La crudezza della scena ci ricorda i tratti distintivi di Caravaggio, unico artista che, dato il suo rapporto particolare con l’oscurità, il sangue (fu costretto a fuggire in quanto accusato di aggressione con spada ad un rivale) e la morte (rimase orfano a undici anni a causa di una pestilenza che colpì la sua città natale) riesce a rappresentarci in modo così drammatico gli eventi.

La tensione continua che si crea tra i soggetti dei suoi quadri fa sì che lo spettatore si proietti direttamente al centro della scena, Caravaggio ci offre il suo mondo dal suo punto di vista, da grande frequentatore di taverne, donne di malaffare, bische clandestine, ha accesso ad un numero infinito di ispirazioni per i suoi soggetti. Il realismo dei suoi dipinti era controverso, e non sorprende che la cosa non fosse gradita alle autorità religiose dell’epoca.

Nell’opera “Giuditta e Oloferne” Caravaggio rivela una composizione drammatica ed intensa, un sapiente gioco di contrasti tra luce e ombra in grado di creare profondità e volume.

La sensazione di movimento e drammaticità mette in risalto l’abilità dell’artista nel modellare le figure e predisporre un’atmosfera carica di emotività.

La sua maestria nel catturare l’essenza umana rende “Giuditta e Oloferne” un’opera potente e memorabile.

La fonte di luce è collocata in alto a sinistra e illumina i personaggi principali, lasciando il resto della scena in ombra, enfatizzando così il momento culminante dell’azione.

L’autore ha in se un senso profondamente filosofico dell’ ”essere per la morte” che caratterizza tutta la sua pittura, mantenendo un’ambiguità tra religiosità neorealista e realismo sacro.

Giuditta, la figura centrale, è ritratta con grazia e determinazione mentre decapita Oloferne.

La tensione muscolare di Giuditta, visibile nel suo braccio teso che impugna la spada, trasmette la forza necessaria per compiere l’azione. La sua espressione è composta ma risoluta, indicando la sua fermezza di fronte ad un atto così violento.

Oloferne, per contro, è rappresentato in un momento di estrema vulnerabilità e disperazione. Il suo corpo è contorto, con la testa inclinata all’indietro, mentre la spada di Giuditta si abbassa sul suo collo. L’espressione di Oloferne è sorpresa e agonizzante, catturata nell’istante immediatamente prima la sua morte.

L’ ancella di Giuditta, Abra, viene dipinta come una figura anziana (al contrario del racconto originale dove è invece una giovane donna) con il volto rugoso e gli occhi che quasi le escono dalle orbite, ella assiste nell’atto con una presa ferma sulle vesti. La sua espressione suggerisce l’orrore che l’osservatore proverà di fronte a cotanta violenza.

La composizione dell’opera risulta equilibrata, con le figure che occupano lo spazio in modo dinamico. La diagonale creata dalla spada di Giuditta guida lo sguardo dell’osservatore attraverso la scena, mentre il contrasto tra i tessuti morbidi e le superfici ruvide del volto dell’anziana ancella accentua la tensione dell’azione.

Roberto Longhi usò il termine “fotogramma” per descrivere quel particolare modo di usare la luce da parte di Caravaggio, il quale, inquadrando qualsiasi scena riesce e nobilitarla ad “episodio evangelico”.

La palette di colori qui presentata risulta limitata ma efficace, con il rosso del sangue che si distingue contro i toni più scuri dello sfondo e dei vestiti, simboleggiando la violenza e la passione dell’evento rappresentato.

La scena viene rappresentata da Caravaggio “in divenire” a differenza di altri autori (Iacopo Robusti, Giuseppe Vermiglio, Lama Giulia) che hanno dipinto lo stesso soggetto dopo l’atto della decapitazione. Non è fuori luogo sostenere che Caravaggio qui inaugura un nuovo modo di porre il mondo davanti al cavalletto. Riprendere e trasmettere la realtà, si potrebbe definire quasi cinematografico, sia per l’uso delle luci che della pennellata. La muscolarità dei soggetti che nonostante siano ripresi in pose quasi scultoree ha in sé un dinamismo tale che sembrano sempre in procinto di eseguire un qualche tipo di azione.

L’autore è solito inserire un suo autoritratto nei dipinti. Non è difficile immaginarlo in questa opera come colui a cui viene tagliata la testa, a causa del suo stile di vita dissoluto.

Si potrebbero scoprire così dei lati più umani di Caravaggio, di cui abbiamo accennato in apertura dell’articolo, quello dell’artista sceso nei bassifondi, mischiato a criminali e personaggi poco raccomandabili, e l’artista al servizio del clero in ricerca di assoluzione e comprensione.

Questo conflitto interno tra sacro e profano tra peccato e assoluzione fa di lui non solo un grande artista ma anche una figura potente e fragile allo stesso tempo, bisognosa spesso di asilo a causa di malefatte e in perenne fuga non tanto dalle autorità che gli danno la caccia, ma dai grandi drammi che ha subito nell’infanzia.

Il dipinto fu commissionato dal banchiere Ottavio Costa, si dice inoltre che venisse conservato dietro ad un drappo rosso - Flaminia Gennari Santori, direttrice delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini e Galleria Corsini a Roma, propone la sua lettura di Giuditta e Oloferne di Caravaggio - in modo da svelarlo ai suoi ospiti ed ottenere un effetto di teatralità ulteriore.

Bibliografia

Roberto Longhi, Breve ma veridica storia della pittura italiana, Abscondita, 2013.
Roberto Longhi , Caravaggio, Abscondita, 2013.

Note

Data di esecuzione: 1599 ca. Tecnica: olio su tela. Dimensioni: cm 145 x 195. Visibile presso: Gallerie Nazionali Barberini Corsini.