Ci voleva Tiziana Tentoni, spumeggiante di intelligenza e di riccioli, per darci l’audacia, almeno in un caso, di essere in disaccordo con Oscar Wilde. Sempre arrendevoli al genio ma… per una volta. “Tutti coloro che sono incapaci di imparare si sono messi a insegnare” è un consolo folgorante se ci si imbatte nei cattivi maestri, però di Tiziana, che è una discepola attenta dell’universo e della propria interiorità, si potrebbe dire che è votata a imparare di continuo e perciò si è messa (anche) a insegnare.
Salire in cattedra, virtuale e lignea, è solo una delle cento sue imprese: oltre che docente è divulgatrice, consulente, project manager ed ex violinista specializzata nel personal branding dei musicisti e nel marketing e comunicazione della musica classica. È stata general manager e spalla dei secondi violini della Symphonica Toscanini sotto la direzione musicale di Lorin Maazel, e ha suonato nelle sale più prestigiose del mondo, con i direttori d’orchestra più importanti.
Un incidente le ha tolto il violino dalle mani, per sempre.
Chiediti chi sei, non quello che fai, è solita ripetere lei. Adesso non è una violinista, ma è Tiziana Tentoni e ha corde tuttora inesplorate.
La noia è per te uno spauracchio tremendo?
La noia, sì. Più che altro la mancanza di novità. Se non ho un rinnovamento continuo sento meno energia. In un periodo particolare della mia vita, nel 2022, sono tornata indietro col pensiero, a quando ero piccola e ancora non pensavo al violino: sono stata una bambina che doveva sempre stare in piedi su qualcosa. Stimolata dalla famiglia e per indole. Facendo il lavoro su me stessa per capire a che punto ero arrivata a 52 anni, l’ho accolta questa cosa: devo sempre stare su un palco differente, devo sempre avere una reazione differente. L’ho accolta, ma cerco di tenerla un pochino a bada sennò in certe giornate è troppo.
Tieni a bada anche l’essere stata una violinista e aver dovuto smettere?
Stranamente, nonostante io sia andata in analisi in due o tre fasi della vita… Stranamente, proprio nel periodo che poteva essere più critico - dodici anni fa ho avuto l’incidente e non ho più potuto suonare - non ho avuto bisogno di niente. Mi sono interrogata perché vedevo che non avevo reazioni: magari, mi dicevo, c’è qualcosa che tengo nascosto. No!
È stato un passaggio naturale perché a me il violino, sembra assurdo, mi è sempre stato un po’ stretto. È vero, si suona per il pubblico ma, fondamentalmente, lo si fa per se stessi: suonare è un’armatura che tutti i musicisti hanno e che spesso arriva prima di loro. Quando chiedi a un musicista chi è ti risponde che strumento suona. E io ci stavo stretta. A me piace fare moltissime cose, relazionarmi, mi piace aiutare e farmi aiutare, e mi son ritrovata in un ambiente, in un’attività, in una vita che sicuramente mi dà più soddisfazione.
Racconta.
La mia figura non è definibile anche se ora l’andiamo a definire. Allora, subito dopo l’incidente ho fatto l’agente pura: rappresentavo artisti e vendevo concerti. Però, già dodici anni fa, li spronavo ad avere un sito web, a lavorare sui social e venivo guardata come se fossi un’extraterrestre. I pochi che mi seguivano avevano dei risultati. Per me era il nodo. Nel 2017, 2018 ho deciso non tanto di occuparmi degli artisti, ma di fare in modo che gli artisti fossero chiamati a lavorare sul loro personal branding, la fotografia, il sito web, i social etc. Nel lockdown, purtroppo o per fortuna, c’è stata la conferma: il cambiamento doveva succedere.
E mi sono ritrovata, alla fine del 2021, a pensare: lo posso fare io per gli artisti, ma è molto importante che prendano coscienza che potrebbero farlo anche da soli e così ho fondato l’Amusart Academy dove c’è un gran movimento. Tengo corsi on demand sui vari aspetti della professione: da come si aumenta il numero di concerti a come si stabilisce un cachet, come si promuove un disco, la gestione di Instagram. Tutto finalizzato alla musica classica, io non esco da quel canale perché è il mio pane, casa mia.
Mi hanno chiesto: ma questo va bene anche per il pop? Sì, in parte, ma la musica classica ha una necessità di comunicazione e promozione mirata. Non sto promuovendo il tormentone di Annalisa o di Fedez per cui mi bastano tre parole. Io mi sto confrontando, prima di tutto con un capolavoro dell’umanità, poi con una serie di informazioni che non sono facili da trovare sulle piattaforme digitali. Se volete sapere come funziona Spotify cercate su Google o AI, ma se volte capire come Spotify deve essere utilizzato da un artista di musica classica il mio insegnamento può servire. Non è solo una questione tecnica.
