Ezechiele 25,17. Il cammino dell'uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre; perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te.
Tutti conoscono il celebre passo biblico che il gangster Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) recita prima di uccidere la sua vittima in Pulp Fiction. Peccato che quel passo...non esista. Il vero brano biblico corrispondente suona così:
Farò su di loro terribili vendette con castighi furiosi, e sapranno che io sono il Signore, quando eseguirò su di loro la vendetta.
È molto più breve anche se ha una certa rassomiglianza col finale. A Quentin Tarantino non interessa citare la Bibbia, ma omaggiare un film da lui amato, Karate Kiba, nel quale il protagonista Sonny Chiba (futuro Hattori Hanzo di Kill Bill) recita questo brano biblico fittizio. Le pseudocitazioni paiono richiamare un vezzo del più grande maestro del polar (il noir francese) ovvero Jean-Pierre Melville che apre i due suoi film più noti, ovvero Le Samourai e Le cercle rouge, con finte citazioni attribuite al Bushido e a Buddha. Al noir si addice la pseudocitazione.
Se però il raffinato polar francese si apre con la filosofia orientale, il più sporco pulp americano cui si rifà Tarantino predilige la Bibbia. E se nel noir di Melville la citazione buddista pare avere un rapporto con il significato profondo dell’opera, nel gangster movie di Tarantino pare un vezzo, un ennesimo tocco virtuosistico in un film che per molti è formalmente strepitoso al punto da riscrivere le leggi del cinema come mezzo secolo prima Quarto Potere, ma che contenutisticamente è vuoto, è il perfetto giocattolo costruito da un bambinone cinefilo quale Tarantino che si diverte a frullare i suoi riferimento in un’opera originale.
Questo a una lettura superficiale. Perché in realtà Pulp Fiction è, a dispetto di una sceneggiatura violenta e sboccata, un film profondamente religioso, forse al di là delle intenzioni del suo autore. Ed è proprio il personaggio di Jules a marcare questa religiosità. Il gangster afroamericano “cita” la Bibbia prima di uccidere. È già un segno del personaggio. Dopo aver freddato l’ultima vittima per ordine del loro boss, lui e Vincent Vega (John Travolta) vengono sorpresi da una persona che non avevano visto che spara loro addosso, mancandoli per miracolo. È allora che avviene il cambiamento: Jules comincia a parlare di miracolo, Vincent lo prende in giro. Questa cosa porta uno dei gangster a cambiare vita, l’altro a continuare a fare il killer per conto del boss Marsellus Wallace.
Pare solo una delle trame che si intrecciano, ma ha un senso profondo. Innanzitutto il cambiamento di Jules si nota anche quando salva i clienti di una caffetteria rapinata senza uccidere i rapinatori, ma facendo loro una specie di predica: la scena della rapina in caffetteria collega l’inizio e la fine del film, e già questo ne denota la centralità. Soprattutto Jules, rinunciando alla sua vita di gangster, si salva. Vincent, che non solo non ha voluto credere al “segno” ma ha anche apertamente riso del suo collega, morirà in maniera stupida, ucciso su un gabinetto dal pugile Butch (Bruce Willis).
C’è un rapporto causa-effetto nelle azioni dei personaggi. Inoltre la differenza tra i due si nota subito: Jules è evidentemente il più intelligente e “responsabile” fra i due, mentre Vincent appare il più malaccorto. Inoltre le sue azioni non sono mai frutto di una scelta etica. Quando decide di non cedere alle lusinghe della moglie del suo boss non è perché abbia dei freni morali. È perché teme il suo boss. Salva la vita alla moglie del capo in overdose non perché ritiene giusto farlo, ma perché teme le conseguenze. Alla base non c’é una scelta etica, ma la paura.
I “salvati” invece agiscono per scelta etica. Jules certo, che decide di mollare la vita criminale, ma anche Butch il pugile, colui che “giustizierà” Vincent. Decide di disobbedire al boss criminale che gli impone di perdere un incontro truccato sapendo a cosa andrà incontro, rischia la vita per recuperare un orologio e tenere fede a una promessa fatta al padre e soprattutto, quando può fuggire, decide di salvare la vita all’uomo che poco prima voleva ucciderlo. E anche lui si salva.
Ma è possibile trovare sottotesti religiosi in un film che descrive un ambiente sordido come quello criminale evitado di romanticizzare ma portandone alla luce il degrado? Forse é per questo che, a differenza di Melville, Tarantino sceglie la Bibbia e non il Bushido per le sue citazioni. Nell’etica orientale solo i nobili si salvano e i criminali di Melville, nonostante tutto, hanno della nobiltà. La religione cristiana promette salvezza anche ai peggiori, come le varie prostitute al seguito di Gesù o il Buon Ladrone in croce. Dostoevskij aveva ben compreso la cosa, e infatti molti dei suoi personaggi redenti arrivano da situazioni di estremo degrado: basti pensare al Raskolnikov di Delitto e Castigo.
Non sappiamo se Tarantino abbia mai letto Dostoevskij e dubitiamo che sia un fervente cristiano, eppure, forse senza volerlo, ha costruito un film che se si va oltre l’apparenza è profondamente religioso.