Le opere di Carlo Scarpa, progettista veneziano di rarissime capacità, sono già state analizzate ed esaltate in tutti i modi, nulla di immeritato, anzi!

Non mancano gli articoli, le monografie, i siti e perfino gli eventi per la visita ai suoi capolavori, anche se spesso organizzate come gite turistiche -il che non è proprio il massimo- o basate sui ricordi dei collaboratori -che c’erano, che hanno lavorato con il maestro ma che molte volte finiscono per scadere nell’aneddottica- distraendoci dalla sostanza e facendoci quindi perdere più di “qualcosa”.

Non verranno trattati qui i capolavori osannati -meritatamente- in ogni dove, dall’incredibile tomba-mausoleo per la famiglia Brion a Caselle di Altivole, in provincia di Treviso, all’allestimento delle Gallerie dell’Accademia a Venezia, uno dei musei più prestigiosi al mondo, in cui -sembra impossibile ma è proprio così- all’ineguagliabile viene aggiunta ulteriore bellezza.

Qui, infatti, verrà presa in considerazione una “modesta” -se non altro per estensione- tomba nel cimitero di un paesino. Siamo a Quero, ora inglobato nel comune di Setteville, ad una quindicina di chilometri a sud di Feltre, una di quelle che un tempo venivano descritte come “ridenti” cittadine, in questo caso in provincia di Belluno.

Queste le coordinate da impostare sul navigatore per arrivarci: 45.922018, 11.939215. Il grandissimo, prima di diventare famoso, trascorreva qui le vacanze, come facevano molti di quelli che potevano permetterselo prima del boom economico e dello sviluppo dei trasporti, tra l’altro venendo ospitato nella struttura -chiamarlo albergo sembra troppo- gestito da mio bisnonno. In paese perciò non mancano i ricordi, di recente resi disponibili da varie testimonianze, anche in internet, dove spesso è mio padre Marcello a ricordarci diversi avvenimenti -spassoso il racconto della lepre al cioccolato cucinata da mio nonno- accomunati dal fatto che nessuno riteneva di essere in presenza non di un eccentrico -allora si parlava di “originali”- ma di un artista a tutto tondo che sarebbe entrato di diritto nella storia dell’architettura.

Qualcuno del luogo però la fiducia -che come recitava la pubblicità va data alle cose serie- al nostro la diede, quasi un atto di fede, commissionandogli alcune opere. Soprattutto abbiamo qualche traccia del progetto di un complesso immobiliare di poche unità, bocciato irrimediabilmente per la sua originalità. Certo, la commissione edilizia del tempo -sicuramente formata da autentici geni- si è espressa contro ogni forma di innovazione: le case devono essere tutte uguali -neanche fossimo in un paese totalitario- cioè: devono essere tutte orrende.

Il paese -ma anche noi tutti- ha -e abbiamo- irrimediabilmente perso l’occasione di avere un’opera d’arte nelle proprie vie!

Qualcosa però l’ha fatta franca, forse per il non sapere che anche una semplice lapide debba essere autorizzata, per cui Carlo Scarpa ha potuto realizzare -di nascosto?- una tomba a Quero.

Si narra, infatti, che Bice Lazzari, una pittrice, anch’essa frequentatrice di Quero durante le vacanze, abbia scelto questa località per il riposo più lungo della propria famiglia, affidando il progetto della tomba al proprio cognato, Carlo Scarpa.

Non siamo in presenza della magnificenza del caso Brion, la cui entità -e magnificenza-forse addirittura finisce per essere irrispettosa del contesto, quindi delle altre tombe ma soprattutto degli altri defunti. In questo caso, infatti, si tratta “solo” di un paio di lastre: quella orizzontale, che chiude il vano interrato, e quella verticale, posata al termine del manufatto, contro il muro di cinta del cimitero.

Nel 1960 viene quindi realizzata l’opera, al cui cospetto sembra di essere in presenza quasi di un progetto bidimensionale -un grafico, un quadro o qualcosa di simile- se non altro per la pochezza di quanto a disposizione, specie in termini di spessore, ma non è così.

La lastra orizzontale è diversa da quella delle altre tombe, in queste le lapidi, infatti, sono appoggiate a coronamento di una sorta di struttura perimetrale che proviene dal terreno, qui invece questo componente orizzontale in botticino ha grosso spessore e aggetta, cioè sporge, facendoci percepire la sua forza ma mostrandosi come se galleggiasse e, vista la sua apparente leggerezza, forse -almeno visivamente- potesse sollevarsi...

