C'è un essere che da tempi immemorabili "viaggia su sentieri di luce" recando agli dèi i messaggi degli uomini, e il cui colore ambrato, unito alla lucentezza dorata della sostanza che produce, lo ha reso simbolo solare nell’antico Egitto. Eppure in tempi ancora più antichi, la cera che produce veniva usata nei rituali sacri ed era elemento fondamentale nella preparazione dei defunti per preservarli dalla corruzione della morte. La mitologia greca narra che Rea, per sottrarre il suo ultimogenito, il piccolo Zeus, all'atroce destino di tutti i figli di Crono, lo nascose in una grotta del monte Dikte, nell'isola di Creta, ove fu nutrito con il latte e col miele che gli recava Melissa, figlia del mitico re Melisseus che fu, a quanto sembra, il primo uomo a offrire sacrifici agli dei.
Questo essere luminoso di cui stiamo parlando è l'Apis Mellifera, parola mutuata al latino dall’accadico, lingua di matrice assirobabilonese: Apù stava a indicare, infatti, “punta” o “spina”. L’ape è uno dei simboli del Redentore, poiché come Cristo è misericordiosa in quanto dona il suo miele, ma allo stesso tempo in un modo del tutto suo “amministra la giustizia” attraverso il suo stiletto dentellato che funziona come un vero e proprio arpione. Ma andando in giro può capitare di trovare ancora questa iscrizione: Il miele non si vende, ma lo si dona, perché non è nostro ma delle api. Così nelle comunità monastiche, come in tutte le antiche comunità iniziatiche, le api erano allevate per il miele e per la cera da cui si ricavavano le candele, ma anche venerate per l’industriosità e l'abilità con cui edificavano i loro alveari e per la loro presunta castità. Nel mondo antico infatti si riteneva che non si riproducessero per accoppiamento sessuale, ma che esse si generassero dai cadaveri o, come narrano certe leggende celtiche, che comparissero sulla terra emergendo da sotterranei mondi incantati dove vivevano assieme alle fate. Proprio per questo l’ape è uno dei pochi animali femmina a cui è concesso accedere ai sacri confini del Monte Athos, dove un editto di Costantino Monomaco vieta, dal XI secolo, l’ingresso a ogni creatura, umana o animale di sesso femminile.
Eppure attraverso l’ape, scienza e mitologia sembrano coniugarsi con l’arte e la narrativa. Da ciò si origina l’idea di Costanza Savini di realizzare delle opere che collegano tra loro il mondo misterico delle api con quello un po’ magico della sua scrittura, ricorrendo a uno strumento comune nel mondo dell’apicoltura come il melario. Dai telai in legno dei melari, infatti, che sono il supporto dei favi, le celle esagonali di cera dove le api depositano il loro miele, l'artista riesce, a sua volta, a produrre e far stillare una sorta di mistura lucente a base di miele indurito, tempere, acrilico e collanti naturali dorati. A cui talvolta si accompagnano materiali tratti sempre dal mondo naturale come la muta di certi serpenti, anch’essa composta, per una sorta di magica corrispondenza tra le cose della natura, da cellette esagonali se vista attraverso l’occhio della lente di ingrandimento incorporata in alcune sue opere. Questa mistura è come viva e dai colori traslucidi tanto da somigliare a tutti gli effetti a quel “pianto della foresta” che è il miele. Ma la nota singolare e la dimensione narrativa che propriamente le appartengono, si colgono nelle frasi fulminee e soprattutto nelle brevi storie che attraverso l’incisione o l’inchiostro di china a seconda dei casi, vengono composte sui supporti in legno dei telai, forniti da Andrea Lilli, apicoltore generoso quanto le sue stesse api.
Così l'uomo secolarizzato e profano di oggi, cui la scienza ha svelato il ruolo fondamentale dell'ape e degli insetti impollinatori, ora come un tempo usa il miele e la cera, e pur sapendo a chi lo deve, tuttavia ignora e, talvolta, distrugge l'essere "che viaggia su sentieri di luce". Ecco che Costanza con le sue opere cerca di ristabilire quel senso d’incanto e di magia lucida della “natura” di cui il popolo misterioso delle api sono l’incarnazione vivente. Cerca di ricordarci, per chi di noi lo avesse dimenticato, la magia folle e utile di cui questi piccoli esseri dorati sono i portatori. Non a caso le api costituiscono quasi una metafora, perché l’ape, come scrive Montaigne, raccoglie il nettare di tanti fiori, ma al fin fine fa un miele tutto suo. Proprio come chi crea. Forse è proprio per questo che una delle prime opere dell'artista ha per titolo Asa Amarela e sul telaio di legno c'è scritto con l’inchiostro di china: "Noi siamo in viaggio. Siamo tutti in migrazione in questa vita. Siamo dei nomadi e degli erranti. Sempre di passaggio. Ma i rischi si annunciano insuperabili per chi non sa sognare abbastanza".