Raul Cremona nasce con l’arte nel sangue, erede di una tradizione familiare legata al circo e alla magia di strada. Suo nonno, figura chiave della cultura popolare milanese, è stato celebrato nell’opera di Roberto Leydi Milano e il suo territorio, che ne ha riconosciuto il valore come interprete autentico delle arti popolari lombarde.
L’illusionismo attecchisce in Raul fin da giovane, ispirato dal padre prestigiatore e dalla frequentazione del CLAM (Club Arte Magica), che oggi presiede. La sua carriera inizia con la magia, per poi evolversi nel cabaret: negli anni ’80 debutta al Derby Club di Milano, dividendo il palco con Paolo Rossi, Claudio Bisio, Aldo, Giovanni, Giacomo e molti altri. Seguono dieci anni al Ca’ Bianca Club, a fianco di giganti come Nanni Svampa e Bruno Lauzi, che ne affinano il talento. Nasce così il “cabaret magico”, fusione di comicità e illusionismo che diventerà la sua firma.
Il grande pubblico lo scopre a Mai dire Gol con il mitico Mago Oronzo, parodia irresistibile del prestigiatore sgangherato che “Con la sola imposizione delle mani può ungerti la giacca e la cravatta!”.
A Zelig brilla nella parodia di Silvan con “Silvano, il mago di Milano”, insieme a Mister Forest. Indimenticabili le battute “Sim Sala Min!” o l’espressione surreale “La presti-diri-giri-bizzazione!”. Successivamente porta sul palco altri personaggi indimenticabili come Omen, il maschilista che si scioglie al telefono con la moglie.
Versatile ed inesauribile, spazia tra teatro, cinema e televisione.
Ho avuto il piacere di conoscerlo durante le riprese di molte pubblicità per la trasmissione Zelig. Il suo talento e il suo carisma lasciano un segno indelebile su chiunque lo incontri. Per questo, attraverso una serie di domande, vi accompagnerò alla scoperta di un artista unico, capace di farci ridere ed emozionare, ricordandoci che la magia esiste, basta saperla vedere.
Cosa ti ha spinto a intraprendere la carriera di comico?
Ho iniziato come prestigiatore e lo sono sempre stato. La mia passione iniziale era per i giochi di carte e la micromagia, ma col tempo ho sentito l’esigenza di divertire il pubblico attraverso l’illusionismo. Già nel mio primo repertorio c’era una forte componente comica. Poi, con il passaggio a trasmissioni importanti come Zelig e Mai dire Goal, ho dovuto adattare il mio stile: ho messo in secondo piano gli effetti di prestigio, dando più spazio al personaggio e alla comicità.
Hai sempre saputo di voler far ridere o è stato un caso?
Più che far ridere, da piccolo volevo stupire. Ricordo un film di Jean Renoir, Il testamento del mostro, una sorta di Dottor Jekyll e Mister Hyde: il protagonista si trasformava nel terribile Monsieur Opale e io mi divertivo a imitarlo, truccandomi per spaventare gli amici. Quella voglia di sorprendere mi ha poi portato alla magia. Dopotutto, comicità e illusionismo hanno qualcosa in comune: entrambi giocano sulle aspettative. Pensaci, anche una barzelletta funziona come un trucco di magia: si costruisce un percorso logico e poi si sovverte, lasciando il pubblico spiazzato e divertito.
Quali sono le tue fonti di ispirazione nella vita quotidiana?
Il cinema, senza dubbio. Da bambino ero affascinato da Jerry Lewis, Totò e i grandi comici del passato, che continuo ad ammirare più di quelli attuali. Anche i film Disney mi hanno influenzato: La spada nella roccia, ad esempio, mi ha lasciato un segno. Per il resto, osservo il mondo intorno a me e assorbo. Non ho mai studiato in scuole di recitazione, quindi ho sviluppato una mia tecnica da autodidatta, mescolando illusionismo ed emulazione. Guardando tanti artisti nel tempo, ho imparato quasi naturalmente a parodiare e reinterpretare i loro modi.
Hai vissuto situazioni imbarazzanti che poi sono diventate sketch?