Tanto più che il pubblico latita.
È il grande problema. Se non c’è pubblico è perché: o non fai sapere nella maniera giusta o non lo fai sapere alle persone giuste. Questo il mio ritornello: se tu, istituzione, continui a promuovere un concerto col faccione di Beethoven o di Mozart, ma chi ci viene? Chi ha visto quell’iconografia solo sulle “palle” al cioccolato di Mozart? Chi la conosce, già ci veniva. I compositori sono stati persone e come tali hanno avuto i nostri stessi problemi, muoviamo su quello. Perché ancora la faccia di Beethoven per il Fidelio e non invece due mani che rompono una catena? La comunicazione della musica classica funzionerà nel momento in cui si parlerà di quello che succede alla gente.
Ogni volta che noi postiamo sui social stiamo chiedendo attenzione mentre dobbiamo dare un valore che poi tu, che leggi il post, mi ritorni. Se scrivo che domani c’è il concerto, non sto dando niente: è informazione non comunicazione. Piano piano, qualche istituzione sta compiendo dei mega passi e esiste una falange armata, che io amo, di content creator sui social che fa una divulgazione fantastica cominciando a far tremare il terreno. E non si potrà che andare in quella direzione perché i numeri e i risultati sono troppo importanti.
Io vedo addirittura direttori artistici che postano su Facebook: venite al concerto. Ma è una roba da fare? Ma il reparto di comunicazione e marketing che sta facendo?
Devi pensare all’inizio del secondo atto del Flauto magico quando lavori per la musica classica. A come fare in modo che più persone possibili possano avere la benedizione di poter sentire una musica del genere. Devi lavorare, anche nella comunicazione, con quel tipo di emozione interna perché quella musica, ora sembrerò troppo…
Sentimentale?
… ma io lo credo veramente, quella musica ci migliora. E allora ce li dobbiamo portare a teatro. In qualsiasi maniera.
Ci sono delle linee generali per l’espansione di un musicista?
Arriva il momento in cui un artista si chiede: perché non ho questi risultati? Di solito accade quando vede qualcun altro che, a suo dire o a suo pensare, sta ottenendo più di lui o di lei. Sì, ci sono delle linee che valgono per tutti, primo: fermarsi. Fermarsi e cominciare a metter su carta chi sei, non quello che fai. Soprattutto nella musica classica c’è una grossa percentuale di multi-potenziali. Persone alle quali hanno detto: ti devi decidere o fai una cosa o fai un’altra. Invece no: perché devo scegliere? Quali sono le cose che veramente so fare? Che mi piace fare? In che cosa sono unico? Come dico sempre: di eccezionali pianisti ce ne stanno tantissimi, ma di te ci stai soltanto tu. Quindi cerca di capire la tua unicità.
Pochi giorni fa ho proposto a Classical next in Germania - io continuo a proporre, non perché ho 54 anni penso che mi debbano chiamare - Unique un laboratorio per artisti di musica classica dove cerco di andare oltre il discorso dello studio e di individuare la road map per capire la loro unicità che, per me, è la primissima cosa.
Subito dopo averlo capito bisogna tradurlo in un’emozione visuale, una fotografia sicuramente, e poi il sito web e diffonderlo in maniera fruibile, approfittando dei social. La meraviglia del mio lavoro è che ognuno è diverso che sia un artista, un corsista o uno dei miei ragazzi del progetto Talent (sei giovani seguiti da Tentoni personalmente e pro bono per un anno nello sviluppo della loro identità visuale e del loro posizionamento web e social n.d.r.).
Sono a contatto con colori e sensazioni sempre nuovi. È bellissimo.
Entusiasmante.
Entusiasmante. Da un lato c’è un po’ una proiezione: la maggior parte sono giovani alle prese con un mondo difficile, più difficile di quando ce li avevo io 25 anni: mille sollecitazioni mille competitor, mille finestre da aprire. Vederli crescere è molto bello. Sto nutrendo anche la mia esigenza, perché ce l’ho, di sentirmi utile.
Fare domande sui giovani parrebbe un po’ di routine ma, a Attraverso i Suoni, il progetto di Fondazione CR Firenze e A.Gi.Mus, hai parlato di una generazione notevole.
Sono contenta che me l’abbia chiesto: “giovani” sta quasi diventando un po’ discriminatorio. In realtà, io parlo di “giovani trasversali” perché nei corsi ho anche persone più grandi di me, ma che hanno una mentalità giovane, la capacità di aprirsi. La fascia di età dei ragazzi è quella che ho maggiormente, ma la generazione che si sta formando è di giovani trasversali perché ci sono un sacco di over 55 che hanno voglia di scoprire, a partire da mia madre che ha settantanove anni. Le ho parlato dell’intelligenza artificiale e ci ha messo un attimo a cercarla on line.
