Figlio d’arte, possiamo dire di Giacomo Puccini, essendo rampollo di una famiglia da quattro generazioni maestri di cappella del Duomo di Lucca, dove Giacomo è nato il 22 dicembre 1858. Suo padre era un professore di composizione, ma la sua morte prematura pose la famiglia in ristrettezze economiche quando Giacomo, sesto di nove figli, aveva solo cinque anni. Per quel motivo il bambino venne mandato dallo zio materno che lo doveva fare studiare, ritenendolo però poco portato, fannullone e indisciplinato.

Comunque, lo zio riuscì a fargli apprendere la musica, studio che proseguì frequentando il seminario della Cattedrale di Milano, dove imparò a suonare l’organo, strumento che per molti musicisti fu determinante. Sempre ritenuto inadatto alla scuola, frequentò l’Istituto Musicale di Lucca, allievo di Carlo Angeloni con ottimi risultati, e cominciò, pur giovanissimo, a portare qualche soldo in casa suonando proprio l’organo, oltre che il pianoforte presso il Caffè Caselli della città.

Quando poté assistere alla messa in scena di Aida di Verdi, capì che l’opera lirica sarebbe stata la sua strada. Quindi si dedicò alla stesura di alcuni componimenti, tra cui una cantata e un mottetto, mentre un valzer risulta perduto. La chiusura dei suoi studi con la composizione di una Messa di gloria a quattro voci con orchestra, eseguita al Teatro Goldoni di Lucca, suscitò l’entusiasmo della critica. La mamma, dopo avere bussato invano molte porte, riuscì ad ottenergli una borsa di studio dalla regina Margherita, grazie all’intercessione della sua dama di compagnia, la marchesa Pallavicini, arrotondata dall’amico di famiglia Cerù.

E così Giacomo fu allievo del Conservatorio di Milano, avendo come maestro Antonio Bazzini per due anni, e poi Amilcare Ponchielli, grazie al quale Giacomo conobbe Pietro Mascagni. I lavori musicali di Puccini cominciarono ad accumularsi, mentre Ponchielli lo ricorderà come uno dei suoi allievi migliori, malgrado la scarsa costanza: si diplomerà infatti con medaglia di bronzo, quindi al terzo posto tra i candidati. Il primo successo di Puccini, suonato davanti ad Arrigo Boito tra gli altri, gli permise di firmare un contratto con la Casa Ricordi che commissionò Edgar, andato in scena al Teatro alla Scala di Milano nell’aprile 1889 con poco apprezzamento del pubblico. Un vero successo fu Manon Lescaut, con i proventi della quale poté tornare a vivere in Toscana; dal 1891 si trasferì a Torre del Lago, frazione di Viareggio, che divenne la sua vera dimora. I suoi lavori continuarono ad essere successi anche grazie alla collaborazione con i librettisti Illica e Giacosa.

Abbiamo quindi La Bohème, Tosca, Madama Butterfly, che alla prima alla Scala di Milano fu un vero fiasco. Quindi il lavoro venne rimaneggiato e portato in scena al Teatro Grande di Brescia, dove ottenne il successo che continua ancora oggi.

Nel 1906 la morte di Giacosa pose fine ad un lavoro a tre mani che aveva avuto tanto apprezzamento: collaborare soltanto con Illica era poco proficuo, mentre alcuni problemi familiari che si portarono dietro anche uno scandalo, provarono molto il musicista, tanto da rendergli quasi impossibile lavorare. Anche il progetto di collaborazione con D’Annunzio non portò a nulla. Successivamente Puccini scrisse La fanciulla del West che, debuttando a New York nel 1910 con Emmy Destinn ed Enrico Caruso nel cast, fu un vero trionfo di pubblico, meno di critica. A seguito di un viaggio tra Germania ed Austria, il compositore conobbe impresari che gli proposero di musicare un testo di Willne che, in un secondo momento, gli propose di cambiarlo con La rondine, ma lo scoppio della prima guerra mondiale e il successivo cambio di alleanza dell’Italia, fece rallentare i progetti con gli austriaci. Comunque, l’opera venne messa in scena a Monte Carlo nel 1917 con buon successo.

A questo punto della carriera, Puccini lavorò ad un Trittico che si troverà composto da Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi. Il lavoro debuttò a New York e poi a Roma, nel 1919, anno in cui ricevette la nomina a Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia. Sempre nel 1919 il sindaco di Roma lo incaricò di scrivere un inno della città che venne accolto entusiasticamente dal pubblico. Cominciò quindi a lavorare alla Turandot, di ambientazione fantastica ed esotica, ma dalla gestazione difficile, tanto che venne quasi ultimata soltanto nel 1923. Scoperto di essere malato di cancro alla gola, dopo essersi sottoposto ad un intervento chirurgico che sembrava riuscito, il compositore, da poco nominato senatore a vita dal Re, morì il 29 novembre 1924 a Bruxelles, dove era andato a curarsi.

Quindi venne portato a Milano, dove la cerimonia funebre ufficiale si tenne in Duomo con Arturo Toscanini che diresse l’orchestra del Teatro alla Scala nel requiem tratto da Edgar. La salma verrà poi traslata a Torre del Lago, oggi Torre del Lago Puccini. Toscanini supervisionò anche la conclusione di Turandot. Le opere pucciniane, messe continuamente in scena ancora oggi, riscuotono sempre un successo mondiale.