Possiamo considerare l’Impressionismo come una grande famiglia, in cui si litiga anche, ma alla fine ci si viene sempre incontro. Tra le rive della Senna, i vicoli, i caffè, le ballerine, le prostitute, le stiratrici, i bevitori e le bevitrici di assenzio di Parigi, si muovono queste figure particolari, a volte agli antipodi come Degas lo scontroso e il buono e accomodante Renoir, uniti dalla passione per l’Arte e dallo stesso modo di intenderla.
La storia individuale di ogni pittore è intrecciata, indissolubilmente, a quella degli altri. Tutti diversi per temperamento, taluni anche per condizione sociale, ma accomunati dal rifiuto verso “l’accademismo decadente, ufficialmente protetto”1. È ovvio che la discrepanza sociale si traduceva anche in una discrepanza tecnica.
Ad esempio, Manet e Degas, provenienti da famiglie facoltose, potevano permettersi di pagare i loro modelli, mentre Monet e Renoir dovevano sceglierli tra gli amici o ritrarre acquirenti danarosi. Monet, Renoir e Sisley (che in vita non ebbe riconoscimento alcuno) vissero prossimi alla miseria. Nel caso degli impressionisti è forse più evidente che rispetto ad altre correnti artistiche, come l’arte sia sostentamento, non è solo art pour l’art, fine a sé stessa, ma necessità per vivere/sopravvivere.
Il movimento impressionista non può essere decontestualizzato: siamo nel Secondo Impero, tra la II e la III Repubblica sotto Napoleone III. Parigi, la ville lumière, brulica di ogni tipo di personaggi e di poeti, scrittori, pittori che la raccontano ciascuno dalla sua prospettiva, quasi sempre coincidente. Gli impressionisti hanno un fortissimo legame con poeti come Baudelaire, Mallarmė, Charles Crac, Zacharie Astruc e con scrittori quali Zola, Edmond de Goncourt, Mirbeau, Huysmans e Duranty. Questi non furono solo loro estimatori, ma anche spesso, oltre che valenti critici, autentici difensori (anche se la figura di Zola si rivelerà il dado a più facce).
L’Impressionismo rappresenta un momento unico dell’arte francese gravitante ai vari caffè della capitale, gli odierni bistrot. Tanti erano i luoghi, ormai diventati leggenda, in cui persone dalla varia umanità - dagli intellettuali più sommi alle prostitute più infime - vi si ritrovavano. La Brasserie des Martyres (situata al n. 9 della via omonima) era un ritrovo molto importante. Vi sostavano anche i cronisti ala ricerca di informazioni e pettegolezzi da proporre ai loro giornali.
Era una vera e propria tradizione quella che voleva gli artisti, attorno a un tavolo da caffè, la sera, a bere “dove si erano conquistati la simpatia dei padroni e della clientela”2. Altri locali sono entrati nella storia dell’Impressionismo: La Grenouillière e il ristorante Fournaise, Le père Lathuile e, naturalmente, il famosissimo locale Les Folies-Bergère, tutt’ora in attività. Il primo, un “caffè galleggiante collegato all’isola da una doppia passerella”3, è stato immortalato anche nelle pagine dei de Goncourt, di Zola e Maupassant.
L’ultimo era una fusione tra caffè-concerto e teatro. Fu inaugurato nel 1869 e entrato nella Storia, non solo della pittura, grazie al famosissimo quadro di Manet del 1881-1882. È bene sottolineare come il locale fosse anche un ritrovo per parlare di politica in un’apposita sala. Manet e Degas erano degli habituės per ascoltare anche i discorsi dello storico Jules Michelet e del giornalista e politico Henri Rochefort. La caratteristica di questo locale è che aveva iscrizione e consumazione a pagamento, ma si poteva liberamente passare dall’interno all’esterno, fumare, assistere a uno spettacolo.
Era specializzato nei varietà e, molto probabilmente, senza Madame Cornelie, membro della Comėdie Française, le Folies-Bergère sarebbero state altro o non sarebbero mai esistite. Fino al 1867, infatti, nei teatri era “severamente vietato ballare, travestirsi, indossare accessori, ma tutto cambiò quando lei si volle esibire proprio in quell’anno in un caffè - concerto e riuscì a far abrogare queste restrizioni grazie all’amicizia con un ministro”.
“Folies” dalla fine del Settecento designava locali con feste notturne accompagnate da concerti e poi si estese ai teatri. Veniva seguito dal nome del quartiere in cui erano ubicati. Non è questa la sede per un’analisi storico-artistica, ma - per quanto riguarda il dipinto di Manet che si rifà al locale citato - è bene evidenziare alcune cose.
Innanzitutto, è il “testimone” della sua evoluzione e coerenza artistica insieme, a cui aderì fino alla fine. In questo dipinto possiamo cogliere tutte le caratteristiche dell’intera sua opera:
ambientazione parigina;
tranche-de-vie moderna;
composizione calibrata;
uso del nero;
natura morta sul bancone.
Protagonista della scena non è solo la giovane donna dallo sguardo assente e malinconico, ma anche ciò che si vede alle sue spalle, allo specchio: la folla che grandeggia nel locale, un popolo di avventori. Il cliente a destra e che, in un primo momento passa inosservato, in realtà è proprio l’osservatore. Lo sguardo e la posa della ragazza suggeriscono in quel luogo un’aura di assenza e solitudine, rendendolo tempio della tristezza e non più dell’allegria.
Tra gli impressionisti, quelli che hanno maggiormente riproposto la vita nei caffè da loro tanto frequentati sono, in particolare Manet e Degas, e in misura minore, Renoir.