Questa lastra è in realtà duplice, sono cioè due i pezzi che la compongono, uno in continuità dell’altro, ma con diversa inclinazione, e la giunzione tra questi mostra -sul bordo più lontano della lastra a noi più vicina- la dicitura coi nomi di chi è sepolto qui, ovviamente utilizzando un carattere non certo proveniente dal tradizionale mondo della tipografia e realizzato come un bassorilievo: delicatissimo e che richiede attenzione per essere letto, quasi decifrato.

Nella mezzeria del lato più lungo, quindi in allineamento al nostro sguardo, vi è una profonda -ovviamente rispetto al consueto- incisione, resa possibile dal notevole spessore del sigillo e che termina in una sorta di doppia scolpitura dal perimetro più o meno circolare e dalla profondità quasi semisferica.

Se a questo si aggiunge che la parte più prossima a noi visitatori presenta una parte inclinata dalla forma in questo caso vagamente semicircolare, risulta evidente l’antropomorfismo, il suo essere la rappresentazione del corpo steso all’interno e qui immobile. Possiamo confrontarlo coi disegni fatti dai bambini, composti da un solo segno, come se le parti del corpo non avessero spessore. Non tutte però, una e solo una ha una certa estensione: la testa! Qui la cosa viene ripresa ma ovviamente siamo in presenza di un gioco adulto e soprattutto raffinatissimo!

Sul lato opposto della stessa lastra, è stato ricavato un foro dalla forma di cerchio incompleto, pensato per ospitare un vaso di fiori, che con il proprio colore contrasti con la pietra chiara. E’ troppo tentare di intrepretare/immaginare questo oggetto circolare, colorato e vivo, posto ben al di sopra della testa come qualcosa che siamo soliti vedere di giorno nel nostro cielo?

In epoca successiva, essendo stati tumulati ulteriori corpi, si è presentata la necessità di aggiungere i nomi dei “nuovi arrivati”, tema piccolo -se vogliamo- ma molto difficile visto il contesto. La soluzione scelta, progettata dall’architetto Bruno Filippo Lapadula, nipote di Bice Lazzari, ci mostra la collocazione sulla lastra verticale di un paio di lamiere di colore grigio cui è stata data una forma particolare e riportati i nomi dei defunti utilizzando un carattere che si vorrebbe omogeneo all’originale. Impossibile, infatti, trasformare la lapide orizzontale -non materialmente o legittimamente ma culturalmente- ma neanche collocare qualcosa senza rovinare tutto: la perfezione non è modificabile!

Pur compresa l’importanza dell’”integrazione”, dato che sarebbe uno sfregio ai diretti interessati non indicare il nome dei defunti qui sepolti, ed apprezzato il lavoro del progettista -che è diverso- impossibile non notare come il risultato sia peggiorativo, e probabilmente non poteva che essere così… Considerato come sono stati realizzati -e come sono percepibili- i nomi delle persone tumulate per prime e posti questi a confronto con l’intervento successivo qualche perplessità è inevitabile. Forse adottare una soluzione che puntasse sulla neutralità, e che quindi pur presente fosse poco percepibile avrebbe limitato l’impatto. Vero che il grigio è considerato il colore più neutro ma su lastre bianche la cosa non vale.

Che dire invece della manutenzione? E’ risaputo come le opere di Carlo Scarpa siano state fatte per invecchiare, per cui i segni del tempo non costituiscono il degrado che siamo abituati a detestare ma un arricchimento delle superfici e questa piccola architettura non fa eccezione. Il ristagno dell’acqua piovana nella “testa” incisa lascia però segni che vien voglia di pulire, per usare un eufemismo, e nemmeno quando l’acqua di pioggia è presente siamo in presenza di qualcosa di piacevole nel senso tradizionale del termine. Pare comunque impossibile che un così attento progettista non abbia considerato questi aspetti e che quindi dovremmo atteggiarci diversamente -io per primo- nei confronti di queste parti.

Ovviamente quanto indicato costituisce il parere personale di chi scrive, che non nasconde come altri, peraltro più vicini all’autore, abbiano narrato di motivi e figure diverse, dal carattere complesso per costringere ad una sorta di inchino alla croce formata dall’incrocio delle lavorazioni che concluderebbe il rito della preghiera ma anche l’incavo avrebbe lo scopo di costituire una piccola fontana ad uso dei pennuti, che potrebbero qui lavarsi e dissetarsi.

