Chiedo a Sergio Baroni proprietario della Galleria Baroni, in via Madonnina 17 a Milano, di raccontare il significato della mostra che ha allestito nel mese di marzo, dall’intrigante titolo: Dal racconto delle tre fanciulle alle case di tolleranza.

Nella riproposizione della mostra su san Nicola tra mito e realtà, viene approfondito ogni volta un tema nuovo a partire dalla figura del santo, dagli episodi della sua vita e dagli oggetti religiosi a lui legati. Quest’anno la mostra, si propone un discorso tra sacro e profano, partendo dal racconto di San Nicola e le tre fanciulle da marito fino a raggiungere la contemporaneità parlando del luogo stesso che accoglie la mostra di cui una parte degli spazi un tempo ospitava una casa di tolleranza.

In che cosa consiste questo racconto?

Il “racconto delle tre fanciulle da marito” costituisce senz’altro uno degli episodi più significativi della storia di San Nicola, rendendo Nicola il santo protettore delle ragazze da marito (e delle prostitute) e dando forma al simbolo iconografico delle tre palle d’oro che connota la sua immagine.

Diverse fonti sono concordi nell’affermare che Nicola fosse rimasto orfano ed avesse ereditato molti beni alla morte dei suoi genitori. Si racconta che, a fronte di tale fortuna, Nicola si rivolgesse a Dio per sfruttarla nel rispetto della sua volontà. Nicola sarebbe quindi stato un giovane caritatevole e ciò verrebbe confermato nell’episodio di cui fu protagonista. Ai tempi in cui visse Nicola, le ragazze delle famiglie meno abbienti erano costrette a prostituirsi, spesso dal padre di famiglia, anche solo per procurarsi la dote necessaria al proprio matrimonio. In questo contesto, il padre di una famiglia agiata cadde in miseria. Egli aveva tre figlie in età da marito, ma per la loro povertà non venivano considerate. Così, decise di farle prostituire.

Nicola venne a conoscenza della situazione drammatica di questa famiglia e volle intervenire con un atto di carità in loro favore, opponendosi a quella situazione. Mise in un panno una quantità di monete d’oro sufficiente per la dote di una figlia dell’uomo e lo gettò attraverso la finestra nella sua dimora, in modo da non farsi notare. L’indomani, l’uomo trovò il gruzzolo di denaro in casa sua e, non riuscendo a comprenderne l’origine, lo accolse come un dono divino. Quando si rese conto che i soldi trovati corrispondevano alla cifra per una dote, permise alla sua prima figlia di sposarsi.

Appreso che il denaro donato era stato impiegato nel modo opportuno, Nicola replicò il suo gesto di elemosina e gettò una simile quantità di denaro dalla stessa finestra. Il padre di famiglia, trovato il secondo dono del magnanimo santo ma ignorandone ancora la provenienza, ringraziò il cielo, commosso, sperando di scoprire quale buona anima avesse permesso tale gioia. Deciso a risolvere il mistero e nell’attesa che il gesto di misericordia fosse compiuto anche per la sua terza e ultima figlia, l’uomo rimase sveglio e attento le notti seguenti, laddove aveva trovato i panni colmi di monete le due volte precedenti.

Nicola non era certo intenzionato a lasciare la terza sorella come l’unica impossibilitata a sposarsi. Gettò un’analoga somma attraverso la solita finestra della casa dell’uomo e tentò di allontanarsi, ancora una volta, senza farsi notare. Tuttavia, il padre delle tre fanciulle, visto il sopraggiungere del sacchetto di denaro, si precipitò fuori e raggiunse Nicola, prostrandosi ai piedi del giovane sacerdote, pieno di gratitudine. In risposta, il santo lo supplicò di non rivelare a nessuno che fosse stato lui il suo benefattore.

Questa storia è davvero sorprendente, così come il simbolo che accompagna e rappresenta sempre il Santo.