Ecco un elenco dei quadri più rappresentativi:
Manet: Bevitrici di birra (1878), La prugna (1877-1878), Un’osteria di campagna. La Guinguette (1878?), Cameriera con boccali (1879), Il bar alle Folie-Bergère (1881-1882).
Degas: L’assenzio (1875-1876), Il caffè-concerto agli Ambassadeurs (1877 ca.), Donne in un caffè (1877) Renoir: Al caffè (1877 ca.), Bal au Moulin de la Galette (1876).
La parabola degli impressionisti dura 20 anni, dalla loro prima esposizione al Salon de Refusės nel 1863 (e dove suscitarono l’ilarità del pubblico. La denominazione è più che eloquente: erano state esposte su volere di Napoleone III le opere rifiutate - per l’appunto - dal Salone Ufficiale) alla morte di Manet nel 1883. Il quadro che scandalizzò il pubblico fu il famosissimo Le dėjeneur sur l’herbe di Manet: una donna nuda, in compagnia di due uomini, è seduta sull’erba col viso rivolto verso lo “spettatore”. Edouard Manet, amante dei classici, aveva rievocato e riproposto in chiave moderna Il concerto campestre di Tiziano, un’incisione di Marcantonio Raimondi e Il giudizio di Paride di Raffaello, unanimemente riconosciuti come “profanati” dall’artista francese.
La figura del pittore era molto importante nella società: “l’arte era un’istituzione ufficiale, protetta, organizzata, gerarchizzata. Vi si faceva carriera come nell’esercito o nell’amministrazione. C’erano gradi, promozioni, ricompense”4. La trafila era molto lunga: si iniziava la formazione nell’Ėcole des Beaux-Arts, per passare al concorso di Roma e, dopo altre tappe, all’Acadėmie Française.
Oltre ai caffè e ai vari locali, per gli impressionisti fu fondamentale la frequentazione del salotto di Madame Charpentier, moglie dell’editore di Flaubert, Maupassant, Zola che promosse e favorì i loro lavori. Fu un vero e proprio mecenate e il suo salotto il cenacolo degli impressionisti attorno a cui ruotavano tra i tanti, Jules Ferry, Emile Zola, Huysmans, Flaubert...
Unità e divergenze sono le costanti del gruppo, ma queste ultime non ne intaccarono minimamente i legami e la stima reciproca. Anzi, quando vi erano difficoltà -anche economiche- si creava un mutuo soccorso. Ebbero appoggi non solo nel milieu letterario, ma anche in quello medico. Il dottor Bellio, rumeno, e il dottor Gachet furono figure molto importanti per il movimento. Il primo tentò addirittura di riunirli, tra il 1890 e il 1894, organizzando delle cene una volta al mese.
Ci fu un evento che contribuì a disgregare gli impressionisti: l’Affaire Dreyfus. Dreyfus, ufficiale francese di origine ebraica, venne accusato - a torto - di spionaggio e condannato. Il vero colpevole era l’ufficiale Esterhazy. Da allora ci furono due fazioni: pro e contro Dreyfus (intanto Zola aveva pubblicato un articolo, il J’accuse in difesa dell’ufficiale ebreo). Degas e Cėzanne antisemiti e quindi contro, Monet e Pissarro parteggiavano per Dreyfus e Renoir stava nella via di mezzo, oscillando a volte dall’una, a volte dall’altra parte.
Nonostante i numerosi dissidi si apprezzavano e stimavano tanto, si sorreggevano, come già detto, a vicenda. “Manet arrivò a esporre nel suo studio i quadri degli amici per mostrarli ai collezionisti che andavano da lui e se ne sarebbero potuti interessare”5. Manet aiutò economicamente anche Monet (quel poco che aveva lo dissipava subito) e Renoir. Dimostrarono di essere delle persone molto leali.
Dopo il voltafaccia di Zola, Cėzanne - che gli era amico sin dall’infanzia- non se la prese neanche quando lo scrittore alluse a lui nel L’Oeuvre dove un pittore insoddisfatto del proprio quadro si impicca davanti ad esso. Cėzanne non serbò rancore, ma semplicemente trovò improbabile la scelta del suicidio perché, nel suo logico ragionamento, se a un pittore non piace la propria tela, la getta nel fuoco. Si narra che, quando Zola morì, si rinchiuse in una stanza a piangere per un giorno intero.
Nella società “frivola e pudica, affaristica e meschina”6 della capitale francese, si anima questo gruppo di artisti eccellenti le cui vicissitudini e la cui storia sono, prima di tutto, una storia di bella ed eterna amicizia.
Note
1 Jean-Paul Crespelle, La vita quotidiana a Parigi al tempo degli impressionisti. Biblioteca della storia. Vite quotidiane, “Corriere della sera”, BUR 2022, p. 18.
2 Op. cit. p. 108.
3 Op. cit. p. 163.
4 Jean-Paul Crespelle, La vita quotidiana a Parigi al tempo degli impressionisti. Biblioteca della storia. Vite quotidiane, “Corriere della sera”, BUR 2022, p. 50.
5 Op. cit. p. 37.
6 Op. cit. p. 38.
Bibliografia
Jean-Paul Crespelle, La vita quotidiana a Parigi al tempo degli impressionisti. Biblioteca della storia. Vite quotidiane, “Corriere della sera”, BUR 2022.
Manet, presentazione di Marcello Venturi, Rizzoli, Skira, “Corriere della sera”, Milano 2003.