Andiamo a visitare questa opera, non è difficile trovarla, il cimitero è l’unico del paese di Quero, attenzione però: la fusione con i comuni di Vas prima e di recente pure Alano di Piave, dando origine al comune di Setteville, potrebbe generare qualche difficoltà e pure trarre in errore. Una volta entrati, non è certo il Père-Lachaise a Parigi, potremmo avere qualche esitazione nella ricerca, visto che è una tomba tra le tombe, consideriamo che si trova a nord-est, basta percorrere il vialetto centrale ed imboccare in fondo la scaletta che sale verso nord, quindi a sinistra nel percorso, e recarsi verso il perimetro del campo santo, a questo punto un occhio non disattento non potrà che notare il gioiellino, la tomba “diversa”.

Se siamo in zona merita sicuramente una sosta, se intendiamo andarci appositamente, dato che la visita non può durare a lungo, meglio organizzare una trasferta più articolata. Molto vicino -nello stesso paese e nella stessa via- c’è un cimitero militare tedesco, semplicemente antitetico alla tomba di cui si è scritto (grande, scuro, cupo, spaventoso, pesante, e così via) ma vale anch’esso la visita! Queste sono le coordinate per trovarlo ma anche per vederlo in anteprima su internet: 45.922043, 11.940565.

A qualche decina di chilometri verso sud c’è invece una delle più acclamate opere di Carlo Scarpa, di nuovo funebre, la tomba della famiglia Brion a Caselle d’Altivole (Treviso), molto estesa e che merita da sola il viaggio (45.741316, 11.979690)!

Non troppo lontano, questa volta a sud-ovest di Quero, a Possagno (Treviso) vi è anche la gipsoteca del Canova, raccolta di gessi allestita dal nostro con la consueta maestria. Facile da trovare e -di nuovo- meritevole di visita (45.854715, 11.881520)! A Feltre, uno dei più importanti centri in provincia di Belluno, alla stessa distanza dei luoghi appena indicati, ma questa volta verso nord, possiamo ammirare la sistemazione degli scavi archeologici, ovviamente anche questa curata da Carlo Scarpa, per cui questo sopralluogo potrebbe costituire il degno completamento di una giornata dedicata a questo straordinario progettista (46.016998, 11.909136).

Chi avesse modo di raddoppiare, organizzando due trasferte di un giorno oppure una due giorni -ad esempio una fine settimana- potrebbe aggiungere una giornata a Venezia, infilando in questa collana immaginaria i portali di ingresso alla facoltà di architettura ai Tolentini, costruzione postuma (46.016998, 11.909136) e a quella di lettere a San Sebastiano (45.431930, 12.320412), le sistemazioni all’interno della facoltà di economia e commercio a Cà Foscari (45.434644, 12.326395) ed il monumento alla partigiana a Sant’Elena (45.429481, 12.355777). Soprattutto si dovrà riservare il giusto tempo al negozio Olivetti a San Marco (45.434417, 12.337588) ed alla Fondazione Querini Stampalia a Santa Maria Formosa (45.436801, 12.341525), opere arcinote ma sempre da ri-vedere.

In una civiltà (sicuri sia questo il termine esatto?) come la nostra, in cui tutto è disponibile sempre -pensiamo all’evoluzione dei supporti audio e video, tanto avanti da essere giunti alla completa dissoluzione, cui corrisponde la massima fruizione- non ci resta che ammettere e comprendere come ciò che ci è (stato) noto sia archiviato per sempre. Vero anche che, al contrario, la nostra “maturità culturale” ci consente un approccio più approfondito. Non solo con le persone ma pure con opere di valore, non certo quelle frutto degli ingenui pensierini da cui siamo inseguiti. Ovviamente la difficoltà consiste nel rapportarsi con prodotti del passato, che più è lontano maggiori sono le difficoltà di rapporto mentre generalmente il messaggio è più assimilabile utilizzando la razionalità. Purtroppo il corollario non può che essere la completa squalifica di alcuni dei più acclamati signor “x”, che non riesco a definire artisti, di oggi, presenti in moltissimi campi.

Tornando -è meglio- al nostro, noteremo che, al termine della nostra esplorazione, malgrado la grandezza, non solo in termini di estensione, delle altre opere citate il gioiellino della tomba a Quero non sfigura di certo! Oggi usiamo -ma online- parole chiave in ogni occasione, qui -con la consueta ironia, che spero almeno questa volta non sconfini nel sarcasmo- potremmo indicare, non in ordine di importanza ma semplicemente alfabetico, per non far torto a nessuno, ed arbitrario: compiutezza, eleganza e metafora. Ma anche: libertà!