Ogni santo ha il suo simbolo iconografico, quello di San Nicola è dunque il simbolo delle tre palle, quasi sempre presente in statue e dipinti che raffigurano il santo, collocato generalmente su un Vangelo retto dalla sua mano sinistra. Le tre sfere d’oro sono il risultato di una semplificazione formale dei sacchetti di cuoio o di stoffa in cui San Nicola aveva racchiuso le monete d’oro donate alle tre fanciulle da marito. Il numero tre delle sfere (ricorrente nei racconti del santo, come ad esempio in quello dei bambini resuscitati, ma non solo) è un riferimento alla difesa, da parte di San Nicola, del dogma della Santissima Trinità. Nel Concilio di Nicea del 325 d.C., il santo si confrontò con decisione con il sacerdote Ario, che si opponeva alla divinità di Gesù quale figlio di Dio e quindi al dogma in questione. San Nicola ebbe la meglio e quello della Santissima Trinità rientra oggi tra i dogmi fondamentali della fede cattolica.

Le tre sacche oltre ad essere salvifiche delle ragazze della leggenda, sembrano anche significare un’estrema virilità: sacro e profano, sessualità prostituita e sessualità sublimata. San Nicola sembra racchiudere questo ambiguo significato che connota anche l’essenza degli esseri umani. Forse rappresenta la dualità, la doppiezza, l’ambivalenza, il bene e il male, il linguaggio della tenerezza e quello della passione, ma anche la complessità e la misteriosità dell’essere umani. Tra l’altro la storia della prostituzione mostra quanto lo stesso fenomeno assuma variegate significazioni. Tu hai collegato la protezione delle ragazze da marito con la protezione delle prostitute. Il Santo ha cura anche di quelle ragazze che non hanno avuto la fortuna di potersi sposare e trovare una posizione sociale, ma hanno dovuto ricorrere alla prostituzione per mantenere sé stesse e spesso anche le loro famiglie. Cosa ci puoi dire di questo fenomeno sociale?

L’etimologia del termine “prostituzione” (dal latino prostituĕre, ovvero “mettere in vendita”) suggerisce la condizione, storicamente più comune, della prostituta, la quale non esercita la sua professione in autonomia ma viene sfruttata per il guadagno di qualcun’altro. Non è, tuttavia, sempre stato così. La pratica della prostituzione ha origini antiche e una delle prime forme di prostituzione presenti nel mondo antico è stata la cosiddetta prostituzione sacra, un rituale sessuale svolto nel contesto di un culto religioso come rito di fertilità o per un “matrimonio divino”. Rispetto al significato corrente del termine, risulta improprio definirla “prostituzione”, considerato che di solito non era previsto un pagamento in denaro. Tuttavia, questo costituisce un primo esempio di come alla prostituzione possano essere associate anche connotazioni nobili.

Nell’Antica Grecia esistevano ad esempio le etere, prostitute d’alto ceto, colte e indipendenti. Al contrario, a Roma le prostitute erano generalmente schiave o appartenenti ai ceti più bassi. I Romani avevano una regolamentazione della prostituzione che prevedeva fosse praticata solo nelle ore notturne in edifici specifici collocati fuori dalla città, i lupanari. Anche nel Medioevo la prostituzione era diffusa ma regolamentata, vietata ad esempio nei pressi delle mura della città o vicino ai luoghi di rappresentanza.

Nel Rinascimento, si affermò la figura della cortigiana che, se in origine corrispondeva alla gentildonna di corte, divenne sempre più riconducibile alla figura della prostituta. Tuttavia, a Venezia, esistevano quelle che erano definite le cortigiane oneste, ovvero donne colte e raffinate che intrattenevano con gli uomini rapporti non solo di natura sessuale, ma anche conviviale, divenendo muse di artisti e poeti, fino anche ad essere artiste e poetesse loro stesse. Caso degno di nota è quello di Veronica Franco (1546 – 1591), un’intellettuale completa che visse a Venezia, dedita alla musica e alla scrittura, la quale è divenuta un simbolo di libertà femminile e alla quale sono stati dedicati un libro, un film e persino una via a Padova.