Oh, tantissime! Soprattutto agli inizi, nei locali di cabaret della Milano anni ’80, dove succedeva di tutto. Ricordo una sera al Derby: Walter D’Amore e Francesco Salvi mi sabotarono uno sketch, togliendo la previsione che avrei dovuto svelare. Mi lasciarono lì, sul palco, senza via d’uscita! Alla fine, però, proprio da questi momenti è nato il mio personaggio: il mago pasticcione, quello che sembra sbagliare, ma che poi ribalta la situazione e fa ridere il pubblico.
Ancora oggi mi capita di fare gaffe. Ieri sera, ad esempio, stavo per entrare in scena a Only Fun e mi sono accorto all’ultimo che avevo dimenticato di disegnarmi i baffi, un dettaglio fondamentale per il personaggio! Un mese fa, invece, sono salito sul palco senza microfono.
È capitato anche con il pubblico con cui interagisci?
Eh sì, gli imprevisti veri. Una volta, durante uno spettacolo, dovevo far sparire un anello per poi farlo riapparire nella cassa di un orologio. Apro la cassa… e niente, l’anello non c’era! Panico. Guardo per terra, niente. Guardo il pubblico, sorrido forzatamente. Poi, senza motivo, appoggio la mano sulla manica della giacca e sento qualcosa dentro: l’anello era lì! Non ho idea di come ci fosse finito, ma ho tirato un sospiro di sollievo e ho risolto la situazione senza che nessuno se ne accorgesse.
Un'altra volta, invece, dopo un altro trucco con un anello, lo restituisco alla signora che me lo aveva dato. Lei lo guarda e mi dice: “Questo non è il mio anello.” Silenzio. Imbarazzo. Venti secondi di panico assoluto. Poi aggiunge: “Scherzavo!” Maledetta!
Quando fai il prestigiatore, gli imprevisti sono all’ordine del giorno.
Come gestisci il confine tra la tua vita pubblica e quella privata?
Diciamo che ho due lati, il lato A e il lato B.
Il lato A è quello del ragazzo di quartiere che ancora si stupisce di tutto questo successo, che quasi non ci crede. Il lato B è quello che invece è consapevole del percorso fatto e dell'affetto del pubblico.
Ti racconto un aneddoto: qualche giorno fa ero in macchina e a una rotonda un tizio non mi dà la precedenza. Istintivamente stavo per dirgli qualcosa di poco elegante… Poi mi riconosce, mi sorride e, invece di mandarlo a quel paese, gli ho detto “Sim sala min!”. Morale della favola? Mi ha sorriso, ma la precedenza comunque non me l’ha data.
La tua famiglia ti segue nei tuoi spettacoli?
Agli inizi sì, quando io e mia moglie eravamo senza figli sì. Allora, tante volte addirittura stava alla consolle, metteva le musiche. Poi con l’arrivo dei figli le cose si sono complicate. Io ho iniziato a girare come una trottola. E ora invece che i figli hanno trent’anni, chi li vede più.
Qualcuno di loro ha seguito le tue orme?
Fin da piccolo ho riempito la casa di strumenti: pianoforti, chitarre e questo ha influenzato i ragazzi perché il primo è diventato un Dj, Giordano, un Dj famoso, in coppia con il suo amico, si chiamano Merk & Kremont, hanno girato il mondo. Adesso sono produttori e fanno canzoni soprattutto per tutti gli artisti che noi conosciamo. Quest’anno sono stati a Sanremo con una canzone per Sara Tommaso al suo primo debutto. L’altro per essere contrario alle tendenze, ha intrapreso la carriera di cantante lirico.
È vero che nelle tue vene scorre sangue francese?
È una cosa che mi fa tanto ridere. Ho letto molto sulla storia di Totò, che si faceva chiamare principe perché era figlio di un nobile che non l’aveva riconosciuto e l’ha riconosciuto in tarda età. Questo era perché molti comici del passato, essendo dei guitti puri, l’idea di riscattare un ruolo sociale per loro era fondamentale. Quindi il capo comico o il comico avevano una loro credibilità nel momento in cui affermavano di appartenere a una casa. Come Totò appunto quando cominciò a dire di essere uno dei discendenti dei principi di Bisanzio.
