Oggi incontriamo l'artista Tamara Repetto e i suoi micromondi sensoriali.
La tua ricerca artistica mostra un grande interesse per quegli ambiti della sensorialità che il primato della vista ha reso, nella cultura occidentale, secondari. Cosa, del mondo che ti circonda, attrae la tua attenzione e cosa riesce ad avere un effetto tale da influenzare la tua ricerca artistica?...
La natura è il mio luogo di lavoro. L’immensa forza della Creazione pone tutto il resto in secondo piano.
Qual è l’approccio che hai con la materia per arrivare agli aspetti contenutistici e concettuali delle tue installazioni?
Nella fisicità dei materiali si trova e si costruisce il significato dell’opera d’arte. Quindi, già dalla scelta dei materiali mi ritrovo a costruire il significato. Ad esempio in Castanea, la mia ultima scultura cinetica e sonora, uso il legno, il marmo, il plexiglas: mi piace mettere in relazione materiali con “temperature” diverse e creare “accordi” non consueti per trovare armonie altre, che innescano connessioni con la dimensione multisensoriale delle mie opere.
Quali sono i percorsi che segui per creare quando hai un’idea? E, prima di tutto, il tuo lavoro nasce dall’impulso che segue a un’idea o a una necessità?...
L’idea guarda alla necessità e la necessità guarda all’idea; sono due elementi impastati. Quando lavoro la mia attenzione è rivolta al creare un’opera nella quale l’elemento concettuale sia forte tanto quanto quello estetico. Deve esserci un perfetto equilibrio tra le parti. Se possiedo soltanto uno di questi due elementi l’opera non funziona, non basta un’idea intellettuale come non basta un’idea visiva. Un lavoro ben strutturato deve avvalersi di entrambi gli elementi per essere forte e incisivo.
Joseph Beyus, nel 1984 durante la discussione Difesa della Natura, afferma che il rapporto uomo-natura è: "un processo che si muove in due direzioni diverse allo stesso momento. L’albero ha coscienza di noi, così come noi abbiamo coscienza dell’albero. È dunque di enorme importanza che si tenti di creare o stimolare un interesse per questo tipo di interdipendenza". Le tue opere sviluppano il legame tra il dato naturale e quello umano. In che modo?
Attraverso l’uso della tecnologia. Oggi, naturale e artificiale dialogano in un continuo scambio osmotico; la tecnologia non soltanto semplifica il nostro quotidiano ma ne costituisce la struttura portante. Da qui la sua influenza sul gesto artistico… Nella mia ricerca la tecnologia non è mai fine a se stessa, ma ha la funzione di sublimare, sottolineare e risvegliare il nostro senso di appartenenza al creato. È proprio nel connubio arte-tecnologia che dialogo con la natura: gli elementi olfattivi, sonori e cinetici descrivono le relazioni tra macrocosmo-microcosmo e creano interazioni intime e intense con il pubblico.
Il soggetto ideale della società contemporanea è ridotto alla condizione di consumatore di tempo e spazio. Per te, per il tuo lavoro, che significato hanno il tempo e lo spazio?...
Le mie opere hanno una relazione stretta con il tempo. Il tempo è la dimensione in cui le percezioni olfattive, sonore e cinetiche assumono “forme” e ritmi diversi: scorrono i minuti e gli odori si “muovono” ed entrando in relazione plastica con l’ambiente creano scenari olfattivi dinamici. La dimensione cinetica gioca sul fattore casualità determinando situazioni visive mutevoli che a loro volta influenzano il generarsi del suono. È una concatenazione di elementi che si “spalmano” all’interno dello spazio e che con lo spazio interagiscono. Per questo, il luogo in cui espongo per me non è solo e semplicemente uno spazio espositivo bensì lo spazio della relazione tra il mio fare e il luogo che mi accoglie, un luogo di cui indago il “trascorso”, con cui creo un legame.
Lucrezia De Domizio Durini nel suo recente libro testimonianza, Perché. Le sfide di una donna oltre l’arte, afferma: "L’arte agisce come una forza che muta il corso della storia umana. L’artista con la sua ricerca può produrre uno spostamento spaziale, influenzare gi individui, plasmare il sociale e modificare quelle durature strutture che chiamiamo cultura". Quali sono le sfide che l’arte contemporanea deve porsi e quali sono le sfide che proponi a te stessa come artista?...
Quando penso all’arte non penso mai a sfide ma a un’energia che fluisce nel tempo portando con sé emozioni, riflessioni, seduzione, cambiamenti, connessioni, visioni, un "contenitore" dov’è sublimata l’esperienza del vivere. Da parte mia cerco di arricchire questo "contenitore" con onestà intellettuale.
Quali delle tue installazioni ci proporresti come opere che in qualche modo rappresentano dei punti di snodo fondamentali nel tuo percorso?
Sicuramente Anosmia è l’opera che ha segnato un passaggio nella mia ricerca, un lavoro dove coesistono parecchi aspetti, l’elemento olfattivo, sonoro, cinetico, la tecnologia, l’artigianato, un lavoro che corrisponde perfettamente al mio definirmi un artista multiforme. Un’opera in cui sono riuscita a trovare un equilibrio tra le parti, a sovrapporre linguaggi diversi, a creare una relazione “seduttiva” con il pubblico.
Ti capita di avere idee che ritieni impossibili da concretizzare in un’installazione?
La mente è libera di muoversi all’interno di meccanismi visionari, di sogno, ma poi il pensiero interviene, setaccio, filtro e riporto il tutto a una concreta realizzazione, che abbia presa nel reale, nel possibile. Una realizzazione che ogni volta è una sfida, una scoperta che mi porta ad avere costantemente un atteggiamento da apprendista... nuovi materiali, nuovi media, altre connessioni ed energie, dinamismo creativo.
Come continui a sperimentare?
Rimanendo in uno stato di continua ricezione... captando, osservando.
Che progetti hai in cantiere per i prossimi mesi?
Continua la circuitazione internazionale della mostra Venti per Una, organizzata dall’IGAV e curata da Martina Corgnati, dove è presente Anosmia. La mostra ora è a Zagabria alla galleria Klovicevi Dvory. Nei prossimi mesi le tappe saranno Vienna e Bratislava.
Un confronto fra l’Italia e l’estero?...
Il sistema del contemporaneo in Italia è malato e da cambiare. Costanti tagli alla cultura, politici impreparati, galleristi ridotti all’osso... tutto questo non permette il fluire della nostra professione e non a caso dico professione, in un paese in cui non viene riconosciuta come tale e ci si interroga sul come sopravvivere. Va da sé che la situazione all’estero non possa che essere migliore.