E in epoche diverse come era considerata la prostituzione?

Nell’Italia dell’Ottocento, la prostituzione era ancora presente e considerata positivamente. Questo può essere interpretato come il sintomo di una società patriarcale, la quale considerava il fenomeno utile in quanto permetteva lo sfogo degli istinti sessuali maschili ma riteneva poco di buono le donne che la praticavano. Dall’altra parte, anche le donne che avevano la possibilità di sposarsi non godevano della stessa libertà degli uomini ed erano costrette ad accettare che il marito potesse avere rapporti con delle prostitute. Nel 2024, a Forlimpopoli, con il patrocinio del Comune, dell’Università di Urbino e della fondazione Italia Argentina – Emilio Rosetti si è tenuto il convegno “Prostituzione e violenza di genere nella Romagna dell’Ottocento”, che ha offerto uno scorcio sulla condizione femminile nel XIX secolo.

In Italia, la prostituzione continuò ad esserci fino a dopo l’unificazione. Persino nello Stato Pontificio erano presenti case di tolleranza. A Roma ce n’erano molte di più che nelle altre città. Camillo Benso di Cavour autorizzò l’apertura di case controllate dallo Stato per l’esercizio della prostituzione in Lombardia con un decreto del 1859. Nel 1860 il decreto divenne legge e nel 1861, con l’Unità d’Italia, la pratica fu legalizzata in tutto il Paese. Ebbero così origine le “case di tolleranza”, così nominate perché tollerate dallo Stato. La legge Crispi, del 1888, impose diverse restrizioni, tra cui quella di tenere le persiane sempre chiuse; da qui deriva invece la definizione di “case chiuse”. Durante il regime fascista, non ci furono variazioni significative, se non una disposizione degli anni ‘30 da parte di Benito Mussolini, che prevedeva l’isolamento delle case dove si praticava la prostituzione con muri alti almeno dieci metri, detti “del pudore”. Prima della loro chiusura, la frequentazione da parte degli uomini di case di tolleranza era una pratica consueta e l’opinione pubblica era perlopiù favorevole alla prostituzione legale.

“C’è ancora domani”, il film del 2023 diretto e interpretato da Paola Cortellesi, racconta la condizione della donna in una famiglia italiana nella Roma del 1946 e mostra collateralmente come la fruizione della prostituzione da parte dell’uomo fosse un fenomeno accettato nella società. Dopo un annoso dibattito in Italia sul tema, la Legge Merlin, il 20 settembre del 1958, introdusse il reato di sfruttamento della prostituzione e le case di tolleranza furono chiuse definitivamente.

È una data significativa per la storia sociale in Italia.

Il proibizionismo non ha comportato la sparizione del fenomeno della prostituzione, il quale vede coinvolte ancora oggi decine di migliaia di prostitute in Italia e un giro di affari di miliardi di euro. Nonostante i cambiamenti nella contemporaneità in favore delle donne, la condizione femminile prevede ancora l’aderire a dei modelli radicati: se è vero che le donne oggi hanno la possibilità di essere indipendenti e di concentrarsi sulla carriera, all’interno del nucleo famigliare generalmente è ancora presente una maggiore aspettativa nei loro confronti, per quanto concerne la cura della casa e della prole.

Quando è iniziata la prostituzione? Esiste qualche documento che attesta il suo inizio a Milano?