La stessa cosa avviene con me. Lontanamente il desiderio di… Fa ridere perché oggi non è credibile, non interessa a nessuno. Però la nonnina mia diceva che suo nonno era un insegnante di calligrafia, francese, che viveva con un sussidio, perché era figlio illegittimo di Napoleone III. Alla fine ho fatto una grande ricerca, sono andato nel paese natale di mia nonna e dei suoi discendenti, che è Pietra Ligure e sono tutti di Pietra Ligure, soltanto che il mio quadrisavolo era di Chalon-sur-Saône, avvallando la teoria secondo la quale mia nonna diceva che era francese, questa è in parte la conferma. Poi sui vari siti ed alberi genealogici appare. Insomma, questo Felice Merzet sarebbe un figlio illegittimo di Napoleone III. Quindi discendo da Napoleone I e chiaramente ho lo steso sangue nelle vene.
Potresti creare un personaggio su Napoleone?
Prima o poi lo farò.
Tornando agli albori della tua carriera. Il tuo primissimo spettacolo, te lo ricordi? Come ti sei sentito quel giorno in cui per la prima volta salivi su un palcoscenico?
La mia passione comincia nel 1973, frequento il club Arte Magica di cui oggi sono il presidente onorario, facendo piccoli giochi con le carte, una moneta che sparisce, piccoli giochi. Nel 1977 mi chiedono di fare uno spettacolo all’oratorio di piazza Ovidio. Io arrivo là con i miei pacchettini, con le mie monetine… Questi fanno no, no, no. Bisogna salire sul palco, fare qualcosa, almeno mezz’ora. Ma io non ho niente qui, però ce l’ho a casa. Allora vado a casa, tiro su i pochi giochi che avevo imparato, i fazzoletti che cambiano colore, un paio di giochi con gli anelli, un’evasione stile Houdini e niente, quello fu il mio primo spettacolo. Devo dire che il pubblico accettò la mia esibizione e io mi divertii parecchio. La paga è stata che il prete mi accompagnò a casa con la macchina.
Le battute dei tuoi personaggi famosi sono molte: qual è la tua preferita?
Il mio repertorio è pieno di insulti diventati virali, come "il cog... sul piedistallo" o "se avessi una testa come la tua me la farei circoncidere". Ma la battuta più iconica è quella del Mago Oronzo: "Con la sola imposizione delle mani posso ungerti la giacca e la cravatta". È il mio marchio di fabbrica.
Oltre al Mago Oronzo, hai altri personaggi di successo?
Dopo Oronzo ho creato Silvano il mago di Milano, Jacopo Ortis e Omen, ma sono molto legato ai miei primi personaggi, come Jerry Manipolini, un mago imbranato ispirato a Jerry Lewis. Oggi sto facendo questa trasmissione che si chiama Only Fun e ho creato un nuovo personaggio che si chiama Marvello o Max Marvel ed è una parodia del mentalista americano, molto ruvido, molto aggressivo. Tuttavia il mio cuore resta ai miei esordi.
Hai mai avuto momenti di dubbio nella tua carriera?
Mi ricordo che la mamma di mia moglie le chiedeva sempre: ma Raul che lavoro fa? Fa il prestigiatore, mamma. E lei: ma un lavoro di giorno non ce l’ha!? Ho insegnato educazione fisica per un po’, ma la magia mi ha presto assorbito. Ho avuto occasioni che si spegnevano subito, quindi sì, i primi tempi sono stati molto duri e pieni di perplessità, fino alla svolta nel 1996 con Mai Dire Goal, che mi ha aperto le porte del teatro e di infinite altre esperienze.
Com'è il tuo rapporto col pubblico?
Dipende. In teatro il pubblico ti sceglie, in eventi aziendali capita di esibirsi davanti a gente distratta. Ma proprio lì si cresce. Oggi molti comici diventano famosi online, ma dal vivo crollano. Il teatro è la prova del fuoco: quando si apre il sipario, hai venti secondi per capire come andrà la serata. E se parte male, devi trovare il modo di raddrizzarla. Per questo preferisco teatri più raccolti, dove l’atmosfera è più intima ed autentica.
Ami il tuo lavoro senza dubbio, da sempre. Ma c'è qualcosa che ti pesa?
