Se una sua opera gli sembra un errore la paragona a qualcosa di un altro artista che non stima. Sembra di vederlo nel suo studio, storcere il naso davanti a un infortunio artistico e pensare: mamma mia ho fatto un… (ognuno ci metta il nome che vuole). “C’è chi sbaglia di più, c’è chi sbaglia di meno”. Con autocritica e critica, ma senza astio perché Renato Flenghi, allievo di Toti Scialoja, e a questa discendenza tiene molto, è bendisposto verso il mondo e i suoi abitanti. Per esempio gli piace sentire il suono delle pallonate dei bambini che giocano a calcio, anche alle tre del pomeriggio d’estate in un paese siciliano, quando tutti vorrebbero zittirli. E’ che lui da piccolo ha avuto una vita libera all’aperto e, forse, nelle pallonate e nelle grida un po’ la ritrova. Oltre a sentire, in quello che per altri è un gran baccano, il ritmo delle stagioni, della vita.
Uomo affabile, dolce, parla subito, ma con poche parole che gli bastano tuttavia ad avvolgerti nella sua atmosfera, come fa con lo spazio, la materia e la forma per creare, ha scritto Christian Spiti nel catalogo di un’esposizione, “non-luoghi carichi di pathos, di mitologia, di storia, di romanità”. “Sono stato felice ogni volta che il gesto ha preceduto il pensiero” è l’eredità del suo maestro Toti Scialoja, artista poliedrico che ha attraversato mille correnti. Forse non c’entra niente con la chiacchierata, ma è un concetto che aleggia nell’aria.
Siamo in Sicilia. Com’è?
In Sicilia una giornata è piena anche se non succede niente. C’è tutta un’altra cultura del tempo e la gente non è mai tesa. L’isola non è stata contaminata culturalmente. Nel tempio di Ercole a Tindari capisci la profondità del pensiero degli antichi, per il posto scelto, per come ti senti. E poi i colori. Un incanto cromatico.
Scultore, modella il fil di ferro, lavora la carta, il piombo. La pittura?
Sono stato pittore e ho voglia di tornare a dipingere perché la bidimensionalità è una grande dimensione e riporta alla struttura del pensiero: sì o no. Con il fil di ferro ho cominciato sette/otto anni fa, ripensando ai giochi di bambino.
Non si diventa artista, un giorno. Forse c’è un giorno in cui si decide di esprimere quel che si è. Come ha cominciato?
Si comincia sempre perché si è un po’ visionari. Nella mia infanzia in campagna, vicino a Roma, ho avuto la possibilità di osservare. La natura è fondamentale per tutti gli artisti. Si osservano i ragni, gli alberi, la terra arata. In Giotto, in Piero della Francesca c’è tanta natura. L’asinello, l’alberello. Res nullius, una mia opera del 2010, è un orto di piombo di ottanta elementi su quattro metri per quattro, esposto in un campo su un piano inclinato, una coltivazione della forma, con semi e germogli. Ancora natura. Res nullius, la cosa di nessuno, che nel non appartenere diventa universale e infinita.
La natura. Poi?
Mi interessa la ricerca sul ricordo, far riemergere i ricordi delle persone. E il tempo, una tensione che dura l’ora solare. Infatti le ombre hanno molta importanza per me. Lo sfumare di una giornata nella sera, le ombre, il cicalio.
I suoi riferimenti?
Sono sempre stato attratto dall’arte povera che trovo molto attuale. Mi piace anche il Concettuale. Un po’ meno gli americani. Nell’arte povera c’è tanto di italiano.
Ama mettersi in mostra?
Io lavoro sempre, non mi preoccupo di fare mostre. Quando mi propongono di esporre o dico di no o prendo un progetto vecchio e lo rielaboro. Certo, la mostra è bella perché c’è il contatto con l’osservatore, ma io lavoro quando mi va. Il pensiero è sempre là, mi piace interrogare le persone. Mi piacciono molto le installazioni. C’è la musica, la luce. Per Rileggere l’Eneide, partendo dalla traduzione di Vittorio Sermonti, c’era la luce riflessa sull’acqua, forme di barche, di nuvole, di armi in un gioco di proiezioni che restituiva le suggestioni letterarie.
E’ professore in un liceo artistico di Pomezia, l’antica Lavinium dove sbarcò Enea…
L’insegnamento è una sorgente di modernità. Io prendo solo le prime e le seconde classi. Non ho venticinque studenti, ma venticinque assistenti con i quali affronto progetti diversi: quest’anno abbiamo messo in scena Aspettando Godot, creando i plastici, le scenografie, i costumi. Un testo dalla contemporaneità affascinante.
E adesso che cosa sta facendo?
Ho letto il canto del Paradiso con Dante e Beatrice sulla luna e mi ha ispirato. Siamo nel 1300 e c’è una descrizione del miraggio tanto vicina a noi. Sto lavorando con pellicole trasparenti, oli trasparenti, all’immagine della luna.
Basta con l’Inferno, dunque, che di solito è molto più frequentato.