Il digitale è democratico, inclusivo, chiunque apra un computer può approdare a un mondo che ha tanti aspetti complessi e, magari, da un certo punto di vista negativi, ma quelli positivi sono troppi di più. I social vivono dei nostri contenuti e diventano ciò che noi siamo. A chi dice: nella mia bacheca vedo solo cretinate. Rispondo: vuol dire che hai amici scemi, che hai sbagliato a scegliere le tue relazioni.
Creare l’immagine di un musicista.
Di solito ci sono due incontri di chiacchiere: capire. Questa è la parte fondamentale. Talmente fondamentale che ho preso l’abilitazione per diventare coach (non che intenda fare la coach), perché mi serve per capire meglio e saper porre le domande giuste. Io prendo appunti e segno delle parole che la persona può dire senza nemmeno rendersene conto, poi torno su quelle parole e cerco di farle sviluppare.
Chiedo informazioni pratiche: se ci sono luoghi del cuore, sensazioni da trasmettere, vestiti che si vogliono o non vogliono indossare o che si vorrebbero indossare, ma manca il coraggio. Una seduta, non dico psicoanalitica, ma cerco di capire e di tenere tutto molto sull’autenticità. Dopo mi devono mandare fotografie, di solito li faccio andare su Pinterest, che a loro trasmettono la sensazione, non per una questione estetica, che vorrebbero trasmettere con le proprie. Può esser un tramonto, una pasta all’amatriciana. Man mano assottigliamo fino a quando si decide l’outfit e il posto, io preparo un progetto con un paio di set fotografici: due vestiti diversi, due messaggi diversi per tutti gli utilizzi e l’identità visuale è pronta per essere diffusa nel sito web, sui social, da inviare per un concerto.
Per arrivare a definizione ci vuole un mese e mezzo ed è importantissimo che gli artisti si sentano a loro agio, piuttosto faccio un passo indietro io su qualcosa che ritengo efficace se mi accorgo che non è confortevole: soprattutto i musicisti di musica classica sono esseri fragili.
Come conservare la brillantezza di un sito?
Ci sono parti del sito web che io consiglio di mantenere statiche, per esempio una bio raccontata deve esser la stessa almeno per sei mesi. I musicisti tendono a considerare il calendario solo per i concerti, ma non è che tutti hanno dieci concerti al mese, io amplio e suggerisco di mettere nel calendario anche una sessione di studio con il trio, una sessione di prova per la registrazione, una lezione.
Il modo migliore per tenere aggiornato un sito web è avere un blog, anche per farlo indicizzare meglio da Google e dagli altri motori di ricerca. Tanti musicisti sanno anche scrivere molto bene e sottovalutano quanto sia importante la comunicazione verbale di quello che fanno.
Qual è il “tuo” compositore? Poco fa hai citato Il Flauto magico.
È lui. È Mozart. Ogni volta che ne parlo, mi emoziono. Vengo da una famiglia di musicisti, da parte di padre: mio nonno è stato primo fagotto della Rai di Roma ai tempi di Gazzelloni, mio padre era il secondo fagotto dell’Accademia di Santa Cecilia e mi diceva: impara a suonare Mozart perché se sai suonare Mozart sai suonare tutto. Non posso nemmeno spiegarlo a parole, ma qualsiasi cosa senta di Mozart fa scomparire il resto. Solo se parlo dell’inizio del secondo atto del Flauto magico mi vengono i brividi. Ho una predilezione per Schumann e Stravinsky. Questi tre, ma Mozart è al di sopra.
Ultimo, ma non ultimo?
Mi piacerebbe far passare che all’estero c’è molta attenzione per le mie materie e in Italia no. Il 13 novembre ho postato su Instagram un reel in cui spiegavo che, dopo la laurea in Conservatorio, la maggior parte dei ragazzi si ritrovano nella nebbia, ma non è detto che chi si laurea al Conservatorio debba per forza fare la professione del musicista, camerista o solista, o insegnare. C’è anche una competenza: si può diventare tecnico del suono, direttore artistico, manager di artisti, ma nei conservatori non c’è un programma di orientamento professionale. Questo reel ha avuto al momento (a metà dicembre 2024 n.d.r.) centodiecimila visualizzazioni, circa quattromila like e le iscrizioni al mio workshop gratuito di orientamento professionale sono arrivate quasi a seicento.
Queste cose sono le stesse che io proponevo due anni fa ai conservatori, gratuitamente. Non interessava, ma dopo il reel mi hanno chiamata in quattro. I conservatori, poveracci, fanno anche oltre quello che devono fare, ma il sistema deve metterli in condizione di poter lavorare meglio.
Un ragazzo che ha l’Asperger, per esempio, non può iscriversi in Conservatorio perché non ci sono insegnanti di sostegno: 1) non gli garantiamo il diritto allo studio, 2) forse ci stiamo perdendo un talento. Mozart era Asperger!