Dopo quarant'anni di lavoro? Un po' tutto! Salire in macchina, farsi 400 km, arrivare in teatro, fare due ore di spettacolo, poi di nuovo in macchina per altri 300 km. Devi davvero amarlo questo mestiere e io l'ho amato tutta la vita. Però oggi cerco di evitare le trasferte massacranti. Preferisco lavorare vicino casa, in Emilia Romagna, in Veneto. Lì mi faccio il mio bel bagno di pubblico senza dover passare la notte in un hotel anonimo.
E poi c'è un'altra cosa: gli oggetti. Non so più dove metterli! A casa mia c'è una libreria piena, tre tavoli coperti di attrezzi da mago, un ragno appeso (parte di un numero, giuro), un mazzo di fiori sul tavolino, quattro cassette di trucchi. Mia moglie cerca di nasconderli, ma tanto riemergono sempre. Il mio studio è un museo della magia, mentre la casa, che vorrei tenere sgombra, è diventata un magazzino da illusionista in pensione!
C'è differenza tra i maghi italiani e quelli stranieri?
Assolutamente sì. In Inghilterra, Germania, America, la magia è considerata una vera e propria arte. Da noi... molto meno. L'Italia ha la tradizione della commedia dell'arte, quindi il prestigiatore viene spesso visto come uno da spettacolo di piazza o per bambini. A Londra ci sono teatri pieni per vedere Derren Brown, Pete Firman, artisti venerati dal pubblico. Da noi, se vuoi fare carriera come mago, o vai all'estero o trovi un modo per reinventarti, come ho fatto io con la magia comica. Ma pensare di riempire un teatro solo con la magia, in Italia, è un'utopia.
Ti è mai capitato di restare impressionato da un altro tuo collega mago?
Oh, certo! Alcuni giochi non li conosco e neanche voglio conoscerli. Ma so che sono trucchi. Una volta, dopo uno spettacolo, un medico si avvicina e mi chiede: "Quel mentalista prima di lei, ma sono giochi o c'è qualcosa di paranormale?" Gli ho risposto: "Guardi, non lo so, ma io credo siano giochi di prestigio”. A volte, più che scoprire il segreto, preferisco lasciarmi stupire. Se un trucco è troppo complicato, penso: "Meglio goderselo che capirlo."
E non ti viene voglia di indagare per farlo tuo?
Questo capita a chi si avvicina alla magia per la prima volta. Ma dopo aver visto tutti i maghi del mondo cento, mille volte, non sento più quella smania. C'è chi vuole capire e chi si lascia trasportare. Al Manzoni ho visto Edgar, un mago spagnolo che sparisce e riappare tra il pubblico. So come fa, ma continuo a godermi lo spettacolo.
Non ti piacerebbe volare alla Copperfield?
Ah, ormai non posso più! Ci vuole un certo atletismo che non mi è più concesso. A parte gli scherzi, no, non mi interessa. Il mio spettacolo è un mix tra risate e magia dissacrante. Io non voglio stupire, voglio far divertire. Il mio personaggio è l'anti-mago: ironico, leggermente cinico, con una forte vena milanese. Non potrei mai essere il mago classico che impone il fascino del mistero. A me piace giocare, prendere in giro la magia stessa.
Secondo te, cosa rende un’intervista divertente e interessante?
Se è video, conta molto l’espressione, l'ironia, la mimica. Se è scritta, bisogna infilarci battute e aneddoti. Come abbiamo fatto finora! Se riesci a far ridere e incuriosire, allora hai vinto!
Se fossi al mio posto, cosa chiederesti al comico davanti a te?
Le interviste finiscono sempre per riproporre le solite domande: il personaggio preferito, gli inizi… insomma, una mini-autobiografia. E tutte si somigliano: “Avevo sette anni, mia madre mi regalò…”. Leggi la biografia di Rita Pavone o David Copperfield, lo stile è sempre quello.
Due opzioni: non scriverne affatto – la mia scelta – oppure stravolgere tutto, come nei miei spettacoli, dove il pubblico pensa che io stia sbagliando e invece… sorpresa! Faccio cadere un mazzo di carte, tutti ridono convinti che il trucco sia saltato, poi chiedo un numero e… proprio lì appare la carta scelta. Così dovrebbe essere anche una biografia: niente cronologia classica, magari partire dalla fine, spezzettarla, legarla a un simbolo. E lo stesso vale per un'intervista: servono domande inaspettate, capaci di rompere gli schemi.