Il documento più antico che testimonia la presenza della prostituzione a Milano risale al 1387, quando il duca Gian Galeazzo Visconti emanò un decreto per limitare la zona a luci rosse al Castelletto. Alcuni secoli dopo, Carlo Borromeo decise di rimuovere i bordelli dalla zona abbattendoli o trasformandoli in carceri, considerata la sua vicinanza al Duomo. La prostituzione non fu però abolita e continuò ad essere presente a Milano come nel resto di Italia. Nella Milano dell’Ottocento, le case di tolleranza erano sparse per tutta la città ma erano concentrate a Brera, nuova zona a luci rosse oltre che quartiere degli artisti (spesso assidui frequentatori dei bordelli). Via Brera divideva l’area circostante in due parti: Fiori Scuri, che ospitava i conventi, e Fiori Chiari, dove erano presenti le case chiuse.

È curiosa la spartizione del territorio in luogo del sacro e luogo del profano. Oggi cosa resta delle case di prostituzione?

Gli edifici dove un tempo si praticava la prostituzione, oggi accolgono ovviamente attività diverse. Tuttavia, passeggiando per Brera, si possono riconoscere alcuni punti di riferimento che rimandano alla Milano di quegli anni: a partire dallo storico Bar Jamaica, dove si ritrovavano artisti e intellettuali; proseguendo per la struttura che ospitava Fior Ciar 17, il bordello di più alta classe di Milano; e percorrendo via Fiori Chiari fino Via Carpoforo, in cui erano presenti case dalle caratteristiche più disparate che incontravano ogni tipo di clientela maschile. Si racconta che in via Madonnina 23, le donne ricorrevano ad un espediente particolare per comunicare in modo discreto agli uomini che in quel momento erano disponibili: calavano dalla finestra un cestino vuoto.

Siamo arrivati in via Madonnina dove ha sede la Galleria.

Sì in via Madonnina, ma al numero civico 17, la Galleria Baroni ha oggi il suo ingresso principale. È però accedendo da via Mercato che si può osservare una delle poche testimonianze rimaste di quello che era l’ingresso di una casa di tolleranza: delle splendide decorazioni a maioliche in stile liberty riconducili all’inizio del ‘900 affiancano le porte di accesso alle stanze dove si prestava il servizio; è inoltre ancora presente un lavandino, dove i clienti si potevano rinfrescare prima e dopo la prestazione. Il retro della Galleria un tempo era parte della casa di tolleranza. Nella prima stanza a cui si può accedere dall’ingresso in via Mercato si timbrava la marchetta; mentre lo spazio più ampio che ospita oggi eventi e conferenze corrispondeva al cortile interno dell’edificio.

Bene, a questo punto parlaci della mostra.

La mostra in Galleria dedicata a San Nicola vede, accostate agli oggetti riconducibili alla figura del santo, delle fotografie che documentano la presenza di questa testimonianza storica. Le foto si pongono rispetto agli oggetti religiosi in una dialettica tra sacro e profano ma anche in una continuità narrativa: partendo dal racconto del Santo che salvò tre ragazze dalla prostituzione per arrivare alla permanenza, nello spazio espositivo, di ciò che resta di una casa di tolleranza.

E qui si chiude il cerchio di questo viaggio interessantissimo che ci ha fatto intravvedere il passato anche non tanto remoto tramite la connessione tra la leggenda di san Nicola e la triste realtà delle case di tolleranza, dove ci possiamo immaginare tragiche vicende che la mostra in questione ha superbamente evidenziato anche attraverso una serata-evento straordinaria dove brani di Carlo Porta e canzoni della tradizione milanese hanno dato corpo e anima a vicende dolorose tramite la sensibile voce di Paola Cavanna accompagnata dalla chitarra di Marcella Arganese. Serata memorabile sia per la milanesità che riprendeva vita in maniera commovente tramite il dialetto, lingua, almeno per una sera, ritrovata, che per le emozioni germinate dalle storie di passioni tristi che hanno toccato l’auditorio vibrando nell’atmosfera della meravigliosa sala della Galleria. Applausi scroscianti sono stati la risposta immediata, spontanea e grata per la bellezza della serata.