è riflettere sulla rilevanza della pittura oggi e per questo motivo contrappongo i linguaggi tradizionali della pittura con l’estetica propria dei film o della televisione. È un modo per reinventare il medium, estremizzandolo non proprio da un punto di vista tecnico ma puramente concettuale.
Un’altra chiave di lettura di questo progetto è la capacità di riflettere sulla grande quantità di immagini alle quali siamo sottoposti con la difficoltà di distinguere ciò che è reale da ciò che è finzione. In questo senso mi viene in mente la lezione del sociologo francese Baudrillard che parlava di una proliferazione di immagini e segni simbolici che simulano la realtà banalizzandola e addirittura annullandola allo stesso tempo. Per lui il mondo contemporaneo è una serie di pseudo eventi fortemente spettacolari rispetto ai quali l’osservatore prova soltanto emozioni a tempo determinato come quando vediamo un film. Cosa ne pensi di questa chiave di lettura e come l’hai sviluppata nella tua carriera artistica?
Naturalmente, come artista nato nel 1979, sono cresciuto nella cultura postmodernista e ho vissuto tutta la mia vita sotto l’influenza della società dello spettacolo e dei suoi simboli. Personalmente penso che stiamo raggiungendo il limite dello sviluppo dell’estetica dello spettacolo. Guarda come si è assottigliato il confine tra linguaggio giornalistico e cinema hollywoodiano. L’imposizione della cultura dello spettacolo e la crescente modalità virtuale di consumo di informazioni sembra che sia irreversibile. Ad ogni modo non credo che questo sia un aspetto negativo del periodo storico nel quale viviamo. La capacità del moderno osservatore di non fidarsi dei mass media sembra produrre nuovi campi per il pensiero critico e forse anche per un effettivo cambiamento sociale.
This is the end of the world has you know it (and I feel fine) è una canzone dei R.E.M. della fine degli anni ’80, un periodo storico ricco di grandi cambiamenti come per esempio la fine della guerra fredda, la caduta del muro di Berlino e così via. Secondo te viviamo in un mondo con cambiamenti simili? Quali parole chiave di questi cambiamenti hai incluso nelle tue opere?
La canzone dei R.E.M. fu composta nel 1987 e simboleggia un’epoca di cambiamenti per il mondo intero. Ero solo un bambino quando la cortina di ferro fu abbattuta ma mi ricordo che era l’inizio di un periodo di ottimismo per tutti, forse più per l’Occidente. Questo senso di ottimismo è rimasto per molti anni fino all’11 settembre 2001. Da allora il mondo è cambiato completamente e sembra che i cambiamenti più grandi debbano ancora arrivare. Sembra che ci troviamo all’inizio della fine dell’egemonia americana sul mondo e questo potrebbe aprire un periodo di violenza senza precedenti nei prossimi anni. Il mondo sta cambiando a una velocità che non ha mai fatto e questo è il bello di vivere in questo momento. Questo è il motivo per il quale nei miei lavori come artista provo a riflettere sul periodo che stiamo vivendo e anche a essere consapevole di come il mondo stia cambiando velocemente, provando a partecipare attivamente a questo cambiamento (anche se solo attraverso i miei quadri).
Ho parlato di “fine della pittura” spesso predetta da alcuni critici d’arte. Come e quando nasce e si sviluppa negli anni la tua passione per la pittura?
La mia passione per la pittura è iniziata relativamente tardi. Inizialmente ero più interessato al linguaggio cinematografico ma un po’ per volta ho iniziato a essere ossessionato dalla pittura e dai suoi codici linguistici. Sono sempre stato interessato al realismo ma non da un punto di vista meramente tecnico quanto per le sue potenzialità come linguaggio espressivo. Credo che la pittura sia ancora arte a tutti gli effetti, capace di appassionare il pubblico con una speciale magia che chiaramente la differenzia dalla fotografia. Negli anni ho tentato di padroneggiare la tecnica in un modo preciso così da essere molto più efficiente quando sistemo e risolvo le cose che mi interessano. A ogni modo non sono ossessionato dalla tecnica e non sono interessato alla pittura che parla solo di se stessa. Per me il pittore moderno (così come ogni artista) deve essere in contatto con la realtà nella quale vive, senza scuse per evitare questo. La pittura come elemento decorativo è una perdita di tempo.
In molte tue opere ritroviamo il tema della rivoluzione, della sovversione… cosa rappresentano questi concetti per te?
Sono sempre stato affascinato dalla storia e di come si ripete ogni volta di nuovo. Il concetto di rivoluzione è relativamente recente in termini di storia ma negli ultimi 300 anni sembra essere diventato uno dei fattori chiave del cambiamento sociale, forse allo stesso modo di guerre e sviluppi scientifici. In questo momento sia l’idea di rivoluzione sia le ideologie di estrema sinistra sembrano risorgere da un periodo di dominio imposto dal capitalismo liberale. E la cosa più interessante è che questi concetti sono mutevoli in un modo più piccolo e più veloce rispetto al sistema capitalistico. È per questo motivo che sono interessato al concetto di rivoluzione non solo come qualcosa del passato ma come elemento che aiuterà a dare forma al futuro.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Il mio nuovo progetto è una revisione contemporanea del concetto di pittura storica. Prenderà in considerazione momenti storici importanti dall’11 settembre ai giorni nostri. Sarà sempre qualcosa tra la finzione e la realtà. Non posso dire di più.