È cambiata la comicità?
Cambia di continuo. Un tempo i cicli erano più lenti, oggi bruciano in fretta. Io appartengo all’ultima generazione del Derby, dopo Boldi, Teocoli, Cochi e Renato, e prima che il locale chiudesse. Milano offriva mille opportunità. Ora i cabaret sono scomparsi: troppi costi, troppa burocrazia. Aprirne uno è un suicidio economico. Eppure, a Edimburgo ci sono centinaia di spettacoli al giorno. Qui, invece, vendere un libro richiede trafile infinite. Creare uno spettacolo in modo naturale è diventato impossibile.
Internet, però, ha dato ai nuovi comici una vetrina: alcuni nascono lì, diventano virali e poi approdano in TV o al cinema. Io, da boomer, vengo da un’altra scuola, quella dei locali, dove si costruiva un repertorio solido. Ma la comicità sopravvive, si adatta e lo stesso vale per la magia: oggi molti prestigiatori usano il telefono per i loro trucchi, altri restano fedeli alla manualità. Già nell’Ottocento si discuteva tra mantello o abito borghese.
La verità? Il segreto è nel giusto equilibrio tra innovazione e tradizione.
La comicità può cambiare la società?
La società cambia con la comicità. Basta pensare a Beppe Grillo: ha trasformato la politica proprio grazie al linguaggio diretto e popolare della satira. Il comico ha un occhio allenato per le contraddizioni della società, le smaschera, le amplifica. Ed è paradossale, ma spesso la verità la raccontano più i comici che i politici.
Hai mai avuto problemi per una battuta?
Parecchie volte, soprattutto per fraintendimenti. Una volta feci una battuta sulla dislessia: il primo pezzo sembrava denigratorio, ma il secondo ne ribaltava il senso. Una signora sentì solo la prima parte alla radio e apriti cielo! Non volle sentire ragioni. Il problema è che basta isolare una frase fuori contesto ed il danno è fatto.
Attraverso il tuo lavoro credi di aver lasciato un segno?
Se te lo chiedi esplicitamente, probabilmente no. Ma in realtà ogni forma di spettacolo lascia qualcosa. La satira fa riflettere, ma anche la magia, a suo modo, ha un messaggio. Quando un prestigiatore fa levitare una moneta, per un attimo il pubblico crede nella magia. E se smettiamo di credere nella magia, allora abbiamo perso tutto. Anche il comico, in fondo, ha un ruolo fondamentale: ci ricorda che ridere è essenziale, ed essere felici è un dovere.
Una battuta per concludere?
Il mago è un bambino di dieci anni che riceve una scatola di giochi di prestigio e nel mio caso, cinquant’anni dopo, con quella scatola, sto ancora giocando.
Un grazie di cuore a Raul Cremona, che non è solo un comico, un mago o un affabulatore, ma un eterno ragazzo che gioca con la vita e con l'illusione, trasformando ogni istante in un’opera di incanto. Lui non si limita a far ridere: spiazza, sovverte, capovolge le attese, prendendo la magia e scomponendola in mille frammenti, per poi ricostruirla sotto i nostri occhi increduli, come se volesse dirci: “Guardate, anche l’impossibile può diventare realtà, basta guardarlo con occhi nuovi.”
Il filo rosso che lega questa nostra simpatica chiacchierata è semplice, ma potente: la vita è un gioco di prestigio e il trucco più grande è credere, anche per un istante, che la magia esista davvero. Che si tratti di un gioco di carte, di una risata che ti libera o di un sogno che sembra sfuggire, la magia ci circonda, se solo ci permettiamo di vederla. La comicità è questo: un’illusione perfetta che ti inganna, ti fa smarrire, per poi regalarti la meraviglia di un colpo di scena inaspettato.
Raul Cremona è tutto questo: un uomo che gioca con la vita, che ride mentre gli altri cercano spiegazioni, un bambino che, dopo cinquant’anni di carriera, non ha mai smesso di stupirsi. Il suo più grande trucco non è solo quello di farci ridere, ma di insegnarci, ogni volta, a non smettere mai di credere che la magia è possibile.
Perché, alla fine, cosa sarebbe la vita senza un po' di magia?