Volete che vi dica quale sarà presto la più fedele opera d’arte? La fotografia, quando sarà capace di rendere i colori, cosa che avverrà assai presto. Secondo voi sarebbe intelligente sudare mesi e mesi per raggiungere la stessa illusione di realtà che si può ottenere con una ingegnosa piccola macchina?
(Paul Gauguin, intervista per “Echo de Paris”, 1895)
Il movimento fotografico pittorialista, che si sviluppò dalla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento fino alla metà degli anni Dieci del Novecento, vide un grande numero di amateur organizzarsi in circoli come il Photo club di Parigi e Photo Secession a New York.
Si dedicarono alla pubblicazione di bollettini e riviste, organizzarono concorsi e saloni di arte fotografica, crearono un tessuto di scambi internazionali e alimentarono un dibattito contro la riduzione della fotografia a mero strumento di riproduzione della realtà ma a favore piuttosto della capacità del mezzo di esprimere i sentimenti e le doti creative del fotografo.
Nel periodo a cavallo del secolo la pratica fotografica divenne tecnicamente più semplice e accessibile e contestualmente il mercato dei suoi utenti si allargò: il Pittorialismo, valorizzando le qualità materiche e poetiche dell’immagine, la manipolazione e la sperimentazione di tecniche, pigmenti e supporti, contro l’idea di istantaneità e di meccanicità che si andava affermando, costituì una risposta a questo stato di fatto.
La preoccupazione che i pittorialisti costantemente esprimeranno nei loro scritti non è dissimile da quella che troviamo al centro della riflessione del filosofo idealista Benedetto Croce, il quale esprime il suo dubbio sulla artisticità della fotografia nell’Estetica, saggio del 1902.
Analoga posizione contro la meccanicità della fotografia aveva assunto John Ruskin negli anni Settanta dell’Ottocento, dopo un primo momento di entusiasmi per il nuovo mezzo.
Alfred Stieglitz fu una figura importante di artista e intellettuale, fondatore a New York della Galleria 291 e della prestigiosa rivista Camera Work, pubblicata dal 1903 al 1917. Attraverso le sue varie attività fece conoscere non solo la migliore fotografia pittorialista internazionale ma anche la grande pittura europea.
Passarono per la Galleria 291 da Paul Cézanne a Vincent van Gogh da Pablo Picasso a Francis Picabia, la storia affidò a Stieglitz il compito di portare a maturazione la poetica pittorialista e di promuoverne poi, attraverso il dibattito e le scelte stesse del fotografo, a metà anni Dieci, il superamento.
Per questo la figura di Stieglitz, grande innovatore si può considerare già appartenente al Novecento più che all’Ottocento. In tutta la sua opera di fotografo e organizzatore culturale ha sottolineato sempre l’appartenenza della fotografia al mondo dell’arte, una questione che si fece più evidente a cavallo del secolo ma che molti pittori assunsero spontaneamente già in tutto il secondo Ottocento, periodo che costituì un vero e proprio laboratorio di esperienze.
I pittori preraffaelliti, a cui fecero riferimento molti fotografi inglesi dell’età vittoriana fra cui Julia Margaret Cameron, utilizzarono fotografie per la realizzazione dei loro scenari. Eugène Delacroix utilizzò la fotografia nel suo lavoro, fotografò egli stesso e si adoperò per farla entrare nei Salon parigini, ritenendola una benedizione per l’arte, in quanto esercitava il pittore a osservare luci ed ombre. La prima mostra degli impressionisti rifiutati al Salon del 1874 venne ospitata nell’atelier del famoso fotografo francese Nadar.
Il metodo di lavoro degli impressionisti fu per molti aspetti fotografico; la scelta di dipingere en plain air, e non nel chiuso dello studio, l’importanza attribuita alla percezione e alla registrazione del carattere transitorio della luce e dell’ombra, l’osservazione del mutare dei colori al variare della luce, la volontà di fissare la realtà del movimento in scene istantanee, la libertà di variare il punto di vista e il taglio della scena, la predilezione per i soggetti di vita contemporanea, sono tutti modi di affrontare la realtà che erano molto simili a quelli dei fotografi.
Edgar Degas apparve particolarmente vicino alla nuova visione suggerita dalla fotografia, per la quale nutrì una vera passione: traeva alcuni soggetti, le danzatrici, da immagini fotografiche, fotografava egli stesso e così come il pittore americano Thomas Eakins studiò il movimento dei corpi, quello dei cavalli in particolare, grazie all’aiuto delle sequenze realizzate all’epoca da Eadweard Muybridge.
La fotografia aveva in sostanza rivelato a Degas e a Monet «la distanza che esiste tra percezione e realtà».1
Saranno proprio i temi fondamentali della percezione e del movimento ad entrare dentro la fotografia, mutandone la natura e proiettandola vigorosamente nel nuovo secolo, esattamente nel cuore della rivoluzione delle avanguardie artistiche.
Note
1 Krauss R., 2006, Teoria e storia della fotografia, Milano, Bruno Mondadori.